Negoziare senza diktat
Sergio Marchionne ha davvero (ancora) intenzione di investire i 20 miliardi entro il 2014 in Fabbrica Italia? Oppure nel supermanager del Lingotto cresce la tentazione a una via di uscita verso la piena delocalizzazione, a causa di una crisi di mercato più dura del previsto, che secondo le indiscrezioni di Automotive news provocherebbe lo slittamento di un anno della nuova generazione di Panda, Multipla e Ypsilon?
Sergio Marchionne ha davvero (ancora) intenzione di investire i 20 miliardi entro il 2014 in Fabbrica Italia? Oppure nel supermanager del Lingotto cresce la tentazione a una via di uscita verso la piena delocalizzazione, a causa di una crisi di mercato più dura del previsto, che secondo le indiscrezioni di Automotive news provocherebbe lo slittamento di un anno della nuova generazione di Panda, Multipla e Ypsilon? O magari c'è una personale presa d'atto che i ritardi del paese in fatto di produttività sono un fattore strutturale e non modificabile con contratti “con chi ci sta”? Gli interrogativi sono forse azzardati, ma non del tutto illegittimi dopo l'esito del primo incontro di ieri tra azienda e sindacati metalmeccanici; con la Fiom tornata al tavolo di trattativa, si spera come positiva avvisaglia di un rinnovato spirito impresso dall'imminente arrivo di Susanna Camusso al vertice della Cgil.
La Fiat ha infatti chiesto ai sindacati il sì preventivo in termini di flessibilità, utilizzo pieno degli impianti e soprattutto “governabilità degli stabilimenti”: tradotto, un impegno formale a rendersi corresponsabili per la riuscita del progetto. Ma di quale progetto? L'azienda non ha indicato la ripartizione degli investimenti tra le fabbriche italiane, quali modelli produrre e dove, né con quali obiettivi di volume, né con che tipo di organizzazione del lavoro. In pratica ha richiesto carta bianca, dando tempo fino a Natale per la risposta. Su che cosa, però, appunto non l'ha detto. Questa vaghezza va di pari passo con il sentimento sempre più negativo ostentato da Marchionne sull'Italia nel suo complesso. Al manager che da solo è riuscito a imprimere una svolta riformatrice alle relazioni industriali – più di cento tavoli e convegni – va riconosciuta piena libertà di critica, anche insofferente. E che un conto sono le opinioni, altro conto le trattative. Però le reazioni di Fim-Cisl e Uilm, i sindacati che più si sono esposti a favore del metodo Marchionne e della fine della contrattazione e concertazione collettiva, trascinando la stessa Confindustria, indicano quanto meno un'imperfetta tattica negoziale della Fiat.
Con la Fim-Cisl decisa comunque a giocarsi la partita, con la Uilm collaborativa ma a condizione di saperne di più, dall'incontro è inopinatamente uscita rilanciata proprio l'ala dura della Fiom di Maurizio Landini, a scapito della componente riformista rappresentata da Fausto Durante (e forse dalla Camusso): ora Landini può tornare alle parole d'ordine su un'azienda che intenderebbe “andare oltre Pomigliano dappertutto calpestando i diritti e la Costituzione”. Nei prossimi incontri, magari discutendo stabilimento per stabilimento, è augurabile che si chiarisca, innanzitutto, se Fabbrica Italia rimarrà italiana.


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