La staffetta della trattativa
Ciancimino Jr. è alle corde, entra in campo Brusca
Giovanni Brusca si riscalda ai bordi del campo: è pronto, stamattina, a subentrare al povero Massimo Ciancimino, caduto in disgrazia per un photoshop malriuscito e per tredici candelotti di dinamite e ventuno detonatori che teneva nel giardino di casa sua. Indagato per calunnia nei confronti dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro e ora, anche assieme a un amico, per detenzione di esplosivi, il figlio dell'ex sindaco di Palermo non appare più spendibile come prima, per ricostruire trame e trattative.
Giovanni Brusca si riscalda ai bordi del campo: è pronto, stamattina, a subentrare al povero Massimo Ciancimino, caduto in disgrazia per un photoshop malriuscito e per tredici candelotti di dinamite e ventuno detonatori che teneva nel giardino di casa sua. Indagato per calunnia nei confronti dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro e ora, anche assieme a un amico, per detenzione di esplosivi, il figlio dell'ex sindaco di Palermo non appare più spendibile come prima, per ricostruire trame e trattative. Così nel processo Mori oggi tornerà a parlare un capomafia doc: appunto Giovanni Brusca.
Nel dibattimento contro il generale ex del Ros e contro il colonnello Mauro Obinu, Brusca aveva già parlato. Ma dopo essere finito nei guai per avere nascosto un piccolo tesoro e per avere organizzato un'estorsione, mentre scontava la pena tra il carcere e i permessi mensili che gli consentivano di stare cinque giorni al mese in una “località segreta extracarceraria”, il pentito ha avuto un improvviso ritorno di memoria. Pochi giorni dopo avere subito il sequestro dei “piccioli”, infatti, ha ricordato altre cose su Nicola Mancino, indicato come il terminale della trattativa tra mafia e stato e il “committente finale” del papello, la lista delle richieste che Totò Riina avrebbe presentato allo stato per interrompere l'attacco a colpi di bombe. Brusca ha pure detto che Silvio Berlusconi era estraneo alla strategia stragista, ma che fu avvertito – ben prima della sua “discesa in campo”, perché i mafiosi già sapevano che sarebbe diventato presidente del Consiglio – che se non avesse voluto trattare, le bombe sarebbero continuate.
Il premier aveva subito replicato definendo queste dichiarazioni “una follia”. Ma in ogni caso Brusca ha quasi riscontrato Ciancimino, anche su dettagli temporali e altri fatti apparentemente secondari, ma che in tempi di disgrazia per il figlio di don Vito sono alimento vitale per gli assiomi dell'accusa. Resta da capire come Brusca potrà spiegare i ricordi a rate e tardivi, retaggio di altri pentiti come la buonanima di Totò Cancemi.
Ma del resto, Ciancimino è andato avanti così per tre anni e mezzo e nessuno se n'era accorto, né i magistrati né i giornalisti che tanto l'hanno pompato e che ora si sono dimenticati di lui. Al punto che la nuova disgrazia, l'indagine per porto e detenzione di esplosivi, che condivide con un amico da lui trascinato in un mare di guai, rimane ancora una volta relegata tra le brevi di cronaca. Forse, chi lo sa, prima o poi Ciancimino Jr. riceverà magari un secondo ordine di custodia anche per questo reato. La procura non ha potuto agire tempestivamente per motivi tecnico-giuridici, è la spiegazione che danno a Palermo. Ma il fatto resta gravissimo e di enorme pericolo per le vite umane che sarebbe potuto costare un non impossibile “autoinnesco” accidentale della dinamite.
Rimane così apertissimo il problema della “non spendibilità” di Ciancimino Jr. Aggravato dal fatto che ormai non gliene va bene una: aveva indicato un presunto puparo come autore materiale del falso contro De Gennaro. Ma non si trova. Forse il mestatore, un vecchio amico del padre, naturalmente legato ad ambienti dei servizi e al “signor Franco”, gli ha dato un nome che non era quello vero, argomentano i difensori a ogni costo del superteste. Sta di fatto che – sebbene si sia parlato anche di tracce sui tabulati telefonici – l'uomo misterioso non si trova. Attorno a Ciancimino Jr. resta frantumata l'unità antimafia delle procure siciliane. Ieri il procuratore nazionale Pietro Grasso, dopo averlo fatto riunendo i diretti interessati, ha cercato di mettere la buona anche al Csm. Non si sa se sia riuscito nell'intento, perché la prima commissione continua la sua istruttoria e potrebbe decidere, prima o poi, di trasferire qualcuno per incompatibilità ambientale. Il clima non è dei migliori. Lasciando Palazzo dei Marescialli, l'ex procuratore di Palermo se n'è uscito con una frase (“Sono sereno”) che non porta affatto bene. Domandare a Totò Cuffaro per credere.


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