La trattativa
Che cosa deve fare il Cav. per ottenere dai finiani l'appoggio per governare
Una maggioranza che non è più tale e un'alternativa che non esiste, a meno di mettere insieme un'armata Brancaleone che peraltro avrebbe la maggioranza in un solo ramo del Parlamento. Situazione simile, è stato osservato, a quella in cui si trovò, per effetto di un risultato elettorale ambiguo, Romano Prodi alla sua seconda esperienza di governo (anche se in quel caso la maggioranza era salda alla Camera e dubbia al Senato). Prodi tirò avanti due anni, subendo anche sconfitte gravi, come quella sulla politica estera, ma riuscì a mantenere un precario equilibrio per un tempo abbastanza consistente.
Una maggioranza che non è più tale e un'alternativa che non esiste, a meno di mettere insieme un'armata Brancaleone che peraltro avrebbe la maggioranza in un solo ramo del Parlamento. Situazione simile, è stato osservato, a quella in cui si trovò, per effetto di un risultato elettorale ambiguo, Romano Prodi alla sua seconda esperienza di governo (anche se in quel caso la maggioranza era salda alla Camera e dubbia al Senato). Prodi tirò avanti due anni, subendo anche sconfitte gravi, come quella sulla politica estera, ma riuscì a mantenere un precario equilibrio per un tempo abbastanza consistente. Silvio Berlusconi non è però nelle condizioni di ripetere, a parti politiche rovesciate, la stessa esperienza. Il leader dell'Unione presentava la sua azione come orientata da fattori “tecnici”, il che gli consentì di ignorare le pressioni politiche all'interno della maggioranza, volta a volta dall'estrema sinistra o da ambienti moderati o legati al magistero ecclesiastico. Naturalmente a lungo andare queste tensioni, unite alla sostanziale paralisi dell'esecutivo, produssero una situazione di stallo poi portata all'epilogo da una confusa vicenda giudiziaria, ma che già era stata politicamente risolta con l'elezione di Walter Veltroni alla testa di un Partito democratico che in nome della “vocazione maggioritaria” aveva già abbandonato (quasi) tutti gli alleati.
Berlusconi guida invece un governo politico, basato sull'alleanza con la Lega e su un ambizioso programma di riforme. Se non è in grado di realizzarlo, almeno nei suoi tratti essenziali, non ha a sua disposizione alcun equilibrio statico da gestire. La Lega, che si considera il motore riformatore della maggioranza, non reggerebbe una condizione di impaludamento e lo stesso Berlusconi non ha né il carattere né l'immagine tecnocratica e apparentemente “neutrale” che consentirono a Prodi di galleggiare ma rinunciando, dopo la prima Finanziaria sanguinosa, a governare.
Questo significa che Berlusconi ha bisogno di una maggioranza effettivamente impegnata in un programma di riforme, magari ridotto rispetto a quello originario, ma effettivamente condiviso. Per ottenere questo risultato ha due strade, quella di un accordo con l'insieme di Futuro e libertà, o quella di una divisione interna a quel gruppo che separi il settore filogovernativo (eventualmente integrato da una specie di patto di non belligeranza con i centristi) da coloro che preferiscono l'avventura di uno strappo definitivo che conduca ad elezioni anticipate o a un fantomatico governo di ribaltone.
Paradossalmente, questo dilemma è lo stesso che Prodi si trovò di fronte dopo due anni della sua prima esperienza di governo, quando Fausto Bertinotti uscì dalla maggioranza, ma una parte di Rifondazione, quella legata ad Armando Cossutta, scelse invece di continuare ad appoggiare il governo. Prodi promosse la scissione ma questo, per un solo voto, non gli bastò a conservare la maggioranza. Fu invece Massimo D'Alema, aprendo ai centristi di Clemente Mastella, a mettere insieme una nuova ed effimera maggioranza. Ma anche in questo caso la situazione di Berlusconi è diversa. La distinzione tra falchi e colombe interna ai futuristi non è cristallizzata su basi ideologiche, come accadeva allora tra i neocomunisti. Nessuno dice apertamente che non voterà la fiducia al governo, nessuno assicura che gli garantirà una navigazione fluida sui temi programmatici concordati. L'unità del gruppo, d'altra parte, nasce da un senso di fedeltà nei confronti di Gianfranco Fini, le cui prospettive politiche, che apparivano assicurate solo un mese fa, ora sembrano assai meno rosee. Un presidente della Camera che faceva il controcanto quotidiano al premier raccoglieva consensi diffusi, un capo partito che non sa dire se sta in maggioranza o all'opposizione e che si affida all'arma spuntata del giustizialismo legalitario, crea più che altro imbarazzo.
La rapidità della parabola discendente di Fini, però, potrebbe indurre Berlusconi nell'errore: rifiutare la trattativa con l'insieme dei finiani, puntando a provocarne dall'esterno una rottura che invece può determinarsi solo per effetto di una divisione dentro Fli sul modo di rispondere a una proposta politica ragionata del partito di maggioranza relativa. Dalla tattica che sarà adottata dipende, oggi come oggi, la sorte del governo e della legislatura.


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