Il caso Strauss-Kahn - Storie di manette e di maschi
La fatale storia predatoria del presidente israeliano Katsav, compresi i capitoli di mostrificazione
Il giornale newyorchese The Forward lunedì ha titolato sull'“incubo katsaviano” per Dominique Strauss-Kahn. Il riferimento è all'ex presidente d'Israele, Moshe Katsav, e al caso di violenza sessuale più drammatico, politico e mediatico nella storia dello stato ebraico. Oggi Katsav è semplicemente un “rapist”. Un molestatore, in attesa che la Corte suprema israeliana si pronunci sulla condanna a sette anni che gli ha appena inflitto un'alta corte.
Il giornale newyorchese The Forward lunedì ha titolato sull'“incubo katsaviano” per Dominique Strauss-Kahn. Il riferimento è all'ex presidente d'Israele, Moshe Katsav, e al caso di violenza sessuale più drammatico, politico e mediatico nella storia dello stato ebraico. Oggi Katsav è semplicemente un “rapist”. Un molestatore, in attesa che la Corte suprema israeliana si pronunci sulla condanna a sette anni che gli ha appena inflitto un'alta corte. La presidenza d'Israele è una istituzione cerimoniale che ha un solo compito: onorare lo stato ebraico. Il processo a Katsav ha precipitato nella vergogna, nello scandalo tutto il paese. Benjamin Netanyahu, primo ministro, ha detto della sentenza: “E' un giorno molto triste per Israele, ma anche un giorno in cui si dimostra che ogni cittadino è eguale di fronte alla legge e ogni donna è la sola padrona del suo corpo”.
Per la prima volta un presidente israeliano è stato processato per violenza sessuale. L'inchiesta era partita diversamente dal caso Strauss-Khan. Non c'è stata la denuncia di uno stupro o l'arresto in manette. Nel 2006 Katsav, all'epoca presidente, ha denunciato di essere vittima di un ricatto da parte di una ex dipendente. L'indagine si è rivoltata contro di lui, difeso in aula dal più famoso avvocato israeliano, Avigdor Feldman. Katsav continua a paragonarsi al signor K. del “Processo” di Franz Kafka, ma è molto difficile che la Corte suprema possa ribaltare la decisione. Decisivo è stato sin da subito il ruolo del procuratore generale Menachem Mazuz, accusato da Katsav di essere “investigatore, giudice e boia” e di aver fatto trapelare alla stampa informazioni manipolate, con particolari dell'inchiesta che avrebbero dovuto restare coperti dal segreto istruttorio. Mazuz è una specie di grande inquisitore della politica israeliana. Prima di Katsav aveva indagato Ariel Sharon, Ehud Olmert, ma anche Avigdor Lieberman, l'ex ministro delle Finanze Avrahm Hirchson e della Giustizia Haim Ramon, fino a Yonah Metzger, rabbino capo d'Israele. Capi d'imputazione: dalla corruzione agli illeciti finanziari.
Parte dell'angoscia del caso Katzav deriva dalla sua storia personale, straordinaria e tipica al contempo. Quando venne eletto a capo d'Israele, nel 2000, era semplicemente “la speranza” degli immigrati poveri in un establishment laico e ashkenazita di orientamento laburista, il primo presidente nazionalista, conservatore e religioso. Il primo a introdurre la preghiera giornaliera. Alla sua elezione, Amos Oz scrisse che Katsav era stato scelto “da un insieme di falchi nazionalisti e oltranzisti religiosi”.
Nato in Iran nel 1945, Katsav arrivò in Israele a sei anni in fuga dalle persecuzioni antiebraiche. E nel villaggio di Kiriat Malachi la sua abitazione, come quella di altri immigrati come lui, fu a lungo una mabarà: un campo profughi fatto di tende. Laureato in Economia e in Storia all'Università di Gerusalemme, Katsav ha ricordato il Ddt che gli spruzzarono addosso all'arrivo in Israele: è un figlio della “Israel hashniah”, “la seconda Israele” che non ha fondato lo stato ma ne è stata la manovalanza, forza bruta e demografica. Il sogno di emancipazione degli ebrei poveri è tramortito alla vista di Katsav durante la lettura del verdetto, lui che sbraita “la menzogna ha vinto” e singhiozza fra le braccia di un figlio.
Oggi c'è anche chi, come l'ex ministro della Giustizia e leader delle colombe Yossi Beilin, chiede la grazia per Katsav. Quattro anni di indagini in cui il presidente si è difeso come un leone, rigettando un'offerta di patteggiamento che gli avrebbe permesso di evitare il carcere, pur di dimostrare in aula la propria innocenza. Che ci sia stata una campagna di character assassination lo ha detto anche il presidente del sindacato della stampa in Israele, l'ex magistrato Dalia Dorner. Non a caso uno dei tre giudici del collegio, Yehudit Shevac, aveva chiesto quattro anni, anziché i sette alla fine inflittigli, perché “l'imputato è stato linciato” dai media. “I testimoni sono stati intervistati in libertà, ogni linea rossa è stata varcata e gli sforzi di provare la sua colpevolezza e innocenza sono passati dall'aula di giustizia alla televisione”, ha detto il giudice. Se la sensazione generale è che sulla vicenda di Katzav sia stata “fatta giustizia”, restano però alcune ombre. Il caso è montato di anno in anno e le accusatrici, da una sola misteriosa “Aleph”, alla fine sono diventate nove. Katzav ha sempre detto che le donne implicate erano consenzienti, perfino “innamorate e complici”. Pesanti sospetti sono stati gettati anche sulla composizione del colleggio giudicante: l'arabo George Kara assistito da due donne, Miriam Sokolov e Yehudit Shevac. Il femminismo israeliano ha subito legato il verdetto all'emancipazione del genere. Nurit Tsur, a capo dell'Israel's Women Network, ha elogiato la corte per aver incriminato Katsav l'8 marzo, giornata della donna. La procuratrice Ronit Emanuel ha dedicato la sentenza alle donne e sul giornale della sinistra Haaretz si è parlato dell'esempio negativo di Gila Katsav, la moglie dell'imputato, “donna sottomessa”, religiosa, fedele, remissiva e con cinque figli, tutti ultra osservanti e nazionalisti che studiano negli insediamenti della Cisgiordania.
Il direttore del Jerusalem Post, David Horovitz, parlando con il Foglio nega che ci fossero macchinazioni: “Katsav è un uomo contro il quale le lugubri prove non potevano essere ignorate”. Non la pensa così il professor Hillel Weiss, docente di Letteratura ebraica alla celebre Bar Ilan University: “Conosco Katsav, penso che sia innocente e che in questo processo abbia avuto un ruolo fondamentale l'estremismo femminista che vuole cambiare il linguaggio, la cultura, la legge”. Neri Livneh su Haaretz la mette in questi termini: “La sentenza ha rappresentato il momento della verità per il nostro sistema legale che ha dovuto decidere se l'uomo scelto per essere il cittadino numero uno di Israele ha gli stessi diritti sessuali una volta garantiti ai signori feudali, i re e i principi”. Un po' enfatico, ma è vero che l'intoccabilità non abita in Israele.


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