Perché non è prudente fare finta che non sia successo nulla

Giuliano Ferrara

Ma ho paura. Paura per gli esseri umani e il loro ambiente in Giappone, terra e mare. Paura per me, per noi, per tutti. Non credo che la paura sia il combustibile adatto alla felicità, e voglio vivere una vita felice finché mi sarà possibile.

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    Caro Panebianco, sono sempre d'accordo con la sua austerità razionale quando si tratta di opporsi a quell'insieme di retoriche di cui consiste il pensiero dominante, con il suo sfondo ingenuamente mitico (basta leggere l'editoriale di ieri della Spinelli, la nostra Ecuba latrans piena di incubi e orgoglio). Sono ammirato per la forza, stavo per dire l'energia fissile, mostrata in questi giorni dai maestri del Wall Street Journal nel guidare contro la paura la nostra mente, sfidando il cuore di ciascuno. Uno di loro, spudorato come solo i grandi cinici sanno essere, ha scritto caparbiamente e avventurosamente che Fukushima è “un problema della Tokio Electric Power Company, non della gente comune”.

    Ma ho paura. Paura per gli esseri umani e il loro ambiente in Giappone, terra e mare. Paura per me, per noi, per tutti. Non credo che la paura sia il combustibile adatto alla felicità, e voglio vivere una vita felice finché mi sarà possibile. Non credo nemmeno la paura sia un dovere, quelli sono pensierini da Godzilla, cartoni animati in forma filosofica. Ma so che la paura è una forza potente, e non sempre irrazionale, con la quale chi ha le sue, le nostre idee sull'avventura umana, deve fare i conti. In profondità. Profondità politica, perché qui non si parla dei nostri cuori e nemmeno dei nostri schemi e disegni intellettuali, si parla del governo della società, della “più alta forma di carità” secondo un grande Papa del Novecento.

    Con Craxi, quel grande leader politico, ho avuto tre dissensi pubblici radicali: il primo lo testimoniai nel Corriere della Sera, intervistando un nuclearista convinto all'epoca del referendum contro il nucleare da lui voluto; il secondo, di cui parlai con asprezza a Radio Londra, fu causato dall'appoggio demagogico a Gheddafi dopo il bombardamento di Tripoli ordinato da Reagan; il terzo fu sui referendum per l'abrogazione del voto di preferenza plurimo, che Craxi fece definire da Amato “incostituzionalissimi” e contro i quali andò a sbattere “andando al mare”. Vorrei conservare la baldanza con cui in tutti questi anni ho pensato che l'Italia aveva perso con il nucleare un'occasione identitaria, perché la crescita consentita da una diversificazione delle fonti d'energia non è solo un indicatore di sviluppo, una percentuale di incremento della ricchezza, ma è soprattutto il segno di una vocazione a coltivare la propria autonomia e libertà, in un certo senso è un modo di “cultiver son jardin”, quell'attitudine filosofica volterriana che ormai è possibile soltanto su scala planetaria. La libertà e la responsabilità del mondo, la sua pace civile e prosperità, anche spirituale, non sono questioni estranee a come si produce l'energia che lo muove. In questo senso lei ha ragione quando scrive che il paradosso del moderno è nell'aumento insieme della sicurezza e della paura. Ma a una condizione tassativa, di cui secondo me dovrebbero esplicitamente farsi carico i governi del mondo, quelli europei, quello italiano.

    Proprio perché vorrei conservare la sicurezza giovanile di un tempo, prima di decidere alcunché ho bisogno vitalmente, come condizione necessaria, di sapere se a Fukushima, nelle condizioni peggiori possibili, è in atto un incidente nucleare di gravità inaudita o una catastrofe “fuori controllo”, come ha detto il compassato commissario europeo all'energia Günter Öttinger. Sono due cose diverse, e chiunque è in grado di capirlo, non solo istintivamente.
    Secondo una nota di Adriano Sofri, ieri su questo giornale, se le cose andassero meno peggio di quanto si tema, sarebbe frutto del caso. Altrimenti quelli che la pensano come lei e me, e come quei pazzi lucidi del Wall Street Journal, il popolo li andrebbe a prendere con i forconi, qualora insistessero nel loro cinismo. Sofri non produce mai retoriche, e la tentazione di farlo è forte quando si parla di “irreversibilità” in materia di fusione del nucleo, o di contaminazione ambientale con effetti secolari, ma a quella sghemba scommessa non precisamente pascaliana sulla divinità del caso io non credo. Mi sembra troppo facile, e fallace. Dunque atteniamoci per adesso a questo elementare principio di precauzione logica. Un manipolo di eroi moderni, i soccorritori di Fukushima, sta tentando di raffreddare i reattori per poterli curare; se ci riusciranno sarà un evento eroico, e potremo ragionevolmente sperare di collaborare al farsi della nostra storia con umile grandezza, sennò no.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.