Bassanini rimbrotta Boeri: fondazioni benefiche per le banche

Redazione

La ricostruzione della storia delle fondazioni bancarie, proposta da Angelo De Mattia, ha un solo difetto: riguarda gli ultimi vent'anni. Ma in realtà le fondazioni non nascono con la legge Amato. La loro origine è più antica. Nascono come Casse di risparmio, Monti di Pietà e quant'altro: espressione della società civile, delle comunità locali, di iniziative di solidarietà religiose o laiche.

di Franco Bassanini

    Dopo l'analisi di Angelo De Mattia sulle fondazioni bancarie pubblicata sul Foglio del 12 ottobre, l'intervento di Tito Boeri e Luigi Guiso del 14 ottobre e il commento del banchiere Giovanni Berneschi, ospitiamo un'analisi di Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti.

    La ricostruzione della storia delle fondazioni bancarie,
    proposta da Angelo De Mattia, ha un solo difetto: riguarda gli ultimi vent'anni. Ma in realtà le fondazioni non nascono con la legge Amato. La loro origine è più antica. Nascono come Casse di risparmio, Monti di Pietà e quant'altro: espressione della società civile, delle comunità locali, di iniziative di solidarietà religiose o laiche. Valga l'esempio del Montepaschi, nato nel medioevo, allorché le famiglie senesi, in competizione con Firenze soprattutto nel commercio della seta dalla Cina, rinunciarono ai proventi dell'affitto dei pascoli dell'agro senese e li conferirono perpetuamente in un Monte (Paschi sta per pascoli): una banca ante litteram. Sulla rigogliosa foresta di queste istituzioni della società civile si abbatté nel 1888 una legge Crispi che le statalizzò: espressione di un'avversione ideologica alla libera organizzazione della società civile propria dell'individualismo liberale, ma condivisa poi dallo statalismo di derivazione marxista.

    La Costituzione del 1948 rivalutò il ruolo delle comunità intermedie (art. 2). Ma la cultura statalista rimase a lungo dominante, finché la crisi fiscale dello stato e la globalizzazione costrinsero a riscoprire le virtù della sussidiarietà. Cominciò la Corte costituzionale, restituendo alla società civile le Opere pie; avrebbe fatto lo stesso – penso – con le fondazioni bancarie se non fosse intervenuta la legge Amato, che si iscrive nello stesso percorso di riscoperta della sussidiarietà. Seguirono poi la riforma della Pa del '97 (basata sul principio di sussidiarietà) e il nuovo titolo V.

    Vent'anni dopo, è onesto riconoscere
    che la riforma Amato ha prodotto – forse preterintenzionalmente – quattro importanti risultati: ha dotato l'Italia di un tessuto di istituzioni di promozione e finanziamento di iniziative di solidarietà sociale e di utilità generale paragonabile a quella rete di fondazioni che costituisce uno dei punti di forza degli Usa; ha restituito alla concorrenza e al mercato il settore del credito; ha privatizzato le banche pubbliche, sottraendole alla brutale lottizzazione fra i partiti praticata negli anni Ottanta e Novanta; ha reso possibile quel processo di ristrutturazione e aggregazione, che ha permesso alle banche italiane di attrezzarsi alla competizione internazionale e di affrontare la crisi meglio di molte altre.

    Se il settore bancario non ha fatto la fine della chimica, della siderurgia, dell'elettronica, dove i campioni nazionali sono stati colonizzati e poi depredati delle loro attività più pregiate, lo si deve alle fondazioni, azionisti di lungo termine, capaci di garantire a manager capaci (come Profumo, Mussari, Bazoli, Passera, Morelli) il sostegno di un azionariato stabile, non ossessionato dalla ricerca di rendimenti e capital gain di breve periodo; e dunque capace di supportare piani industriali di largo respiro, e business model attenti alla promozione della crescita più che alla speculazione. Come fanno Boeri e Guiso a ignorarlo?
    In un paese che manca di forti investitori istituzionali, le fondazioni hanno svolto un insostituibile ruolo di supplenza. Il loro radicamento sul territorio rappresenta per le banche partecipate più una risorsa che un limite, la loro relativa autoreferenzialità un baluardo contro pratiche di lottizzazione partitica nella scelta dei manager bancari. Certo, i problemi non mancano, dopo la crisi e alla luce di Basilea III. Ma la strada non è rimettere in discussione la legge Ciampi, che già prevede, tra l'altro, rigorose incompatibilità a tutela dell'autonomia gestionale delle banche. E' piuttosto valorizzare il ruolo delle fondazioni di investitori e azionisti di lungo periodo, tutelarne la relativa autonomia, incentivare – sul modello degli Usa – le attività non profit e gli investimenti di lungo termine (anche mediante le necessarie integrazioni e deroghe a Basilea III e agli Ias). Insomma, non buttar via, con l'acqua sporca, il bambino di una riforma che ha ben funzionato.

    di Franco Bassanini