Magistrati eversivi
Nessuno fa rispettare l'articolo più importante della Costituzione italiana, dal punto di vista della cruciale divisione dei poteri. E' l'articolo 101, che dice: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
Nessuno fa rispettare l'articolo più importante della Costituzione italiana, dal punto di vista della cruciale divisione dei poteri. E' l'articolo 101, che dice: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Quando il procuratore aggiunto di Palermo, l'influente Antonio Ingroia, parla in piazza a una manifestazione politica convocata contro la legge di riforma costituzionale varata dal governo, autorizzata dal capo dello stato e presidente del Consiglio superiore della magistratura, e all'esame delle Camere, quell'articolo è stracciato. Il magistrato si sottrae deliberatamente al dettato costituzionale e pretende di fare lui la legge, di sostituirsi al potere legislativo e alla sovranità popolare in nome non del popolo ma dello speciale populismo italiano in cui eccellono alcuni pm. Quando un capo sindacale dei magistrati, il segretario dell'ANM Giuseppe Cascini, afferma testualmente, nel corso di una manifestazione politica del partito di Nichi Vendola, che “questa maggioranza non ha la legittimazione storica, politica, culturale e anche morale per affrontare la riforma costituzionale della giustizia”, della Costituzione ci si fa apertamente beffa. E a essere travolto è l'articolo 1 (secondo comma), quello decisivo in ogni senso: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Che la magistratura militante e sindacalizzata a sinistra abbia queste idee eversive è noto da molti anni e testimoniato da una vasta e inoppugnabile documentazione. Che le mescoli con il suo mestiere, violando inevitabilmente il codice dell'imparzialità, è assodato per tutti coloro che non sono ciechi o sordi o tremendamente faziosi. Che questi fatti abbiano provocato un grave cortocircuito istituzionale, con la conseguenza di inquinare la pace civile e la coesione nazionale, realizzando la peggiore delle ingiustizie, la giustizia politica, è una conclusione chiara e convincente non solo per la destra o per il centro moderato ma anche per quella parte della sinistra politica ispirata a una antica tradizione repubblicana.
Il 17 marzo, nell'occasione solenne del discorso alle Camere per il 150° anniversario dell'Unità italiana, il presidente Napolitano ha detto che “la condizione della salvezza comune, del comune progresso” è che “operi nuovamente un forte cemento nazionale unitario, non eroso e dissolto da cieche pertigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità”. Quanto ai rapporti tra giustizia e politica, il presidente aveva detto in precedenza (dicembre 2009) che il principio di autonomia e di indipendenza della magistratura “comporta, da parte del magistrato, senso del limite – senza considerarsi investito di missioni improprie – scrupolo di riservatezza, cautela nel valutare gli elementi indiziari, e sempre imparzialità non meno che rigore”. Parole balsamiche, tipiche della persuasione morale che è tra le prerogative del Quirinale, politicamente irresponsabile e tuttavia custode dei valori costituzionali, ma sempre rimaste senza ascolto.
Ora il problema è questo, ed è semplice. A otto giorni dal comizio in piazza del dottor Ingroia, e all'indomani del discorso di Napolitano alle Camere, siamo di nuovo a un clamoroso superamento del limite, in uno spirito di aperta ribellione ai poteri sovrani del Parlamento e del popolo che lo elegge. Il ministro della Giustizia ha deciso di appellarsi alla coscienza dei magistrati e di non procedere con l'azione disciplinare per impedire questa tracimazione faziosa e questo aperto attacco al Parlamento. Il procuratore generale presso la Cassazione, che è l'altro titolare del potere di iniziativa disciplinare, tace. Il decreto legislativo del 2006 che regola gli illeciti disciplinari, varato da una maggioranza “berlusconiana”, è indicativo ma vago (sola esplicita violazione è la “partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici”, dove l'inganno è negli aggettivi “sistematico” e “continuativo”). Ergo: da quasi vent'anni si dice che Berlusconi vuole mangiarsi l'autonomia della magistratura, ma l'unica riforma dell'ordinamento, la sua del 2006, sarà usata come pretesto per l'inazione, vista la timidezza della formulazione, e dovremo assistere impotenti a un ulteriore slittamento della sovranità. Con conseguenze disastrose per tutti.


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