Un iraniano a New York
Obama apre al dialogo con l'Iran e si prende il rischio dell'appeasement
“Gli Stati Uniti e la comunità internazionale stanno cercando una conciliazione delle differenze con l'Iran, la porta della diplomazia rimane aperta e l'Iran deve scegliere se entrare”. Le circospette aperture iraniane del presidente Barack Obama all'Assemblea generale dell'Onu sono l'ultimo atto pubblico di una settimana dedicata alle prove di appeasement del regime di Teheran. Certo, Obama ha detto molto chiaramente che l'Iran “deve dimostrare un impegno chiaro e affidabile a mostrare gli intenti pacifici del suo programma nucleare”.
“Gli Stati Uniti e la comunità internazionale stanno cercando una conciliazione delle differenze con l'Iran, la porta della diplomazia rimane aperta e l'Iran deve scegliere se entrare”. Le circospette aperture iraniane del presidente Barack Obama all'Assemblea generale dell'Onu sono l'ultimo atto pubblico di una settimana dedicata alle prove di appeasement del regime di Teheran. Certo, Obama ha detto molto chiaramente che l'Iran “deve dimostrare un impegno chiaro e affidabile a mostrare gli intenti pacifici del suo programma nucleare” prima di potersi sedere a qualsiasi tavolo delle trattative e non ha mancato di ricordare che il regime degli ayatollah è “l'unico fra gli aderenti al Trattato di non proliferazione che non è stato in grado di dimostrare le intenzioni pacifiche del suo programma”. Ma al netto dei proverbiali accessi di follia del presidente Mahmoud Ahmadinejad, i segnali di una riapertura diplomatica si stanno disponendo con un ordine logico.
La versione newyorchese di Ahmadinejad è più presentabile di quella che a Teheran impicca, opprime, nega la Shoah, minaccia Israele, l'occidente e i suoi “servi arabi”; ma è anche più presentabile dell'Ahmadinejad visto a New York in precedenti edizioni onusiane. Il presidente ha detto che l'Iran non ha “nessun interesse” a costruire la bomba atomica, che insultare Carla Bruni è un “crimine” e che l'unica cosa che resta da fare all'Iran è avviare un dialogo con gli Stati Uniti. Certo, ha dovuto mettere un contrappeso alla ragionevolezza dicendo che il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è “un assassino provetto”, ma per quanto visto e sentito in questi anni lo sconcerto è relativo. Le mosse di avvicinamento dell'Iran sono parte di un progetto obamiano di lungo periodo, ma Teheran sembra afferrarlo ancora meglio da quando ha notato che le sanzioni dell'Onu funzionano meglio del previsto.
Il divieto firmato dal presidente russo, Dmitri Medvedev, di vendere armamenti a Teheran e soprattutto il blocco del sistema di missili S-300 con cui l'Iran vuole mostrare i muscoli a Israele è stata l'ultima conferma dell'isolamento crescente del regime. Non a caso Ahmadinejad ha detto che “non ci sono alternative” al dialogo con la comunità internazionale e ieri diverse fonti diplomatiche hanno parlato del riavvicinamento fra le parti.
Un funzionario americano ha detto al Wall Street Journal che ci sono segni che “l'Iran voglia incontrare gli Stati Uniti e la comunità internazionale già questo autunno e tutti stanno lavorando intensamente per i dialoghi”. E' difficile leggere fra le righe della paranoica retorica del governo iraniano, che eccelle nell'arte di rimangiarsi le promesse senza nessuno scrupolo, e per questo nel discorso di ieri Obama si è cautelato più volte e ha fatto capire che la conditio sine qua non per il dialogo è un lungo e convincente chiarimento sugli scopi del programma nucleare. Senza un impegno credibile in questo senso la “mano tesa” di Obama – che ieri è diventata la “porta aperta” – tornerà a chiudersi in un pugno.
Nella tattica di Ahmadinejad si intravvedono anche ragioni di sopravvivenza politica. Il presidente gode di grandissima popolarità fra la popolazione delle campagne, largamente dipendente dai sussidi del suo governo populista, ma è oggetto di critiche – le poche consentite – da parte della borghesia urbana. Anche i suoi stessi alleati conservatori storcono il naso per le sue manie di accentrare il potere e negli ultimi mesi le pulsioni nazionaliste del presidente sono entrate in conflitto con la volontà della guida suprema Khamenei. Se anche le aperture di questi giorni dessero qualche risultato in termini diplomatici, difficilmente il presidente Ahmadinejad vorrà pubblicizzare la cosa, almeno in patria.
Per Obama sbloccare lo stallo diplomatico con l'Iran è un modo per cercare di riagganciare i liberal ormai delusi da una politica che si annunciava salvifica e si è ritrovata pragmatica, se non addirittura cinica. D'altra parte, offrire un tavolo ad Ahmadinejad è un'operazione molto rischiosa e la Casa Bianca non può permettersi che la narrativa della “mano tesa” sia in balia delle idiosincrasie di Teheran.


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