Il gran debutto londinese dell'offensiva europea dei Tea Party
Lo sbarco dei Tea Party nel vecchio continente inizia con qualche problema di audio. Il pubblico fatica a cogliere le parole di Tim Evans, presidente della Libertarian Alliance. “Sono i microfoni che ci ha fornito il governo”, esclama improvvisamente Eamonn Butler, direttore dell'Adam Smith Institute. La battuta giusta al momento giusto. Almeno se di fronte hai una platea di libertari.
Lo sbarco dei Tea Party nel vecchio continente inizia con qualche problema di audio. Il pubblico fatica a cogliere le parole di Tim Evans, presidente della Libertarian Alliance. “Sono i microfoni che ci ha fornito il governo”, esclama improvvisamente Eamonn Butler, direttore dell'Adam Smith Institute. La battuta giusta al momento giusto. Almeno se di fronte hai una platea di libertari. Il ghiaccio è rotto, qualcuno si sposta nelle file più avanzate ed Evans può finalmente parlare senza più interrompersi. “L'interventismo di stato – esordisce – annacqua il mercato”.
E' un crescendo: “Basti pensare alla Bank of England: è governata da un soviet”. Silenzio. “I'm sorry, da un gruppo di persone molto sagge”. Il vertice dei maggiori think tank libertari al mondo si conferma all'altezza delle attese sin da queste prime battute. L'appuntamento di Londra – si chiama “European Resource Bank”, perché l'obiettivo è costituire una “banca” di capitale umano, ovviamente liberale – serve innanzitutto a ribadire lo sdegno di fronte alle politiche economiche che la crisi ha innescato. Ma anche per fare quadrato intorno alle opportunità del momento. “Non vogliamo fare lo stesso errore del 1929 – dice Evans – quando abbiamo perso la disputa intellettuale sulla crisi: allora ci abbiamo messo decenni per recuperare il terreno perso”. Una battaglia che non è delle più semplici. Più che le libertà di Von Hayek, la crisi ha rispolverato le mezze misure di Keynes. Eppure, concordano i convenuti, il momento è propizio.
“La crisi – dice al Foglio Alberto Mingardi, direttore dell'Istituto Bruno Leoni che partecipa all'incontro – ci ha colti intellettualmente impreparati. Tuttavia oggi, prendendo spunto da quanto diceva Toni Negri qualche anno fa parlando del capitalismo, lo stato è dove avremmo sempre voluto che fosse: al di sopra dei banchieri”. Se dunque ieri erano i neomarxisti ad avere il bersaglio nel mirino, oggi ce l'hanno i libertari. “Dopo anni di troppa spesa pubblica – continua Mingardi – siamo arrivati a livelli di debito insostenibili. Qui i casi sono due: o aumentiamo le tasse, cosa che in molti paesi europei, Italia compresa, è impossibile, perché sono già troppo alte. O riduciamo la spesa pubblica e avviamo una graduale dismissione di asset ancora pubblici”. Dove tagliare? “La spesa sanitaria per esempio è fuori controllo”. Arriva il coffee break. Una buona occasione per dare un'occhiata al banchetto degli opuscoli. Anche qui l'offerta si conferma in linea con le attese: “Liberare gli individui, affondare lo stato”; “L'indice delle libertà individuali” (nulla di nuovo, l'Italia è 74esima dopo Montenegro, Jamaica, Bahrain, etc.); poi la ventesima edizione de “Il Congresso dei maiali”, nel quale vengono elencati uno per uno i capitoli di spesa più inutili varati a Washington.
A proposito di Washington: c'è anche Terry Kibbe, una delle animatrici dei Tea Party che stanno scaldando i circoli libertari statunitensi. Il nome di questi gruppi rievoca le proteste avvenute a Boston nel 1773 contro i balzelli imposti dalla Corona inglese: “Il governo sta spendendo soldi che non ha, agendo così in modo irresponsabile”, spiega la Kibbe: “Domenica ci siamo dati appuntamento a Washington. Protesteremo contro la riforma della sanità e chiederemo che nella tornata elettorale di novembre si ponga la giusta enfasi su politiche fiscali più conservatrici”. “L'onda lunga dei Tea Party può aiutare la causa libertaria anche in Europa”, riflette Barbara Kolm dell'Hayek Institute di Vienna: “Per anni la piazza è stata appannaggio delle sinistre. Oggi è tempo che siano riempite da noi, donne e uomini di mercato”. Dalla “maggioranza silenziosa” ai Tea Party. Che tutto sono, fuorché silenziosi.


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