La morte di Weylandt irrompe al Giro e si prende tutto
La corsa e la vita. La morte del ventiseienne corridore belga Wouter Weylandt irrompe al Giro d'Italia e si prende tutto, rapina la carovana. Si può, si può morire per una corsa come si può ma non si deve morire sul lavoro, insegna la storia del ciclismo professionistico. Così si guarda indietro per non guardare allo strazio di un uomo caduto sulla strada. Inutili i tentativi di rianimarlo.
La corsa e la vita. La morte del ventiseienne corridore belga Wouter Weylandt irrompe al Giro d'Italia e si prende tutto, rapina la carovana. Si può, si può morire per una corsa come si può ma non si deve morire sul lavoro, insegna la storia del ciclismo professionistico. Così si guarda indietro per non guardare allo strazio di un uomo caduto sulla strada. Inutili i tentativi di rianimarlo, il suo corpo steso fracassato sulla strada che discende dal Passo del Bocco a Borgonovo Ligure.
Inutile ma umano ricordare le tragedie del passato più o meno recente. Tanti rammentano la morte dell'olimpionico Fabio Casartelli al Tour de France del 1995. Weylandt è strappato da una vita da gregario evasa in rare occasioni. Un anno fa il corridore alzava le braccia al cielo giusto al Giro. Oggi i suoi colleghi si sono arresi – una maledetta volta di più – all'evidenza. I rischi del mestiere, si dice ma non si pensa. Si pensi che il ciclismo resiste sport evidentemente, spietatamente vero. E la corsa in qualche modo ripartirà. Il gruppo riprenderà a pedalare con le lacrime agli occhi. Si convincerà che è per il vento contrario.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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