Presidente e imputato
Ripresa in mano la guida della maggioranza e del governo, che è il mestiere per il quale ha chiesto e ottenuto un mandato elettorale, Berlusconi ha deciso di adeguarsi anche al suo status di superimputato. Non si fa mancare niente, il presidente del Consiglio. La sua tigna e i suoi show sfidano l'accanimento di magistrati che lo considerano il nemico assoluto e lo combattono sul crinale che fa da confine tra giustizia e politica, un luogo pericoloso per una democrazia.
Ripresa in mano la guida della maggioranza e del governo, che è il mestiere per il quale ha chiesto e ottenuto un mandato elettorale, Berlusconi ha deciso di adeguarsi anche al suo status di superimputato. Non si fa mancare niente, il presidente del Consiglio. La sua tigna e i suoi show sfidano l'accanimento di magistrati che lo considerano il nemico assoluto e lo combattono sul crinale che fa da confine tra giustizia e politica, un luogo pericoloso per una democrazia. La partecipazione del premier ai processi che lo assediano rivela qualcosa di grottesco: siamo in una fase di rapida moltiplicazione delle emergenze, dalla Libia all'energia, dall'immigrazione selvaggia alle guerre finanziarie e industriali, ma il capo del governo deve spendere il suo tempo a difendersi in giudizio per questioni di commercio in diritti televisivi (frode fiscale) o di pagamenti fatti a un suo avvocato (corruzione in atti di giustizia) o di feste private nella sua residenza (prostituzione minorile).
I magistrati pretendono una piena immunità per gli illeciti disciplinari e per altri gravi comportamenti, che devono essere esaminati e discussi prima di tutto dai loro pari in un Consiglio superiore della corporazione a maggioranza togata, e devono essere sottratti perfino alla responsabilità civile verso cittadini conculcati nei loro diritti; ma considerano scandalosa l'idea di una tutela della politica dal fumus persecutionis, idea nata insieme con la Repubblica e la Costituzione, fissata con chiarezza nell'articolo 68 poi cancellato sotto l'offensiva del terrore giudiziario del 1993.
Con la decisione di presentarsi in giudizio, e di portare nei dibattimenti la sua autodifesa politica oltre che tecnica, Berlusconi questa contraddizione istituzionale vistosa la fa saltare.
Rimpiangerete i lodi Maccanico, Schifani e Alfano – sembra dire – perché io certo non mollo, e sarete individuati voi magistrati militanti, voi stampa e politica irresponsabile, come fattori di instabilità e di anarchia istituzionale. A prescrizione sospesa, rinviare i procedimenti giudiziari per le alte cariche dello stato al momento della loro decadenza dal ruolo è una misura di buonsenso che è stata cassata per la pretesa di abbattere brutalmente e antidemocraticamente un outsider considerato arcinemico dalla Repubblica dei parrucconi e da forti interessi costituiti. Cercando il famoso giudice a Berlino, il Berlusconi privato si mette nei panni del mugnaio prussiano e indica nel circuito mediatico-giudiziario, come un popolano qualsiasi, il vero corpo di un potere esercitato in modo ribaldo ed eminentemente politico, cioè contro ogni vero criterio di giustizia. C'è da augurarsi che lo show processuale di Berlusconi solleciti poteri neutri responsabili a cercare un riparo per le istituzioni e la separazione dei poteri, messe in discussione da una prassi giacobina della legalità come arma di lotta civile. Il Cav. non aveva alternative.


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