Nichi Vendola sta diventando un tipaccio

Giuliano Ferrara

Questo Vendola sta rivelandosi un tipaccio. Aveva cominciato altrimenti, con l'esibizione magari stucchevole di una filialità e di una universale disponibilità all'amicizia che complicava in modo interessante le regole della politica. Era un dolce prodotto mediterraneo, un segugio del consenso incapace di strapparsi dai propri ideali molto cantati e vantati, sul modello tenero e lirico del cerasiano Nichi-ma che-stai-a-di'. Che gli è successo? Ora cammina con le scarpe chiodate di un Di Pietro qualsiasi.

    Questo Vendola sta rivelandosi un tipaccio. Aveva cominciato altrimenti, con l'esibizione magari stucchevole di una filialità e di una universale disponibilità all'amicizia che complicava in modo interessante le regole della politica. Era un dolce prodotto mediterraneo, un segugio del consenso incapace di strapparsi dai propri ideali molto cantati e vantati, sul modello tenero e lirico del cerasiano Nichi-ma che-stai-a-di'. Era un igenuo cantastorie del solito mondo debole e tirannico evocato per demagogia grossolana dalla sinistra pauperista e cattolico comunista, magari sfruttato dai cinici e incline anche lui a un inconsapevole cinismo, ma eccelleva in tatto e furbizia politica, distillava una certa buona educazione, portava orecchino e cultura gay come un certificato di autenticità e di nonviolenza, con un'aria domestica, di famiglia, che a tratti incantava.

    Che gli è successo? Ora cammina con le scarpe chiodate di un Di Pietro qualsiasi, avvampa di banalità inquisitoriale come un qualunque Saviano di passaggio, trasforma la sua vitalità in vitalismo negativo, in attacchi ad personam, in spropositata ambizione personale. Ha lasciato a sé stessa la regione-laboratorio in cui sembrava volesse sperimentare gli effetti di buongoverno di un potere benedetto dalle mamme. Si è disincagliato da un sistema di potere che lo stava attirando nel solito gorgo delle pratiche spregiudicate di clientelismo e affarismo, ma solo per sentirsi self righteous, al di sopra degli altri umanamente e moralmente, e comportarsi di conseguenza. La sua oratoria sghemba e un tanto ridicola si è rinsecchita, ha perso quella piccola aura di simpatia e di dedizione, se non di devozione, che faceva di lui e del suo giro un caso a sé. Si è in un torno troppo breve di tempo grottescamente omologato agli stilemi del gruppo burocratico che diceva di voler combattere.

    Ad Annalena e a me era molto piaciuta la foto pubblicata dal Giornale, la festa dei corpi in vacanza sulla spiaggia, nudi e spavaldi. Ma la reliquia parla di una allegra santità passata, smentita da pratiche attuali di consunta e convenzionale laicità del discorso politico effettivo. Sicché tutti quegli aggettivi roboanti e trasversali, che parlano di ideologia e di polvere della storia, sono diventati piccoli veleni del quotidiano politico, tentativi di gareggiare sulla via del peggio con la piccola folla di demagoghi che si battono per spartirsi la memoria di una leadership piddì ormai virtualmente estinta. Nichi-ma-che-stai-a-fa'.

    Il lascito di Bertinotti, gran signore di un comunismo surreale, era pur sempre ricco: la nonviolenza, prima di tutto verbale, e il garantismo giuridico sempre coltivato con cura meticolosa e sovrano disdegno per gli arruffapopoli in toga. Bertinotti ha fallito un cartello elettorale e dissipato una forza potenziale, ragion per cui ha con eleganza ritirato sé stesso dalla pugna, riservandosi un ruolo magisteriale autorevole negli ambienti che lo hanno seguito e amato per anni nelle sue traiettorie non senza importanza per la politica italiana di questi anni. Ma una battaglia perduta non autorizza gli eredi del capo a cambiare natura, basta cambiare tattica o aggiustare anche radicalmente la strategia. In Vendola si nota invece una mutazione genetica che può avere esiti autolesionistici e maleducare ancora una volta giovani generazioni di italiani invitati a un party ribaldo con l'ideologia, sconsigliati alla pratica di una libera e responsabile lotta politica senza il trucco brutale della diffamazione, della sparata grossa, della character assassination.

    Forse Vendola, che si proclama pasoliniano ogni due per tre, soffre della stessa sindrome finale di PPP, la disperazione di vivere unita a una caparbia volontà di potenza, tutt'uno di corpo e anima, di desiderio e psiche. Caro Nichi, vatti a rivedere “La ricotta” e riprenditi dal tuo poeta preferito le doti di ironia e di scrittura corsara che in rari ma sicuri momenti della sua vita lo hanno reso ricco di amore e di senso di giustizia, e dismetti la torvaggine culturale e civile del pasolinismo e dei pasolinidi pieni di orrore per la vita e di pietà per gli altri e per se stessi. Nichi-cerca-de-rinsavi'.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.