Pubblica o privata? Nelle storie dei lettori il bipolarismo di fatto del nostro sistema educativo

Redazione

Al direttore - Sono un insegnante di musica in una scuola secondaria di primo grado paritaria di Roma. Riporto qui di seguito una lettera recapitata a me e a tutti i miei colleghi (i due terzi dei prof. abbiamo sotto i 30 anni) dalla mamma di un ragazzo di terza media alla fine dello scorso anno scolastico: “Sin dal giorno della consegna delle schede avevamo notato un'atmosfera particolare. I nostri ragazzi, in bermuda e canottiera, avevano salutato con allegria l'agognata ammissione agli esami. Tutti sorridevano. Non so se sia stata unicamente una mia percezione, ma si respirava, oltre alla naturale tensione del ‘giorno prima degli esami', qualcosa di ben diverso".

    Al direttore - Sono un insegnante di musica in una scuola secondaria di primo grado paritaria di Roma. Riporto qui di seguito una lettera recapitata a me e a tutti i miei colleghi (i due terzi dei prof. abbiamo sotto i 30 anni) dalla mamma di un ragazzo di terza media alla fine dello scorso anno scolastico: “Sin dal giorno della consegna delle schede avevamo notato un'atmosfera particolare. I nostri ragazzi, in bermuda e canottiera, avevano salutato con allegria l'agognata ammissione agli esami. Tutti sorridevano. Non so se sia stata unicamente una mia percezione, ma si respirava, oltre alla naturale tensione del ‘giorno prima degli esami', qualcosa di ben diverso. Negli occhi di tutti i docenti ho visto un reale affetto verso questi piccoli uomini e donne, una considerazione e un rispetto che spetterebbero di diritto a tutti i giovani. Sono convinta che un ragazzo che sente la stima dei suoi insegnanti non potrà mai disperdersi. Non è solo di scuola e di apprendimento che sto parlando. E' di quel talento unico e che solo insegnanti speciali hanno. Insegnanti che svolgono la loro professione con amore e abnegazione, nonostante le mille difficoltà quotidiane, in un lavoro che ti mette davanti a mille imprevisti al minuto, che non ti consente l'improvvisazione e ti costringe a un continuo confrontarti. Ecco, in quella giornata, ho visto i nostri ragazzi e le nostre ragazze guardare i loro professori con occhi nuovi, forse con un pizzico di rammarico e, nelle lacrime ricacciate indietro da Francesco, rassicurato dal suo prof di musica, ho intravisto un reale affidarsi. In quella giornata, io, che anche sono insegnante, ho sognato e sperato una scuola nuova, in cui vi sia spazio per la creatività, l'allegria, le emozioni. In cui ogni singolo alunno sia considerato persona. Per tutto questo un grazie di cuore ad Alessandra, Monica, Giovanna, Sara, Francesca, Sabrina, Mario, M.Rosaria, Tommaso e ovviamente alla preside Michela”.
    di Mario Leone, Roma

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    Al direttore - Fino a 12 anni ho frequentato la scuola in Germania. Poi sono venuto in Italia e mi sono iscritto alla terza media. Aiutavo i miei nuovi compagni a fare matematica e inglese, mentre loro mi davano una mano con l'italiano. Devo dire che in fondo non mi dispiaceva poi tanto passare da un metodo teutonico “Ordnung und Disziplin” a un metodo “casino e libertà tantoallafineinqualchemodotipromuovono”. Dopo la terza media, da giugno a settembre, sono andato a lavorare in una ditta di marmi. Condizioni familiari ed economiche non mi permettevano di continuare gli studi. Ma alla fine mia madre, forse vedendo le mie condizioni dovute a 10/12 ore di duro lavoro quotidiano, mi obbligò a lasciare il lavoro e a iscrivermi a una scuola statale. Criteri di scelta: quella più vicina e quella dove si studia tedesco. Ci andai con l'idea che tanto l'avrei abbandonata presto e mi sarei trovato un altro lavoro. Ma successe un imprevisto. L'insegnante di italiano e quello di religione si appassionarono a me e alla mia storia e io mi appassionai alle loro materie: italiano, storia e religione. Matematica, inglese e tedesco non erano un problema e così la scuola statale di Limbiate, grazie ad alcuni insegnanti, fu per me l'inizio di una nuova vita. Gli anni successivi incontrai altri insegnanti. Mi ricordo quello di geografia che usava le sue lezioni per parlare della questione palestinese o quello di italiano del terzo anno che non accettava di avere un alunno palestinese che credeva in Dio, nella chiesa cattolica e nel diritto all'esistenza e alla difesa di Israele. Grazie agli insegnanti di Cl ho imparato ad appassionarmi a Leopardi che poi ho portato agli esami di maturità. Sono stati anni bellissimi. Sicuramente per alcune materie, come geografia e matematica, se gli insegnanti avessero fatto meno politica, forse avrei imparato qualcosa in più. Comunque mi sono divertito un sacco: le assemblee, andare a lezione quando la maggioranza andava a manifestare. Sempre in direzione ostinata e contraria. Fantastico. Mia figlia maggiore ha frequentato dalle elementari alle superiori una scuola paritaria. Ora è al primo anno di Farmacia. Per le elementari abbiamo cercato una scuola dove ci fosse una maestra unica, o comunque una maestra di riferimento che fosse in “armonia” con le altre maestre sul metodo di insegnare ed educare i bambini. E' stata un'esperienza positiva sia per lei che per noi. Abbiamo trovato insegnanti che hanno saputo valorizzare le attitudini di nostra figlia. Lei si è molto appassionata alle materie scientifiche. Nostro figlio ha frequentato la scuola paritaria alle elementari e alle medie. Ora frequenta la prima liceo in una scuola statale ed è stato lui a richiedere di frequentare una scuola statale. Posso dire che durante gli anni delle elementari e soprattutto delle medie ha imparato una certa visione critica della realtà che ora vuole mettere in pratica e verificare anche nel mondo della statale.
    di Daniel Masnour, Saronno

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    Al direttore - Ho sempre studiato nel pubblico tranne il liceo. Anni di formazione fondamentale vista l'età. Presso i padri Scolopi ho trovato di positivo: cura dei docenti per noi studenti, docenti giovani e motivati, la scuola era come una famiglia tra docenti, alunni, segretarie, giardiniere tuttofare (anche barista). Negativo: ambiente troppo chiuso e perciò scarsissima palestra di vita, per quanto i docenti fossero giovani e motivati non si sono preoccupati di arrivare neanche alla storia del '900 e anche la parte fatta risulta molto lacunosa, l'ora di religione non era a scelta, si faceva e basta. Sono uscita dal liceo molto impreparata per il mondo dell'università sia caratterialmente che culturalmente per quanto soddisfatta del rapporto umano. A 18 anni non ero assolutamente in grado di sapere chi votare, perché l'ora di lettura quotidiani la passavamo a parlare di altro, le spiegazioni di storia troppo da manuale. Confrontandomi con amici coetanei, chi usciva dal liceo linguistico e scientifico mi batteva 10 a 0 su qualsiasi materia! Grande sconforto personale, anche perché i miei hanno speso non poco in cinque anni. Direi di potenziare il pubblico anche perché non trovo giusto che chi può pagare abbia maggiori opportunità. Non siamo in Gran Bretagna o negli Usa e non invidio quel sistema. Un mio carissimo amico con 25 mila sterline spese per un anno della Business University of London il lavoro non l'ha trovato: l'ha comprato! La meritocrazia dov'è?
    di Sabrina Mascia, via Web

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    Al direttore - La mia non può che essere una testimonianza molto limitata avendo un solo figlio che oggi fa la terza liceo scientifico e avendo egli frequentato solo tre istituti, due privati e uno pubblico. Per la cronaca mio figlio ha fatto tutte le classi inferiori e le medie presso scuole private di lingua inglese per apprendere bene la lingua, quindi lo abbiamo portato al liceo pubblico perché avesse modo di confrontarsi con lo spaccato di società e la cultura del paese nel quale vive. I due fatti degni di nota che vorrei segnalare sono, in primo, rappresentati dal “metodo educativo” che appare chiaro, strutturato, equilibrato tra teoria e applicazione pratica e ben rodato nelle scuola private in confronto a insegnamenti spesso più dottrinali, meno flessibili, certamente meno empatici e coinvolgenti della struttura pubblica. Il secondo aspetto è dato dalla eccessiva dispersione dei comportamenti e dell'impostazione educativa e relazionale con gli alunni da parte del corpo docente che, nella scuola pubblica, pur avendo in media buoni insegnanti si manifesta in alcuni casi in atteggiamenti che travalicano il ruolo di insegnamento ma si vogliono arrogare il ruolo di “giudici”, “educatori” e “censori” a 360 gradi dell'alunno come persona. In tali casi ho trovato professori che pensavano di dovere educare mio figlio come persona, il che avrebbe potuto avere senso in una certa misura a condizione che ci fosse un confronto e dialogo con i genitori, cosa assolutamente mancante. Chiaramente in questi pochi episodi il nostro giudizio di genitori non ha mai corrisposto con quanto riteniamo sarebbe stato utile all'educazione del ragazzo. Per fortuna parliamo di situazioni gestibili e rimediabili e di una persona che ha un ottimo rendimento scolastico, ciò nondimeno avrebbero fatto molto più danno se il ragazzo non fosse molto equilibrato e/o non avesse la capacità di performare bene.
    di Fabian Piaggio, via Web

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    Al direttore - Potrei raccontare del maestro elementare marchigiano che, rivolto a una mamma preoccupata per la mancata conoscenza geografica delle regioni italiane da parte dei bambini, rispondeva candido: “Beh, che fa… tanto ormai siamo in Europa!”. O potrei raccontare di quel professore omosessuale di greco e latino, in uno storico liceo classico di Milano, che quando non otteneva dagli allievi sufficiente attenzione, dava fuori di matto, rovesciava i banchi e urlava: “Chi me lo fa fare di star qui con voi idioti, guadagnerei di più a far marchette!”. Potrei anche raccontare di quella professoressa di storia e filosofia, in un altro storico liceo linguistico, sempre di Milano, che alla notizia di essere stata nominata membro interno nella commissione di maturità, sbottava, davanti agli allievi: “A luglio, col caldo che fa, per 400 euro! Ma io voglio andare in vacanza, io ho diritto ad andare in vacanza. Questo è già un lavoro abbastanza stressante”. Potrei per contro raccontare di insegnanti che si alzano alle quattro del mattino per correggere i compiti e riportarli agli alunni l'indomani, come promesso. Insegnanti che sono andati a scuola febbricitanti per non mancare al saggio di fine d'anno della loro classe. Insegnanti che si sono personalmente fatti carico dei problemi familiari di bambini “difficili”. Esistono questi insegnanti, li ho conosciuti, ma – non raccontiamoci frottole – sono una minoranza, un'infima minoranza. E i primi a mettere loro i bastoni tra le ruote sono i loro stessi colleghi, preoccupati che poi si possa pretendere altrettanto anche da loro. Ecco, questa è la realtà della scuola pubblica italiana: un magma indistinto e incontrollato, privo di certezze, dove c'è un'unica speranza: capitare con i maestri e i professori giusti. E' dai tempi della Montessori che si proclama che il bambino (e poi il ragazzo) deve essere al centro del processo di apprendimento, che bisogna partire dal suo vissuto per aprirgli gli occhi e la mente sul mondo. La scuola – quantomeno quella pubblica – si riempie la bocca di enunciazioni in didattichese, ma non è in grado né di capire il bambino, né di interessarlo, né di comunicargli nulla. E l'insegnante medio si affida alle guide allegate ai libri di testo perfino per scrivere la programmazione sul registro. Sono demotivati perché sono mal pagati, si dirà. La verità è che solo quando accetteranno di essere selezionati e giudicati periodicamente, il loro salario potrà essere rivalutato di conseguenza. Assunzione diretta su base curricolare e possibilità di licenziamento. Come nella scuola privata, dove l'alunno è un cliente al quale si cerca di garantire il servizio migliore.
    di Valeria Verri, via Web

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    Al direttore - La scuola pubblica italiana non è messa per niente bene. Il livello più scandaloso è, secondo la mia esperienza, quello toccato dalle medie superiori; ho frequentato un importante liceo scientifico di Cagliari e ho avuto la fortuna di avere dei buoni insegnanti (almeno alcuni, ma altre classi, la maggior parte, si trovavano e si trovano in condizioni terribili dal punto di vista didattico a causa di professori svogliati fino all'incredibile e a volte persino del tutto impreparati). La questione peggiore riguarda però il tasso di ideologizzazione del corpo docenti: esemplare è da questo punto di vista il caso di un mio professore (storia e filosofia) che durante le elezioni regionali 2009 chiese alla classe di votare un certo candidato (il presidente uscente del Pd Renato Soru) facendo pesanti allusioni sui rapporti con la malavita del candidato di centrodestra, molto più sconcertante fu quando, in una nostra conversazione, definì “nazista” il governo israeliano, dal quale momento ho perso nei suoi confronti ogni briciola di rispetto.
    di Ennio Emanuele Piano, via Web

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    Al direttore - Sono un insegnante in pensione profondamente amareggiato dalle polemiche di queste ultime ore. Il mio è stato un lavoro incredibilmente interessante che mi ha consentito di impegnarmi in una professione che era nello stesso tempo grande passione. Il mestiere d'insegnante non è assolutamente paragonabile ad altri in quanto si lavora sulla persona e come può facilmente comprendere non ci si può consentire di sbagliare poiché si procurerebbero dei danni enormi all'interno della società. Nei miei 35 anni di servizio sono stato per lo più impegnato in contesti di forte disagio familiare, ero per così dire un insegnante di “frontiera” che ogni giorno si doveva inventare qualcosa che potesse allontanare quei ragazzi dalla strada. Non un soldo o un punteggio in più è riconosciuto a questo tipo di insegnante e mi creda ce ne sono moltissimi di professori che ogni giorno “combattono” questa dura battaglia. Veda direttore per un insegnante valgono molto più dei soldi (pur necessari) i valori che riusciamo a trasmettere ai ragazzi. Sono questi gli impegni ideologici, le negligenze, i plagi e gli indottrinamenti che la stragrande maggioranza degli operatori scolastici si affanna ogni giorno a trasmettere ai loro allievi. Mi sento molto colpito dalle parole del premier che “denigra” sbrigativamente l'immane lavoro che gli insegnanti dedicano ai loro amati “discoli”. La nostra umanità è lo strumento che ci consente di “sopravvivere” ad ogni amarezza, anche da parte di chi ci dovrebbe ringraziare.
    di Michele Rebuzzi, Taranto