Per gli americani sulla colf di Schwarzenegger è giusto tacere, ma su DSK no
Michelle Goldberg ha 36 anni, scrive libri e abita nella parte perbene di Brooklyn: dire che è di sinistra significa sottovalutarla. “Sono una femminista liberal”, dice lei con parole d'altri tempi, lei che di libri ne ha scritti due.
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New York. Michelle Goldberg ha 36 anni, scrive libri e abita nella parte perbene di Brooklyn: dire che è di sinistra significa sottovalutarla. “Sono una femminista liberal”, dice lei con parole d'altri tempi, lei che di libri ne ha scritti due, uno contro l'avanzata oscurantista degli evangelici nel mondo americano, l'altro contro l'esclusione delle donne dai posti che contano nel mondo. Sì, due libri contro, perché il segreto inconfessabile di Michelle è che vuole cambiare questo mondo che non va e per farlo deve grattare via una vecchia crosta di moralismo che comprime l'America, lascito indesiderato del puritanesimo, insomma.
Senonché gli elementi del caso di Dominique Strauss-Kahn, l'arroganza del potere, le arringhe garantiste della Francia, il “cultural divide” e tutto il resto le hanno fatto cambiare idea: “Per me il puritanesimo è il male assoluto, e sono per la totale sbrigliatezza sessuale – dice al Foglio – Ma qui l'accusa parla di violenza, di un crimine violento, e quindi va perseguito con tutti i mezzi, chissenefrega se la cosa scandalizza Bernard Henri-Lévy. Dite che far rispettare la legge a prescindere dall'identità dell'indagato è una cosa da puritani? Viva il puritanesimo, allora”.
Sul The Daily Beast Goldberg ha fatto un frontale con il filosofo più engagé di Parigi, definendolo un narcisista, uno che come massimo ideale ha quello di rimirarsi nello specchio dell'elitarismo assieme alle anime belle dei suoi amici. “Si vede come un grande difensore dei diritti universali, ma in realtà seleziona gli argomenti della sua difesa sulla base dell'identità dell'imputato. Ma ci rendiamo conto? Ha fatto una crociata per Polanski in nome del suo status di ‘artista intoccabile' e ora dice che DSK non può essere trattato come tutti gli altri imputati perché è un uomo potente, è pazzesco”. Nella guerra dei mondi, la grande diatriba fra il sistema europeo e quello americano anche in fatto di giustizia, Goldberg ha generalmente idee da Vecchio continente.
E' contro la “perp walk”, contro l'umiliazione dell'imputato, contro i giudizi sulla vita privata dei politici e infatti la notissima fama di donnaiolo godereccio di Strauss-Kahn le scivola addosso. “Le sue inclinazioni private sono totalmente irrilevanti e la sua vita sessuale non c'entra nulla. Qui si tratta di un'accusa di stupro, che a quanto ne so io è una cosa grave. Questo comporta l'umiliazione pubblica, la fine di una carriera politica prima ancora che si arrivi al giudizio? Così è la vita: il nostro sistema giudiziario è perfettibile e io passo il mio tempo a criticarlo, ma in nome della giustizia sono tranquillamente disposta ad accettare qualche effetto collaterale”.
Michelle prende il caso di Arnold Schwarzenegger – che dieci anni fa ha avuto un figlio dalla colf e ora è stato scaricato dalla moglie – per spiegare dov'è la linea di demarcazione fra privato e pubblico: “La vicenda ha in qualche modo influenzato la sua condotta di governatore? No, e allora di che parliamo? Di Schwarzenegger tutti sapevano dell'appetito sessuale, ma a nessuno interessa finché non diventa una questione di legge. Ecco, per noi la linea di demarcazione è la legge, mentre per i moralisti francesi à la BHL è l'appartenenza o meno a una certa cerchia di illuminati”.
Sul caso Schwarzenegger butta altra benzina Franklin Foer, editorialista del magazine liberal The New Republic, di cui è stato a lungo direttore: “Tutti i giornalisti in California sapevano del figlio segreto, ma nessuno ha pubblicato i pettegolezzi sulla cosa semplicemente perché non meritavano di essere resi pubblici, non era una vera notizia perché non aveva niente a che fare con il suo lavoro di pubblico ufficiale”, dice al Foglio. Foer spiega che nella mentalità americana esistono due livelli della vita privata: “Uno è il privato ‘personale', quello che non deborda mai nell'aspetto politico. L'altro è il privato di natura ‘pubblica', che sembra un ossimoro ma non lo è: Strauss-Kahn lo dimostra, così come Schwarzenegger dimostra il primo caso”.
Qual è dunque l'origine di questa spaccatura che divide la cultura europea da quella americana? Siamo sempre al puritanesimo? “Questa interpretazione è ridicola e infatti se la sono inventata i francesi, che giocano a raccontare l'America con una narrativa ipersemplificata. Il problema è che la Francia, così come altri paesi dell'Europa, non si è mai davvero riconciliata con le rivoluzioni culturali degli anni Sessanta e Settanta, che qui abbiamo avuto in una forma completamente diversa e minore come impatto”. Che cos'è che non hanno mai davvero metabolizzato? “Sono rimasti intrappolati nell'elitarismo – un elitarismo sedicente rivoluzionario – e dove non sono riusciti a separare la società secondo questo criterio hanno usato il nazionalismo, un elemento che avevano sotto mano da parecchio tempo. Le grandi rivoluzioni del costume non hanno introdotto l'idea che c'è una legge a cui bisogna rispondere senza sconti, anche se non piace. E pensa che io stesso mi considero un grande critico del sistema legale americano”.
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