Meno male che Guantanamo c'è?
L'uccisione di Osama, come scritto nel Foglio di oggi, è partita da Guantanamo, il carcere di massima sicurezza che la Casa Bianca ha voluto per combattere il terrorismo dopo l'attacco alle Torri Gemelle del 2001. L'operazione dei Seal del primo maggio ha riaperto il dibattito sull'architettura giuridica della guerra al jihadismo, sulla necessità di prevenire stragi terroriste, sui limiti da rispettare nel condurre le attività di raccolta delle informazioni di intelligence.
Lettori del Foglio on line, cosa ne pensate? Dite la vostra su Hyde Park Corner, Twitter o Facebook
L'uccisione di Osama, come scritto nel Foglio di oggi, è partita da Guantanamo, il carcere di massima sicurezza che la Casa Bianca ha voluto per combattere il terrorismo dopo l'attacco alle Torri Gemelle del 2001.
L'operazione dei Seal del primo maggio ha riaperto il dibattito sull'architettura giuridica della guerra al jihadismo, sulla necessità di prevenire stragi terroriste, sui limiti da rispettare nel condurre le attività di raccolta delle informazioni di intelligence e sulla natura di un nemico brutale che non si fa nessuno di questi problemi nel condurre la sua guerra santa contro gli infedeli.
Quotidiani liberal e organizzazioni umanitarie hanno più volte denunciato le tecniche di interrogatorio utilizzate dagli agenti della Cia a Guantanamo. Leon Panetta, capo della Cia, ha assicurato che senza le informazioni ottenute con gli interrogatori di Guantanamo, non sarebbero arrivati mai alla cattura di Osama (qui la trascrizione dell'intervista alla Pbs news). Fu lo stesso Barack Obama, subito dopo la sua elezione, a dire che non avrebbe mollato le “extraordinary rendition”, ovvero la pratica di catturare terroristi all'estero e trasferirli in paesi terzi dove le norme sugli interrogatori sono meno rigide (qui il commento di Christian Rocca).
Il dibattito è vivo sia sui giornali italiani che su quelli stranieri. Il New York Times intervista ex membri della Cia e del Pentagono mentre il Wall Street Journal racconta la via tra Guantanamo e Abbottabat. Bob Barr invece, chiede addirittura la revisione della carta dei diritti dei prigionieri.
Nel 2009 il Foglio ha spiegato la strategia di Obama nei confronti dei prigionieri di guerra, ed è stato lo stesso Bush, nella sua autobiografia, a dire che “le informazioni ottenute dagli interrogatori della Cia hanno fornito più della metà di quello che l'intelligence sapeva di al Qaida. Gli interrogatori ci hanno aiutato a sventare attentati a militari e diplomatici americani all'estero, all'aeroporto di Heathrow, al Canary Wharf a Londra e a diversi obiettivi sul suolo americano. Gli uomini dell'intelligence mi hanno confermato che senza il programma di interrogatori della Cia ci sarebbe stato un altro attacco agli Stati Uniti”.
Il carcere di Guantanamo e la gestione dei detenuti della guerra al terrorismo hanno continuato a essere un gran problema per il presidente Barack Obama, ma la sua chiusura, soprattutto dopo la morte di Bin Laden, è sempre più lontana. Il nostro corrispondente da New York, Mattia Ferraresi, è stato nel carcere cubano a febbraio, e ce lo ha raccontato. Di qualche settimana fa, poi, le rivelazioni di Wikileaks su Guantanamo. Sicuramente le informazioni date da Khalid Sheikh Mohammed, sottoposto per 183 volte al “waterboarding”, l'annegamento simulato, incrociate con quelle del messaggero Abu Ahmad, sono state fondamentali per la cattura e l'esecuzione di Osama, il leone jihadista.
Lettori del Foglio on line, cosa ne pensate? Dite la vostra su Hyde Park Corner, Twitter o Facebook


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
