Signori della Corte

Sempre più ardua la via tra rigore tremontiano e crescita indispensabile

Redazione

Il rigore è cominciato e per la prima volta l'anno scorso si è ridotta davvero la spesa pubblica. La crescita ancora non c'è, è ancora asfittica. Anzi, se continua così questa legislatura si chiuderà con una perdita di prodotto nazionale pari a 160 miliardi rispetto alle stime del 2008. Dopo l'Istat lunedì, anche la Corte dei Conti si lancia in scenari e prescrizioni.

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    Il rigore è cominciato e per la prima volta l'anno scorso si è ridotta davvero la spesa pubblica. La crescita ancora non c'è, è ancora asfittica. Anzi, se continua così questa legislatura si chiuderà con una perdita di prodotto nazionale pari a 160 miliardi rispetto alle stime del 2008.

    Dopo l'Istat lunedì, anche la Corte dei Conti si lancia in scenari e prescrizioni. La magistratura contabile simula l'effetto delle nuove regole europee e rende ancor più pesante il risanamento finanziario. “Non sarà sufficiente limare al margine la spesa, ma bisognerà di nuovo ridefinire i confini e i meccanismi dell'intervento pubblico in economia”. Insomma, uno stato se non minimo, almeno leggero. Vasto programma che ha suscitato la replica di Giulio Tremonti, il quale finora – assieme a tutto il governo – proprio sul rispetto del rigore dei conti ha fondato ogni sua risposta agli attacchi delle opposizioni. Il ministro dell'Economia ha definito il rapporto “un genere letterario non da happy hour”, ha parlato di riforme “non istantanee, ma graduali”, per “camminare sulla via del progresso evitando gli eccessi degli agitati e le secche dei retrogradi”, ha detto citando Cavour. Ma ha messo in guardia chi lo tira per la giacchetta chiedendo più crescita: “Primum vivere”. Non solo: “Nel mondo le economie che crescono di più sono quelle non liberali”, una puntura di spillo ai mercatisti che non smettono di incrociare il fioretto. Ieri Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera ha suggerito una soluzione interna per sostituire Mario Draghi in Banca d'Italia, tagliando fuori il candidato del ministro (Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro). Tremonti ha riservato una stilettata anche a Diego Della Valle (“il mio ideologo di riferimento”, ha ironizzato il ministro) che aveva definito i cittadini “azionisti del paese”: “Ai valori mobiliari preferisco quelli civili”, ha rimbeccato Tremonti. Il ministro s'è invece rallegrato nel leggere che le autorità cinesi nelle cui mani è circa il 13 per cento del debito italiano, giudicano “infondato” l'outlook negativo assegnato da Standard & Poor's.

    La Corte dei Conti ha riconosciuto che “per la prima volta le spese si sono ridotte, non solo in quota di prodotto lordo, ma in valore assoluto, segnando una flessione superiore di oltre 14 miliardi rispetto a quanto previsto dal governo”. Nel 2010 diminuisce sia la spesa primaria (al netto degli interessi sul debito) sia quella totale; sia la spesa corrente (pensioni, stipendi pubblici, enti locali) sia quella in conto capitale. Anche se l'aggiustamento pesa ancora in modo corposo su questa seconda componente, “sino a sottoporre per il 2010 tagli del 4 per cento alle spese correnti al netto degli interessi e oltre il 50 per cento per la spesa in conto capitale”. Ma siamo solo all'inizio. Perché per rispettare la nuova regola dell'Ue, i paesi con rapporto tra debito e pil superiore al 60 per cento dovranno ridurre lo scarto di un ventesimo l'anno. Per l'Italia significa tre punti di pil, circa 46 miliardi annui. La riforma in senso restrittivo di Maastricht non è stata ancora varata, lo sarà probabilmente al Consiglio europeo del 23 e 24 giugno, ricordano al Foglio fonti del Tesoro. La Corte dei Conti sottolinea che si tratta di un'operazione massiccia, pari a quelle del 1992 e del 1997, questa volta, però, l'austerità dovrà continuare nel tempo. Infatti, dicono ambienti governativi, già a metà giugno il Consiglio dei ministri imposterà una manovra triennale di correzione dei conti pari al 2,3 per cento del pil fino al 2014.

    Il rapporto dà ragione a Tremonti sulla tassazione. Non c'è spazio per ridurre le imposte in nessuna delle tre simulazioni nelle quali i magistrati si sono avventurati (uno sviluppo di qui al 2015 dell'1,1 per cento, del 2,1 o superiore). Nel caso migliore (auspicabile, ma non realistico), “si aprirebbe uno spazio per la riduzione della pressione fiscale pari appena a 1,5 punti di pil; forse troppo poco per esercitare un effetto sensibile sul rilancio dell'economia”. Eppure, anche per vivere bisogna crescere, così si allevierà anche il peso del debito pubblico. La pressione sul governo arriva da tutte le parti: imprenditori e istituzioni, dalla Banca d'Italia all'Istat passando per la Corte dei Conti. Gli stimoli allo sviluppo non possono venire dal bilancio dello stato, né attraverso le uscite né con le entrate che l'anno scorso sono cresciute grazie alla lotta all'evasione, diventata ormai, sottolinea la Corte, la fonte principale per reperire nuove risorse: 63 miliardi. Le “ganasce” fiscali sono strette e lo resteranno. Non resta che agire con maggior lena su riforme all'insegna di liberalizzazioni, deregolamentazioni, e magari privatizzazioni, dirà domani la Confindustria riunita in assemblea.

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