Un frontale a Milano

Pisapia fiacco contro una Moratti sicura. Poi Letizia rovina tutto

Sandro Fusina

Se la nostra sconfinata fiducia nell'umanità non ci assicurasse che ciascun politico i propri discorsi li scrive da sé, ci chiederemmo quale ghostwriter vuol così male al sindaco uscente di Milano per metterle in bocca una dichiarazione come quella con cui Letizia Moratti ha chiuso il faccia a faccia con il suo avversario Giuliano Pisapia organizzata dal telegiornale di Sky.

    Se la nostra sconfinata fiducia nell'umanità non ci assicurasse che ciascun politico i propri discorsi li scrive da sé, ci chiederemmo quale ghostwriter vuol così male al sindaco uscente di Milano per metterle in bocca una dichiarazione come quella con cui Letizia Moratti ha chiuso il faccia a faccia con il suo avversario Giuliano Pisapia organizzata dal telegiornale di Sky.

    Utilizzando un espediente narrativo, magari trito, ma molto usato, cominceremo il racconto dalla fine. Sapere da subito come va a finire un racconto non guasta la suspense e aiuta a leggere in una luce più chiara i particolari. Dell'ultimo minuto a sua disposizione il sindaco si è servita per ribadire la fedeltà alla tradizione e ai modi moderati della sua famiglia, della sua politica e di lei stessa. A noi sono venuti in mente le aule austere del collegio delle fanciulle, i bagni Maitò al Forte (dei Marmi, ndr), qualche serata (rara e breve) al Nepenta, tanto studio, tanta azienda, profondi affetti familiari (ascendenti, collaterali, discendenti), weekend a San Patrignano, più un assegno e un forte impegno personale per ogni buona causa. Così in città ci immaginiamo l'esistenza di una signora moderata (e benestante) nella Milano austera di san Carlo (il passato familiare non può contare: non era lo stesso san Carlo nipote riconoscente di un tremendo avventuriero come il Medeghino?). Gli ultimi dieci secondi dell'ultimo minuto la signora Moratti li ha utilizzati per suggerire che il suo avversario, l'avvocato Pisapia, nonostante il blazer, i pantaloni crema, il buon nodo della cravatta e la fisionomia di viveur fin-de-siècle, a quella tradizione moderata non apparteneva: se non altro perché la Corte d'assise lo aveva in un passato lontano, ma imperdonabile, condannato per il furto di un'auto a scopo di rapimento e percosse di un ragazzo. Condanna amnistiata, e poi ribaltata in appello su ricorso dell'amnistiato. Noi in città abbiamo capito subito che si faceva riferimento a quel passato là, a quell'area grigio-rossa della contestazione, i cui contorni sfumati si sovrapponevano ai contorni della lotta armata. Mentre il trillo di fine partita si confondeva con la sua ultima parola, il sindaco si alzava tendendo la mano allo sfidante, il quale invece ritraeva la sua e minacciava querela in quanto in un ulteriore grado era stato assolto con formula piena dal reato di “concorso morale in furto d'auto”.

    A giudicare infelice l'uscita della signora Moratti sono stati in molti. Tanto più che nel confronto Pisapia era stato piuttosto fiacco, inefficace, incapace di smontare con argomenti decisivi i buoni risultati che il sindaco attribuiva alla sua amministrazione. Certo, c'era stata quella domanda (davvero irrilevante per il futuro di una città) sull'idea berlusconiana di giustizia, che la signora Moratti aveva ignorato per elencare invece i numeri e le percentuali dei suoi successi. Raccontare della condanna al suo avversario non voleva essere un modo indiretto di affermare la sua fiducia nell'operato della giustizia?