Colbertismo antifrancese

Redazione

Ieri il governo ha autorizzato il ministro dell'Economia “a predisporre ed attivare strumenti di finanziamento e capitalizzazione, analoghi a quelli in essere in altri paesi europei, mirati ad assumere partecipazioni in società di interesse nazionale rilevante in termini di strategicità del settore, e di livelli occupazionali”. La nota di Palazzo Chigi precisa che Parmalat è inclusa “nella casistica”. E' esattamente ciò che Giulio Tremonti aspettava per muovere la Cassa depositi e prestiti (Cdp) a difesa dell'italianità dell'azienda di Collecchio, e non solo, contro le sempre più arrembanti mire francesi.

    Ieri il governo ha autorizzato il ministro dell'Economia “a predisporre ed attivare strumenti di finanziamento e capitalizzazione, analoghi a quelli in essere in altri paesi europei, mirati ad assumere partecipazioni in società di interesse nazionale rilevante in termini di strategicità del settore, e di livelli occupazionali”. La nota di Palazzo Chigi precisa che Parmalat è inclusa “nella casistica”. E' esattamente ciò che Giulio Tremonti aspettava per muovere la Cassa depositi e prestiti (Cdp) a difesa dell'italianità dell'azienda di Collecchio, e non solo, contro le sempre più arrembanti mire francesi. Dunque, quando oggi il cda di Parmalat deciderà sullo slittamento dell'assemblea dal 12 aprile al 30 giugno, potrà trovarsi sul tavolo, oltre al 29 per cento della francese Lactalis, anche la sospirata cordata italiana con dentro, oltre a Banca Intesa e altri partner finanziari e non, anche la Cdp presieduta da Franco Bassanini e guidata dall'ad Giovanni Gorno Tempini. “No comment”, dicevano ieri sera dalla società controllata al 70 per cento dal ministero dell'Economia. Sarebbe infatti necessaria anche una modifica dello statuto, ma quella si potrà fare in seguito.

    In discussione non è solo l'italianità del latte ma tutto ciò che è successo negli ultimi mesi, e che potrebbe ripetersi nei prossimi. Il primo allarme era suonato a fine 2010 quando Groupama aveva puntato sulla Premafin di Salvatore Ligresti attraverso un semplice accordo finanziario. Premafin è la holding di Fondiaria-Sai, e Fonsai è tra le altre cose nel patto di sindacato di Mediobanca (come Groupama), nonché di Rcs. Insomma, di quello che in ambienti governativi viene definito il nocciolo radioattivo della finanza italiana. La Consob presieduta da Giuseppe Vegas ha poi imposto a Groupama di lanciare un'opa (offerta pubblica di acquisto) sia su Premafin, sia a cascata su Fonsai: operazione ingestibile per i francesi, che hanno rinunciato all'opa obbligatoria. Secondo intervento, sul tentativo di Edf di prendere il controllo di Edison, pagando gli italiani di A2A con alcune centrali. Giulio Tremonti ha convocato negli scorsi giorni a Milano i sindaci di Milano e Brescia Letizia Moratti e Adriano Paroli – entrambi pdl – come azionisti di A2A, con Henri Proglio, presidente di Edf, in videoconferenza. Richiesta tremontiana: slittamento di un anno. Reazione immediata di un infuriato Proglio: “À la guerre comme à la guerre”. Reazione successiva: la sostituzione dell'ad Umberto Quadrino con un manager francese. Contromossa di Tremonti: allertamento di Eni (recalcitrante) ed Enel. Infine la Parmalat, mentre all'orizzonte si profila la scadenza del lock up dell'Alitalia, dove Air France-Klm è prima azionista con il 25 per cento.

    Quello del ministro è un colbertismo pragmatico e tenue, che a fianco di giganti come la Cassa depositi e prestiti e di grandi gruppi a controllo pubblico come Eni ed Enel riscopre il ruolo potenziale di aziende pubbliche neglette o in via di smantellamento: tipo Fintecna, la finanziaria che ha ereditato aziende e partecipazioni della vecchia Iri, e Invitalia, l'ex Sviluppo Italia ora trasformata in agenzia per l'attrazione degli investimenti. Ma che ha in realtà due obiettivi strategici. Il primo nasce dall'ennesima conferma di come le banche italiane siano quelle che hanno goduto nella crisi di minori aiuti pubblici: 1,45 miliardi di euro, rispetto ai 417 della Germania, ai 2 mila degli Stati Uniti e agli 85 della Francia. E ora, è il ragionamento tremontiano, i capitali esteri danno l'assalto alle nostre aziende con i denari dei loro contribuenti. Argomento tra l'altro giudicato spendibile sui tavoli di Bruxelles. Il secondo obiettivo è trasformare l'ex sonnacchiosa Cassa depositi e prestiti in una forza di intervento e proiezione rapida, come l'Fsi francese (partecipata al 51 per cento dalla Caisse des Dépôts e al 49 dallo stato), o la Kfw tedesca, a controllo pubblico (80 stato, 20 länder). Uno strumento che potrebbe risultare utile anche per il nostro sistema bancario alla luce dei risultati dei prossimi stress test: collegando così i due obiettivi.