I quattro fronti dei capitalisti, giovani o arzilli, sul futuro dell'appetita Rcs
I capitalisti sono tigri di carta, sosteneva Mao nel Libretto rosso, e secondo molti osservatori il lato cartaceo degli stravolgimenti che hanno portato alle dimissioni di Cesare Geronzi da Generali intercetta quello che è il vero obiettivo di Diego Della Valle e del fronte dei “giovani anziani”, come Geronzi li ha definiti due giorni fa sul Corriere della Sera, cioè proprio la conquista definitiva del quotidiano di via Solferino. Proprio dal fronte Corriere, Della Valle aveva iniziato a gennaio la sua campagna di offensiva e logoramento contro Geronzi, accusato di fare il giro delle sette chiese ogni qual volta la poltrona di direttore del Corriere fosse traballante. “Se io fossi libero di scegliere”, aveva spiegato il patron di Tod's in una puntata dell'"Infedele" di Gad Lerner “saremmo pronti a salire, ma moltissimo, in Rizzoli, perché ritengo che abbia un grande futuro, le nuove tecnologie sono alle porte, l'azienda è ben condotta, comincia ad essere razionalizzata in modo intelligente”.
di Michele Arnese e Michele Masneri
I capitalisti sono tigri di carta, sosteneva Mao nel Libretto rosso, e secondo molti osservatori il lato cartaceo degli stravolgimenti che hanno portato alle dimissioni di Cesare Geronzi da Generali intercetta quello che è il vero obiettivo di Diego Della Valle e del fronte dei “giovani anziani”, come Geronzi li ha definiti due giorni fa sul Corriere della Sera, cioè proprio la conquista definitiva del quotidiano di via Solferino. Proprio dal fronte Corriere, Della Valle aveva iniziato a gennaio la sua campagna di offensiva e logoramento contro Geronzi, accusato di fare il giro delle sette chiese ogni qual volta la poltrona di direttore del Corriere fosse traballante. “Se io fossi libero di scegliere”, aveva spiegato il patron di Tod's in una puntata dell'"Infedele" di Gad Lerner “saremmo pronti a salire, ma moltissimo, in Rizzoli, perché ritengo che abbia un grande futuro, le nuove tecnologie sono alle porte, l'azienda è ben condotta, comincia ad essere razionalizzata in modo intelligente”. Poi l'imprenditore marchigiano ha confermato la sua aspirazione, invitando Generali a vendere la quota in Rcs, trovando l'ostilità di Geronzi.
Al momento c'è chi parla negli ambienti finanziari, senza però che si trovino conferme, di un accordo in fieri con l'imprenditore milanese Giuseppe Rotelli, che negli ultimi anni ha accumulato una quota complessiva di oltre l'undici per cento in Rcs tra azioni e opzioni, e che da dicembre 2010 è entrato a far parte del consiglio di amministrazione. Rotelli e Della Valle si sono peraltro astenuti insieme nell'ultimo consiglio di amministrazione di Rcs che aveva approvato il nuovo piano industriale. La presa di potere di Della Valle su Rcs avrebbe portata “sistemica” in quanto ufficializzerebbe la svolta generazionale e insieme terzista con l'affermazione anche di un altro esponente dei giovani sessantenni come Luca Cordero di Montezemolo. Ma i progetti “generazionali” su Rcs non sono scontati: innanzitutto a partire dalla governance di via Solferino. “C'è un patto e non posso comprare per due anni”, aveva riconosciuto lo stesso Della Valle dopo l'ultima riunione dei soci forti che avevano confermato il patto di sindacato: patto che è appena stato rinnovato e che andrà in scadenza naturale nel 2014. Certo, potrebbe essere sciolto, ma alla pars destruens di Della Valle negli ambienti finanziari è accreditata l'idea, attribuita al presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, dominus proprio di Rcs, secondo cui non sarebbe il momento di andare a uno stravolgimento negli equilibri dell'azienda (posizione che era condivisa anche da Geronzi, e l'alleanza tra i due era stata anzi rinsaldata negli ultimi tempi proprio dagli attacchi di Mister Tod's ai due “arzilli vecchietti”, poi diventati uno, ossia Geronzi, dopo una rettifica dello stesso Della Valle).
Terza incognita è quella di Mediobanca, primo azionista Rcs con il 14 per cento circa. In colloqui privati il presidente di Piazzetta Cuccia, Renato Pagliaro, ha detto di auspicare personalmente che la quota nel gruppo editoriale sia ceduta. Resta da vedere come la banca d'affari milanese affronterà ora il dossier delle partecipazioni strategiche (dunque in primis proprio Rcs) dopo la fine, vera o presunta, del “capitalismo relazionale” dell'era Geronzi.
Infine, quarto scenario per il gruppo editoriale presieduto da Piergaetano Marchetti è quello della public company di stampo anglosassone. Idea prospettata da Massimo Mucchetti nel suo saggio “Il baco del Corriere” (Feltrinelli, 2006) in cui si prospettava l'ipotesi di una Rcs ad azionariato diffuso e contendibilità zero, introducendo tetti di possesso azionario minimi, affidando la scelta del direttore a un board of trustees e attribuendo a un azionista speciale un potere di veto contro scalate corsare. Ipotesi che è stata fatta propria, seppure sotto altre forme, da Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit e figura in netta ascesa nella finanza italiana. “Credo che Mediobanca debba uscire dall'editoria – ha detto Palenzona il 17 marzo scorso proprio a Mucchetti in un'intervista al Corriere – vi era entrata dopo la P2. L'Italia è cambiata. Ma sarebbe bene uscire assieme agli altri garantendo l'indipendenza del Corriere dal potere politico e dai poteri economici anche sul piano formale e societario. Per capirci, banche e assicurazioni hanno gli stessi conflitti d'interesse dei grandi industriali. Un editore puro o una public company vera, con i giusti statuti, sarebbero meglio”.
di Michele Arnese e Michele Masneri


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