In che cosa sono simili gli eroici soccorritori giapponesi e i semidei dell'antica Grecia

Sandro Fusina

All'inizio del secolo scorso una casa editrice di Lipsia, la C. F. Amelang's Verlag, distribuiva per l'Europa curiosi libri di argomento giapponese. Erano scritti in tedesco, ma la carta, la stampa e le illustrazioni erano fornite dal celebre editore
T. Hasegawa di Tokyo.

Leggi Perché non è prudente fare finta che non sia successo nulla di Giuliano Ferrara

    All'inizio del secolo scorso una casa editrice di Lipsia, la C. F. Amelang's Verlag, distribuiva per l'Europa curiosi libri di argomento giapponese. Erano scritti in tedesco, ma la carta, la stampa e le illustrazioni erano fornite dal celebre editore
    T. Hasegawa di Tokyo. Uno di questi, intitolato “Saluti poetici dall'oriente”, conteneva fra l'altro un poemetto sul grande terremoto del 1855. Il sottotitolo era piuttosto esplicito: ghirlanda funebre, o corona da morto. Come in una graphic novel, testo e illustrazioni procedevano insieme. Le illustrazioni erano silografie colorate, secondo la tecnica e i modi dell'ukio-e. La prima dipingeva una tranquilla scena d'interno. Una madre, intenta a preparare un kimono, si gira ad  accarezzare un bambino che dorme tranquillo su una stuoia. Il marito in primo piano, accovacciato accanto alla sua scatola di scrittura, copia o illustra su una tavoletta un libro aperto ai suoi piedi. L'atmosfera è di perfetta tranquillità e armonia domestica. Fuori nella notte, disegnata con lo stile delle silhoutte, avanza una processione. Solo le lampade ravvivano la scena tutta nera con la loro luce bianca o rosa. Nella pagina seguente il villaggio è addormentato in campo lungo, in una placida notte d'inverno. Ma basta girare pagina per ritrovare il villaggio raso al suolo, con le case di legno sconquassate. L'inquadratura si è ristretta, tra le case si vedono delle figure umane che scappano disordinatamente, ma in coppia. Un uomo tenta di sollevare una donna che è inciampata. Nella pagina seguente due uomini cercano di proteggersi dai detriti che piovono dal cielo, mentre una coppia tenta di emergere dalle travi crollate di una casa. Ma non è finita. Puntuali dopo il terremoto scoppiano gli incendi, dei quali i giapponesi, che abitano in case di legno e di carta, hanno più paura che delle scosse del terremoto.

    Mentre la casa va a fuoco, un uomo (un marito? un figlio? un padre?) tenta di estrarre dalle macerie una donna. Poi, con in spalla le masserizie,  con i bambini in braccio e per mano, tutti fuggono, tra i detriti, guardandosi indietro. Il poeta finisce sulla nota alta dell'amore materno, ma c'è un'altra figura. Un uomo ha lasciato ogni avere per caricarsi sulle spalle una vecchia.

    Quell'immagine l'ho già vista, raddoppiata addirittura. L'ho vista su monete antiche, dove di solito compaiono gli dei, gli eroi, o le virtù personificate. L'ho vista su una piccola moneta di bronzo. Al dritto c'è una figura con una persona in spalla, sul retro un'altra figura con in spalla un'altra persona. L'ho rivista sul retro di un denaro romano della fine del secondo secolo a.C., opposta alla testa della dea Pietas. Lo vista per la terza volta sul retro di un denaro di Gneo Pompeo, coniato in Sicilia durante la guerra civile da suo figlio Sesto.

    Le due figure sono i pii fratres, i pii fratelli, conosciuti anche come i fratelli catanesi. Ne conosciamo i nomi: Anfinomo e Anapia. Durante un'eruzione dell'Etna, invece dei beni, si erano messi in spalla i genitori. Con quel fardello non avrebbero potuto sfuggire alla lava. Ma quando già stavano per essere travolti gli dei, ammirati più che impietositi, fecero biforcare il fiume di lava.  Per avere testimoniato la consustanzialità degli uomini con gli eroi divini, i fratelli catanesi finirono sulle monete e visitarono una quantità di opere di poesia e di filosofia. Per proporsi come modello a quanti nei frangenti drammatici pensano prima alla salvezza del prossimo che alla propria.

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