Come e perché siamo arrivati alle bombe sulla Libia
Dove andrà quel mezzo milione di profughi in fuga dalla Libia? Si è cercato di dare risposta a questa domanda proprio nel ventinovesimo vertice italo-francese in corso oggi a Roma. Al termine dell'incontro Berlusconi-Sarkozy, Italia e Francia hanno chiesto all'Europa una revisione del trattato di Schengen che permetta di intensificare i controlli nei casi di emergenza, ma anche maggiore solidarietà ai partner comunitari.
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Dopo una lunga telefonata con il presidente americano, Barack Obama, ieri il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha annunciato una decisione (pare) presa dopo l'incontro di una settimana fa a Roma con il capo dei ribelli libici, Mustafa Abdul Jalil: anche l'Italia bombarderà con raid mirati obiettivi specifici sul suolo libico. Subito dopo l'incontro con Jalil, il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, aveva dichiarato la possibilità di fornire ai ribelli “radar e tecnologia in grado di bloccare gli apparati di comunicazioni”.
Durante la conferenza stampa a Villa Madama con il presidente francese, Nicolas Sarkozy, il premier Berlusconi ha detto che il governo ha deciso di "accettare le richieste degli alleati" che hanno spinto per una maggiore partecipazione delle nostre forze armate alle operazioni in Libia perché "non volevo che l'Italia fosse considerata una partecipante, ma non a pieno titolo". Il Cav. ha poi precisato che l'Italia "non effettuerà bombardamenti ma solo lanci di «razzi di precisione su obiettivi militari". Eppure, la missione di Libia è iniziata tardi e male, e sembra andare peggio.
Rassicurazioni sono arrivate oggi anche dal capo dello stato, Giorgio Napolitano, che ha detto: "L'ulteriore impegno dell'Italia in Libia costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta dall'Italia a marzo, secondo la linea fissata nel Consiglio supremo di difesa da me presieduto e quindi confortata da ampio consenso in Parlamento".
Obama, nel lungo discorso del 28 marzo alla National Defense University, ha spiegato le ragioni del coinvolgimento americano nell'intervento militare in Libia. I punti chiave erano: l'operazione sta funzionando, ha l'appoggio della comunità internazionale, gli Stati Uniti stanno riducendo il loro ruolo militare e non ci saranno forze americane sul suolo libico. Il Foglio ha poi raccontato la guerra culturale tra Obama e i suoi generali e le quattro buone ragioni per non farsi prendere dalla tentazione di armare i ribelli libici. Ma le domande che ci siamo posti nel corso dell'azione militare sono tante: quanto può resistere ancora il colonnello Gheddafi? E sì, Gheddafi “must go”, ma come?
Abbiamo raccontato la storia della volpe occidentale insabbiata, e perché l'idea di un'operazione internazionale rapida e schierata senza equivoci dalla parte del bene, di una spintarella a una rivoluzione popolare araba che stava per essere soffocata nel sangue da un despota più feroce degli altri, sta fallendo.
Nell'escalation militare poi ci siamo posti il problema del ruolo di Sarkozy, che ha spinto per l'intervento militare in Libia per un mese. La leadership dell'alleanza, inoltre, si lega al problema dei profughi e degli immigrati che da mesi sbarcano sull'isola di Lampedusa ma che la Francia continua a respingere. Dove andrà quel mezzo milione di profughi in fuga dalla Libia? Si è cercato di dare risposta a questa domanda proprio nel ventinovesimo vertice italo-francese in corso oggi a Roma. Al termine dell'incontro Berlusconi-Sarkozy, Italia e Francia hanno chiesto all'Europa una revisione del trattato di Schengen che permetta di intensificare i controlli nei casi di emergenza, ma anche maggiore solidarietà ai partner comunitari.


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