Cronista fuori dal giro politico deluso da Mirabello

La “lapidazione” di Fini (e non solo) vista con gli occhi di Sakineh

Toni Capuozzo

Non sta a me, che non appartengo al giro o al controgiro, aggiungermi alle chiose del discorso di Fini a Mirabello. Però, avendolo ascoltato attentamente, ho due cose da dire. Riguardano il mondo, che mi è apparso, in quelle parole, lontano lontano. Come se anche i discorsi più alti, nei momenti decisivi della politica italiana, fossero destinati a essere declamazioni, riferimenti, messaggi, ma tutti comprensibili solo nel vicolo cieco del nostro localismo.

    Non sta a me, che non appartengo al giro o al controgiro, aggiungermi alle chiose del discorso di Fini a Mirabello. Però, avendolo ascoltato attentamente, ho due cose da dire. Riguardano il mondo, che mi è apparso, in quelle parole, lontano lontano. Come se anche i discorsi più alti, nei momenti decisivi della politica italiana, fossero destinati a essere declamazioni, riferimenti, messaggi, ma tutti comprensibili solo nel vicolo cieco del nostro localismo. Il mondo, nel discorso di Fini, è stato solo uno scenario ineluttabile di crisi economica finanziaria, che giustifica tagli dolorosi nel nostro bilancio, ma non autorizza a calarli su tutti allo stesso modo, e almeno le polizie, le famiglie monoreddito e la scuola andrebbero risparmiati. Per il resto, il mondo della globalizzazione, della delocalizzazione, delle migrazioni, si è affacciato solo per qualche affermazione di principio, generica, sul tema dell'immigrazione. E per un passaggio, che è quello che mi ha colpito. Quando Fini, parlando degli attacchi a sé e alla propria famiglia, ha detto “lapidazione islamica”. Intanto, è sorprendente che tanta correttezza politica si lasci scappare un “islamica” accanto a “lapidazione”. E' vero che le lapidazioni di oggi vengono dal mondo islamico, ma non tutto il mondo islamico produce lapidazioni. Non sarebbe giusto neppure chiamarla “lapidazione sciita”, perché è vero che l'Iran è sciita, ma lo sono anche altri paesi in cui di lapidazione, fortunatamente, non c'è traccia. Né sarebbe leale chiamarla “lapidazione iraniana”, con uno sgambetto alla gran parte degli iraniani che attraverso film, libri, articoli, manifestazioni, espressioni di libero pensiero sulla rete, è cosa diversa dal regime.

    E poi, dettaglio rivelatore dell'orizzonte corto del discorso di un leader che pure è stato ministro degli Esteri, si può usare la vicenda della lapidazione (è vero, nel nostro cortile spesso fenomeni complessi e drammatici vengono usati, e sviliti persino nella loro cupa grandezza per polemiche interne o comodità da titolo… si pensi al “talebani” appioppato qua o là, o al termine “kamikaze” usato impropriamente per definire i terroristi suicidi), si può citarla senza dire una parola, una sola parola su Sakineh ? Così, curiosamente, nelle stesse ore, un discorso che condiziona lo scenario italiano evita ogni riferimento, e il dibattito su Sakineh ha per protagonista Catherine Deneuve: che mondo alla rovescia… A proposito delle affermazioni dell'attrice francese, dissonanti da una testata all'altra (un buco di Repubblica o una enfatizzazione del Corriere?), vorrei dire che trovo poco felice la presa di posizione della première dame solo perché chi sta all'Eliseo ha il dovere di fare, più ancora che dire. C'è tutto un mondo di business e diplomazia su cui i Sarkozy possono lavorare efficacemente, senza ripiegare sulla dichiarazione di principio che salva la coscienza, fa moda, ma non sposta lo stato di cose.

    Ricordo quando Ahmadinejad venne in Italia, accuratamente ignorato dalle nostre autorità ufficiali, salvo incontrarsi al Cavalieri Hilton di Roma con una platea foltissima di imprenditori italiani. Salvammo la faccia e salvammo la sostanza, insieme. E questo rapporto tra prese di posizioni di principio e realpolitik mi porta alla seconda e ultima osservazione di Gianfranco Fini sulla visita di Gheddafi in Italia. Che mi ha divertito, più che amareggiato, perché ricorda certe visite di viceré o di sceicchi del petrolio, nelle quali noi italiani esibiamo tutta la nostra furbesca condiscendenza – vedi le hostess alle conferenze – e tutta la nostra divertita fascinazione per l'esotico, si tratti di elefanti o guardie del corpo donne, di rubini o di tende.

    Un mio amico ha visto in tivù l'esibizione equestre e si è molto divertito, perché i cavalieri berberi non facevano altro che lanciare urla e galoppare da cima a fondo sull'arena. Poi sono arrivati i carabinieri a cavallo, ed è stato come se entrasse, sulla pista del circo, il Bolscioi a cavallo, se entrassero i tre tenori dopo gli stornellatori di paese. Tutto molto buffo, molto colorito, ma niente a che vedere con la sostanza. Forse più irritante è come il leader libico ci ricordi le malefatte del colonialismo italiano (non credo di dover ricordare che “Terra!” mandò in onda in tempi meno semplici spezzoni del “Leone del deserto”, con Anthony Quinn nei panni proibiti del ribelle…), trascurando le ingiustizie subite dagli italiani di Libia, e la cacciata degli ebrei di Libia. Ma fa parte dell'uso interno, a scaldare i cuori dei libici, nel quale sarebbe complicato ricordare la telefonata che salvò Gheddafi, preavvertito, dal bombardamento americano, o i ridicoli missili su Lampedusa, o Ustica.

    La sostanza è altro: il petrolio, la finanza libica in Italia, l'accordo sull'immigrazione. E' un arrosto sobrio e carnoso, sul quale un solo appunto mi sembra possa essere fatto: che la condizione dei mancati immigrati in Libia è incerta, e né l'Europa, né le Nazioni Unite – che pure affidarono alla Libia la presidenza di una commissione sui diritti umani – hanno fatto qualcosa per renderla migliore. Aveva senso risparmiarsi tende e caroselli, ha senso il dito ammonitore di Fini, e il suo richiamo alla dignità nazionale? A me sembra una polemica facile, che si pareggia, nelle stesse ore, con la definizione di mafioso e criminale attribuita dalla stampa di regime iraniana al premier italiano, che a questo punto sarebbe cedevole con i libici e gradasso con Teheran… ma forse, appunto, il discorso di Fini aveva altri orizzonti, e altri obiettivi, incurante di Putin o Lukashenko, di Chávez o di Lula. Infatti, non ha mai nominato l'Afghanistan, né l'Iraq. E neppure Obama, che ha messo nell'angolo il Partito democratico, e guida gli States così così, come una ditta.