Dimissioni col botto
Profumo si fa sfiduciare da Unicredit con un processo a porte chiuse
Una liquidazione da primato, al termine di una trattativa a colpi di milioni di euro, ha messo d'accordo soci e amministratore delegato. I primi sono riusciti nell'intento di indurre Alessandro Profumo a lasciare il gruppo visti i dissidi insanabili. Il secondo ha incassato una liquidazione tra i 40 e i 50 milioni di euro, secondo le indiscrezioni, rispetto a richieste iniziali di 70 milioni.
Leggi La parabola politica del banchiere che votava alle primarie pd - Leggi Le ultime sfide di Profumo nel tumulto degli azionisti di Michele Arnese - Leggi Arietta di cordiale benservito di Ugo Bertone - Leggi il ritratto di Sabina Ratti, moglie di Profumo
Una liquidazione da primato, al termine di una trattativa a colpi di milioni di euro, ha messo d'accordo soci e amministratore delegato. I primi sono riusciti nell'intento di indurre Alessandro Profumo a lasciare il gruppo visti i dissidi insanabili. Il secondo ha incassato una liquidazione tra i 40 e i 50 milioni di euro, secondo le indiscrezioni, rispetto a richieste iniziali di 70 milioni. L'asse del Brennero composto da tedeschi, fondazioni e azionisti privati, con una serrata critica alla gestione autocratica e ai risultati giudicati sempre più insufficienti, ha indotto Profumo a evitare uno scontro nel cda che era previsto per le 18 di ieri. Infatti l'amministratore delegato con una lettera al consiglio ha lasciato il ruolo di capoazienda ricoperto per 13 anni. Ma sulla lettera di dimissioni si era aperto un giallo. Si è parlato di un intervento di moral suasion istituzionale da parte del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, per una soluzione non drastica. Ma la prospettiva, al momento in cui il Foglio va in stampa, è un interim al presidente Dieter Rampl. Gli interessi diversi ma convergenti dei grandi soci avevano individuato in Profumo un ostacolo per il futuro della banca. Il presidente Dieter Rampl si è sentito escluso da Profumo da comunicazioni come la salita dei soci libici; i tedeschi hanno temuto una scalata di fondi stranieri che potesse offuscare il loro ruolo; le fondazioni a partire da Cariverona hanno giudicato l'ascesa libica come un'opera di rafforzamento di Profumo a scapito degli enti italiani più critici verso l'internazionalizzazione impressa dall'ad. Ma la vera accusa verso Profumo, su cui si sono trovati d'accordo grandi e piccoli soci, è la gestione monocratica del gruppo, sbilanciata troppo a favore dell'ad. I rilievi espressi mesi fa dal vicepresidente indicato da Cariverona, Luigi Castelletti, su una sostanziale irrilevanza dei poteri per il country chairman Gabriele Piccini, nominato ad aprile, ieri in sostanza sono stati condivisi anche da altri. In cda soltanto il consigliere Lucrezia Reichlin si è schierata a favore di Profumo.
Non a caso, comunque, già si parla di una ridefinizione della governance. Ma il totonomine per l'uscita di Profumo già impazza: tra i nomi dei successori dell'amministratore delegato circolano quelli di Giampiero Auletta Armenise, Matteo Arpe, Piero Modiano, ma non si esclude un manager dal profilo internazionale. Paradossalmente il banchiere promarket diffidente dei Palazzi della politica, specie di centrodestra, questa volta aveva ottenuto una sponda formata dal Cav., da Giulio Tremonti e da Cesare Geronzi. Tutti preoccupati di un troppo brusco cambio al vertice in una grande banca dagli effetti laceranti. Significativa la frase (“sono favorevole alla stabilità”) pronunciata ieri mattina da Salvatore Ligresti. Ormai, però, le relazioni tra soci e Profumo si erano deteriorate. A tal punto che il solitamente mediatore Fabrizio Palenzona, vicepresidente in quota Crt, fino a pochi giorni fa elemento di stabilizzazione di Profumo, si è allineato sulle posizioni critiche.
Ma all'isolamento esterno dell'ex ad rispetto ai grandi azionisti si è aggiunto un inatteso isolamento anche interno al gruppo. “Nove manager su dieci non lo riconoscevano più come leader, anche se erano stati da lui nominati”, dice al Foglio un top manager che chiede l'anonimato. Uno stile da “zar”, che si fida poco delle prime linee gerarchiche e che concedeva scarne deleghe reali in un gruppo presente in 22 paesi, non poteva non produrre malcontenti e dissapori fisiologici verso un ad che è stato al vertice per 13 anni. Ma un altro alto dirigente del gruppo creditizio svela che i pochi, veri fedelissimi di Profumo al vertice del management erano Rino Piazzolla, responsabile delle risorse umane, e Carmine Lamanda, capo dell'area relazioni istituzionali & strategic advisory di Piazza Cordusio. Il primo, con un passato al vertice di diverse società americane, non è riuscito a svelenire i rapporti con i sindacati; anzi, secondo fonti interne non legate alle confederazioni, li ha acuiti. Così come in ambienti dell'istituto ha destato sorpresa il sempre più stretto legame di Profumo con Carmine Lamanda, prima in Bankitalia poi in Capitalia, ritenuto vicino a Cesare Geronzi.
La dimostrazione dello scollamento interno, secondo alcuni osservatori, sta anche nella fase di transizione che si potrebbe delineare: con i quattro deputy ceo (Roberto Nicastro, Paolo Fiorentino, Sergio Ermotti e Federico Ghizzoni) che non solo restano ma che avranno in un primo momento un ruolo fondamentale al fianco del presidente Rampl. Un segnale che nessuno uscirà dal gruppo magari per solidarietà con il dimissionario Profumo.
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