Bazolismi sindacali
Lo speaker bancario fa il contropelo al piano antiproletario della Fiat
Mentre quasi tutti i grandi giornali italiani ci ammanniscono nei loro editoriali prediche quotidiane sull'esigenza di aumentare il tasso di investimenti, di semplificare le regole, di promuovere l'innovazione soprattutto nel settore industriale, quando poi qualcuno prova a mettere in pratica queste indicazioni, come fa Sergio Marchionne, naturalmente a modo suo, viene sepolto da critiche spesso tartufesche e conservatrici nelle pagine interne degli stessi giornali.
Mentre quasi tutti i grandi giornali italiani ci ammanniscono nei loro editoriali prediche quotidiane sull'esigenza di aumentare il tasso di investimenti, di semplificare le regole, di promuovere l'innovazione soprattutto nel settore industriale, quando poi qualcuno prova a mettere in pratica queste indicazioni, come fa Sergio Marchionne, naturalmente a modo suo, viene sepolto da critiche spesso tartufesche e conservatrici nelle pagine interne degli stessi giornali, compresi quelli come la Stampa e il Corriere della Sera alla cui proprietà la Fiat partecipa anche in posizione dominante. Insistono nel proporre di mettere il vino nuovo nelle botti vecchie, cioè in un impianto contrattuale centralistico e obsoleto che, con l'attiva collaborazione di una magistratura del lavoro antindustriale, irrigidisce tutti i rapporti interni all'azienda.
Curiosamente è Repubblica a mantenere un atteggiamento più oggettivo, per esempio quando ricorda, in un articolo di Roberto Mania, che “i bizantinismi sindacali sono diventati poco digeribili”. Il giornale della Fiat, invece, sottolinea la richiesta di Confindustria a Marchionne di agire “senza innescare un meccanismo di conflitto sociale”, confondendo forse Marchionne con la Fiom. Sul Corriere, Massimo Mucchetti imputa a Mario Pirani di “reinterpretare a sinistra pro Marchionne” l'ipotesi di una manifestazione di sostegno alla linea della Fiat e lancia, in polemica con l'intervista dell'Elefante a Mieli, l'interrogativo sarcastico: “Ciò che è bene per la Chrysler è bene per l'Italia?”. Afferma apoditticamente che “il modello Chrysler erode la centralità del lavoro produttivo e lo relega sempre più in basso”.
Per la verità Marchionne ha sostenuto che il lavoro va valorizzato e anche pagato di più, nell'ambito di un progetto di collaborazione aziendale, ma di questo sul Corriere, in inedita veste bazolian-proletaria, non c'è traccia. Il filone reazionario del ragionamento di Mucchetti traspare nella sua conclusione, in cui si denuncia “l'impatto devastante delle nuove tecnologie, che uccidono le distanze” e il suo spirito autarchico nell'opposizione alla “libera circolazione dei capitali” che minerebbe, chissà perché “l'assetto sociale e la tenuta democratica dell'Europa e dell'occidente”. Innovazione e internazionalizzazione sono presentate come nemiche mortali di uno status quo dipinto come il regno della democrazia e dell'equità sociale, ma solo nelle pagine dedicate a Marchionne, visto che in tutte le altre si critica l'arretratezza di un sistema produttivo ingessato, di un meccanismo politico bloccato, di un sistema di relazioni industriali inefficiente. Vogliamo collegare questa difesa delle rigidità sindacali contro il piano di Marchionne al comunicato del cdr corrierista che parla del “trasferimento coatto” dei redattori come di una manovra diabolica per limitare la libertà di espressione? Se la mobilità passa alla Fiat, può passare anche in via Solferino, può pensare qualcuno. Si tratta solo di un'insinuazione malevola, ma dà conto di quanto sia generalizzata una visione dell'autodifesa sociale abbarbicata alla conservazione di tutti i vincoli paralizzanti.


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