Tremonti politico
In una perfetta intervista dissimulata a Francesco Verderami, celebre retroscenista del Corriere con venature di instant historian della politica, martedì Giulio Tremonti ha dato il meglio del suo sé politico. Che sia capace di puntellare i conti pubblici è risaputo, e per questo gode di una stima generale nonché della comprensibile stizza di un governo indebolito politicamente dal suo rigore intransigente, e dei suoi membri più conviviali.
In una perfetta intervista dissimulata a Francesco Verderami, celebre retroscenista del Corriere con venature di instant historian della politica, martedì Giulio Tremonti ha dato il meglio del suo sé politico. Che sia capace di puntellare i conti pubblici è risaputo, e per questo gode di una stima generale nonché della comprensibile stizza di un governo indebolito politicamente dal suo rigore intransigente, e dei suoi membri più conviviali. Che gli riesca tuttora difficile delineare un intervento serio per la crescita, nel medio termine l'unica soluzione seria per i problemi sociali ed economici del paese come per la stabilizzazione e riduzione del peso del debito pubblico, anche questo è abbastanza risaputo e oggetto, tra le altre, delle nostre critiche. Ma il Tremonti politico, da sempre un'incognita, stavolta è uscito dal vago su un punto essenziale: il realismo. Finché Berlusconi non decide di mollare, e bisogna anche vedere perché e in quali condizioni, non c'è alcuna alternativa alla sua leadership nel centro destra, tantomeno una alternativa di centrosinistra, che non si vede da lungi o dappresso. Questo giudizio, nella sua oggettività, spazza via quel clima di inimicizie personali e di pettegolezzo dei piccoli gruppi così in voga nel Popolo delle libertà, un vociare inane che è saggio tenere distinto da risolvibili problemi di assetto del partito-non-partito di nome Pdl, la creatura di quasi due decenni di personalismo berlusconiano nella riforma della politica italiana. Il Tremonti politico, e non è poco, è il ministro dell'Economia, con il potere concentrato che gli hanno conferito la legge e le scelte concrete del premier, accompagnate da sofferenze per il carattere non malleabile con cui questo potere è rivestito.
Tremonti la politica l'ha fatta e la fa, da questo podio che tra poco sarà stato suo per quasi un decennio. Si tratta di accreditamento in Europa, di tessitura di legami e reciproci condizionamenti politicamente significativi nel mondo finanziario e bancario, di una certa capacità di comunicare i contenuti difficili della politica economica e di bilancio, di una tendenza visionaria riguardo i rapporti tra stato e mercato, con alti e bassi come tutte le cose di questo mondo. Ma il punto forte è la rappresentanza di un interesse nazionale che si fonda sullo sbocco dato con il federalismo fiscale alle ansie produttiviste e autonomiste delle regioni del Nord, le più ricche e operose e popolose. Un progetto riformista in cui è integrata pienamente, anche in funzione di guida, la Lega di Bossi, che con Tremonti, ed è un altro dato politicamente rilevante, intrattiene una relazione speciale di fiducia. E' ovvio che questo patrimonio politico, privo di riscontri nella logica più tradizionale della nomenclatura partitica e delle sue sensibilità, è una forza del centrodestra, e naturalmente dello stesso Tremonti, uno special one ammirato e invidiato. Quando avrà capito come trasferire questa forza alla leadership generale del governo e della maggioranza, e non è impossibile, Tremonti sarà candidato naturale a condividere l'eredità politica berlusconiana, meglio tardi che mai.


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