Domani nel Foglio in edicola due pagine speciali
Generali è ormai un western
Nel Foglio in edicola domani Giuliano Ferrara, Carlo Calenda, animatore di Italia Futura, Giorgio Meletti, giornalista del Fatto e Oscar Giannino, editorialista del Messaggero, dibattono su Generali e "La rivoluzione del capitalismo italiano che (non) si farà".
Attorno al Leone di Trieste si svolge un gioco delle ombre degno di Luigi Pirandello. C'è (come può mancare?), l'ombra di Enrico Cuccia che ha fatto di tutto, ma davvero tutto, per difendere il triangolo Mediobanca-Generali-Corriere della Sera. C'è l'ombra, un tempo inimmaginabile, dei parvenu europei come l'oligarca ceco Petr Kellner.
Nel Foglio in edicola domani Giuliano Ferrara, Carlo Calenda, animatore di Italia Futura, Giorgio Meletti, giornalista del Fatto e Oscar Giannino, editorialista del Messaggero, dibattono su Generali e "La rivoluzione del capitalismo italiano che (non) si farà".
Attorno al Leone di Trieste si svolge un gioco delle ombre degno di Luigi Pirandello. C'è (come può mancare?), l'ombra di Enrico Cuccia che ha fatto di tutto, ma davvero tutto, per difendere il triangolo Mediobanca-Generali-Corriere della Sera. C'è l'ombra, un tempo inimmaginabile, dei parvenu europei come l'oligarca ceco Petr Kellner. C'è la haute finance prima rappresentata da Antoine Bernheim e oggi dal suo poulain Vincent Bolloré (lo considera sempre un figlio, anche se l'ha “tradito” nell'ultima battaglia per la presidenza di Generali). Mentre l'ombra del potere romano irrompe (con Cesare Geronzi e Francesco Gaetano Caltagirone) in quel mondo da marcia di Radetzky, dove risuonano le parole di Roth, Musil e Kafka.
E non mancano i nuovi capitalisti, usciti dai cespugli e dai distretti, per ambire a ruoli nazionali, come Diego Della Valle che di Generali non possiede un'azione, ma siede in consiglio e vuole determinarne le strategie. A mano a mano che le parvenze si rincorrono sullo schermo, cambiano anche le trame. Uno, nessuno, centomila. A differenza da quel che accadeva un tempo, però, le ombre vengono oggi proiettate da riflettori potenti: interviste, spifferate, gesti teatrali.
L'ultima incursione arriva da tre consiglieri indipendenti che chiedono al presidente di chiarire una opzione stipulata con Kellner (tre miliardi di euro garantiti se vende la sua quota del 49 per cento nella joint venture Ppf creata quattro anni fa con Generali). “Data la chiarezza della situazione, non ricorrono i presupposti di una mia dichiarazione”, ha risposto ieri Geronzi. La faccenda l'ha tirata fuori Bolloré, giustificando così la sua astensione sul bilancio della compagnia triestina. Un voto che lo ha portato in rotta di collisione con Alberto Nagel, vicepresidente di Generali e amministratore delegato di Mediobanca della quale il finanziere bretone è azionista nonché garante per quel 10 per cento in mano ai soci francesi. Tra essi, Groupama con un pacchetto del 4,97. Sì, Groupama, proprio la stessa compagnia di assicurazioni che ha cercato di scalare Premafin, cassaforte del gruppo Ligresti in serie difficoltà. L'interesse dei francesi non è nelle attività immobiliari dell'ingegnere siciliano, ma nella Fondiaria Sai, terza compagnia di assicurazioni italiana. E Bolloré ci mette del suo per dare una mano. Che intreccio. Nemmeno Gioacchino Rossini riuscirebbe a dipanarlo.
L'operazione viene bloccata dal nuovo presidente della Consob, Giuseppe Vegas, già vice di Giulio Tremonti. Sconfessando un parere degli stessi uffici tecnici, chiede che Groupama accetti le regole del mercato: se vuole la Fondiaria se la comperi lanciando un'offerta pubblica d'acquisto. S'accende una luce rossa anche al ministero del Tesoro. Perché non c'è solo Groupama, c'è Lactalis che pregusta Parmalat (ma senza lanciare un'opa), Edf che vuole Edison mettendo in un angolo A2A. Arnault si compra Bulgari. Crédit Agricole i fondi Pioneer di Unicredit. E sullo sfondo Axa mira a Generali. Insomma, un'offensiva in grande stile, fermata dalla Consob che vuol veder circolare non solo carta, ma quattrini, e dal Tesoro che chiede reciprocità e annuncia leggi in stile canadese.
Per dipanare la matassa è interessante capire chi sono i tre consiglieri indipendenti che vogliono scoperchiare il pentolone triestino: tutti economisti di chiara fama (Paola Sapienza della Northwestern University, Cesare Calari della Johns Hopkins e Carlo Carraro di Ca' Foscari) sono stati indicati da Assogestioni, presieduta da Domenico Siniscalco il quale, superati gli antichi dissapori, ha ritrovato l'intesa con Tremonti. Con chi stanno? Con Geronzi e Bolloré o con Della Valle e Nagel? Sì, perché a Piazza Affari hanno già formato le squadre. Vecchi sodalizi si sono infranti, gli amici di prima diventano i duellanti di oggi.
Facciamo un passo indietro. E torniamo a Cuccia. Dopo la sua morte nel 2000, prende le redini in Mediobanca il suo protetto Vincenzo Maranghi, il quale pensa di poter seguire le orme del vecchio mentore, ma entra in collisione con Unicredit di Alessandro Profumo e Capitalia di Cesare Geronzi. Insieme, i due banchieri fanno saltare Maranghi con l'aiuto decisivo della cordata francese guidata da Bolloré il quale dichiara di entrare in Mediobanca per salvaguardare gli equilibri delle Generali presiedute da Bernheim. E' il 2003 e la galassia del nord si riassesta. Con la fusione Unicredit-Capitalia del 2007, Geronzi va a presiedere Mediobanca, guidata operativamente da Alberto Nagel. L'uscita di Profumo apre la strada al passaggio successivo di Geronzi in Generali. Ma la luna di miele dura poco più dei classici sei mesi. Della Valle, che da tempo morde il freno, apre le danze e critica Geronzi. Bolloré prima fa da mediatore e poi sostiene il presidente. Tuttavia, l'asse francese oggi è più debole di prima. Lo dimostra proprio il caso Ligresti.
Messa di fronte alla necessità di una costosissima opa, Groupama si ferma e a salvare l'ingegnere di Paternò scende in campo Unicredit che rientra così a pieno titolo nei giochi finanziario-editoriali detestati da Profumo. Il gran manovratore adesso è Fabrizio Palenzona, vicepresidente dell'istituto di Piazza Cordusio. In una intervista al Corriere della Sera, si candida come nuovo punto di equilibrio in Mediobanca e Generali, insieme con Caltagirone. Con l'operazione Ligresti, inoltre, Unicredit rientra indirettamente anche in Rcs, a sostegno di Mediobanca, azionista rilevante del gruppo editoriale. L'ad Federico Ghizzoni ha scelto Maurizio Beretta ex Confindustria per le relazioni esterne, anche questo è un segnale. Le pedine sono sulla scacchiera. Sulla graticola resta l'ad Giovanni Perissinotto. Il cda gli ha affidato la gestione delle partecipazioni sensibili (Telecom, Benetton, Pirelli, Rcs). Ogni protagonista, però, vuol fare a modo suo. Si è scritto che la rottura tra Nagel e Bolloré spingerà questi a uscire. “Non vendo e non mi vendo”, dichiara il finanziere bretone. Ma i cinici operatori di Borsa pensano che voglia alzare il prezzo. Certo, da otto anni in qua, non s'era visto nulla di simile. La madre di tutte le battaglie finanziarie è cominciata.


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