Chiacchiere in comune

Sandro Fusina

Avevo un appuntamento con il sindaco Letizia Moratti per parlare della sua visione della città in un periodo per niente tranquillo della vita cittadina. Anche un sindaco dopotutto è una persona e mi imbarazza vedere le persone in imbarazzo, tanto più se è una signora. Poi mi aspettavo di dovere sottostare a severe misure di sicurezza. Invece niente. “Sa la strada o devo accompagnarla?”. Salgo una scala, percorro un corridoio, troppo in fretta per leggere anche una delle antiche lapidi milanesi. Aspetto pochi minuti in “sala riunioni”. Non abbastanza per potere guardarmi con agio i grandi quadri del Seicento lombardo.

    "Te fo faa la fin del Prina”, si diceva a Milano, senza sapere magari chi fosse il Prina e quale fosse stata la sua fine. Giuseppe Prina, ministro delle Finanze del regno napoleonico d'Italia, fu massacrato a ombrellate dalla folla, per quattro ore, in piazza della Scala, il 20 aprile 1814, pochi giorni dopo la prima abdicazione di Napoleone. Da ragazzo mi immaginavo che i suoi funzionari seguissero spaventati il linciaggio dalle finestre di Palazzo Marino, allora sede del ministero delle Finanze e di altri uffici economici, come il dazio e il registro. Poi scoprii che la facciata di Palazzo Marino sulla piazza della Scala non esisteva al tempo del Prina. Fu costruita da Luca Beltrami per aggiungere un tocco manieristico alla fisionomia eclettica della piazza, quando già da più di dieci anni vi si apriva la Galleria dell'infelice architetto Mengoni. Raramente mi era capitato di entrare a Palazzo Marino, ma mai senza una lieve sensazione di disagio.

    Avevo un appuntamento con il sindaco Letizia Moratti per parlare della sua visione della città in un periodo per niente tranquillo della vita cittadina. Anche un sindaco dopotutto è una persona e mi imbarazza vedere le persone in imbarazzo, tanto più se è una signora. Poi mi aspettavo di dovere sottostare a severe misure di sicurezza. Invece niente. “Sa la strada o devo accompagnarla?”. Salgo una scala, percorro un corridoio, troppo in fretta per leggere anche una delle antiche lapidi milanesi. Aspetto pochi minuti in “sala riunioni”. Non abbastanza per potere guardarmi con agio i grandi quadri del Seicento lombardo. Mi riprometto di approfittare dell'occasione per chiedere il privilegio di una visita da appassionato. Speravo però di essere ricevuto nell'ufficio del sindaco, per spiare qualche particolare che mi aiutasse a capire meglio la persona. Invece il sindaco entra. Mentre la chiacchierata comincia, non avverto né aggressività né imbarazzo. Non c'è nessun particolare nel suo modo di porsi che mi disturbi. Sono io che mentre parla non so dove mettere le mani. A un certo punto mi accorgo di ascoltarla con una guancia appoggiata alla mano. Non sembra obiettare alla mia posa davvero poco professionale.

    E' prevista una conversazione di mezz'ora. Parleremo per quasi un'ora. La prima mezz'ora è un monologo, io ascolto, da parte sua. Non può che essere così: le ho chiesto della sua visione della città, come le piacerebbe che Milano fosse. Capisco subito che Milano le piace com'è, o meglio non come potrebbe essere, ma come sarà. Alle possibili difficoltà politiche non accenna, né sul piano nazionale né su quello cittadino. Non approfitta di una conversazione con un giornale che le è amico per inviare messaggi per fare dichiarazioni. Non entra nella questione del futuro del governo della città. L'unico futuro della città che sembra concepire ha radici nel passato e nel presente di Milano ed è governato non dal disordine della politica, ma dalla ratio del Piano di governo del territorio. Pigiti è la stringa di sillabe più pronunciata da chiunque intenda occuparsi del governo della città. Naturalmente per le opposizioni è sbagliato: sarebbe calcolato su una stima errata della crescita della popolazione. Invece ha sostituito il vecchio piano regolatore, è aperto alle osservazioni dei cittadini, è illuminato perché prevede la preminenza dell'interesse pubblico persino sui diritti storici di proprietà.

    Grazie ai provvedimenti del Pgt non sorgeranno più a Milano quartieri avulsi dal tessuto cittadino, come in tempi lontani è accaduto con i quartieri dell'Iacp, e in tempi più vicini con i quartieri residenziali come quello sull'ex area della Pirelli Bicocca. Grazie al Pgt Milano diventerà la città più verde d'Europa. Ai grandi parchi, che già si estendono alla periferia della città, si accorperanno le nuove aree destinate al verde che risulteranno dalla sistemazione del territorio dell'Expo. Per pensare a Milano come città giardino d'Europa, bisogna sgretolare dal luogo comune di una città senza verde. Bisogna uscire dal centro cittadino racchiuso nel fantasma delle mura spagnole e pensare a una grande Milano che va ben oltre i confini del comune.

    E' la mia difficoltà a entrare in questo ordine di idee che mi impedisce di capire immediatamente l'utilità dei trasporti personalizzati di cui parla il sindaco, mezzi che a tarda sera aspetteranno ai capolinea i milanesi per portarli ciascuno a casa sua. E' in questa prospettiva sociale che il Pgt e il sindaco intendono gli strumenti per alleggerire il traffico sulla città: dai mezzi pubblici più leggeri alla diffusione delle auto elettriche, dallo sharing (parola magica, condivisione), di auto e bici, che intendono lo sviluppo sostenibile della città. E' in questa prospettiva che si amplierà la rete di teleriscaldamento di cui già usufruisce un buon numero di famiglie; che non si costruirà più a meno che i servizi essenziali non siano distanti più di cinquecento metri, che non ci sarà sviluppo che non sarà sostenibile, amichevole per tutti, soprattutto per i nuovi cittadini.