Non solo "questioni di sicurezza"

Geopolitica dello smartphone: perché i paesi arabi non sopportano il BlackBerry

Marco Valerio Lo Prete

La messa al bando del BlackBerry sembra il collante di una novella unità panaraba. Le capitali mediorientali temono di non riuscire a controllare i contenuti scamviati sui telefonini dei loro connazionali. Più dei terroristi, spiega Keyes al Foglio, temono alcuni dissidenti. La segretaria di stato americana Clinton promette battaglia ma intanto oggi il Wall Street Journal scrive di accordi militari da 30 miliardi di dollari tra Washington e Riad.

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    Anche l'Algeria sta pensando di mettere al bando il BlackBerry. Parola del ministro delle Telecomunicazioni, Moussa Benhamadi. Ormai quella delle norme restrittive sullo smartphone prodotto dalla società canadese Rim sembra un'epidemia: i primi ad annunciare restrizioni – che però entrerebbero in vigore da ottobre – erano stati gli Emirati Arabi Uniti, domenica scorsa; poi è stata la volta dell'Arabia Saudita, con Riad che già ieri ha interrotto per alcune ore il servizio di messaggistica istantanea. Idem per Bahrein e Libano, che però nelle ultime 24 ore hanno smentito qualsiasi ipotesi di sospensione. Il BlackBerry è offlimits “per ragioni di sicurezza”, ripetono le autorità mediorientali. Questo tipo di smartphone prevede infatti che il contenuto delle e-mail e dei servizi di messaggeria venga criptato e compresso per ottimizzarne e velocizzarne l'utilizzo. La conseguenza, sostengono i governi arabi, è che risulta impossibile intercettare efficacemente tutte le parole trasmesse nell'etere. Comprese quelle dei terroristi, fanno intendere in medio oriente.

    “Un problema di sicurezza? Non è la prima volta che ne sento parlare a Dubai”, dice al Foglio David Keyes, attivista per i diritti dei cyberdissidenti del mondo arabo: “A marzo, proprio negli stessi Emirati Arabi Uniti che oggi guidano l'offensiva anti BlackBerry, due dipendenti della Emirates Airlines sono stati arrestati grazie all'intercettazione del contenuto di alcuni sms”. La colpa? “Essersi scambiati alcune frasi scherzose a sfondo sessuale”. Una violazione dei codici morali locali che ai due è costata tre mesi di carcere. Di casi simili, in tutta l'area, ce ne sono migliaia. Cyberdissidents.org – l'associazione diretta da Keyes e nel cui board siedono dissidenti come l'egiziano Saad Eddin Ibrahim, l'iraniano Ahmad Batebi e il “padre nobile” Natan Sharansky – preferisce diffondere le storie di alcuni di questi oppositori, piuttosto che continuare con la compilazione di lugubri statistiche di persone incarcerate o scomparse. “Anche in queste ore i giornali occidentali si accontentano di guardare al dito – che questa volta ha le sembianze di un BlackBerry – e si rifiutano di contemplare la luna, che invece ha il volto di Mohammed Abdulqader Al Jasem”. Avvocato 54enne del Kuwait, Mohammed ha già passato 49 giorni in carcere, prima di essere dimesso per le sue precarie condizioni di salute; nonostante ciò, il 20 settembre sarà processato: è accusato di aver offeso la casa regnante per il solo fatto di aver parlato sul suo blog delle interferenze iraniane nel paese. “Per le élite al comando nel mondo arabo, quello della ‘sicurezza' è un mantra a proprio uso e consumo –  spiega Keyes – la realtà è che ogni scusa è buona per ostacolare la libera circolazione delle idee. Sono queste ultime, e non i passi avanti compiuti di volta in volta dalla tecnologia, a creare un senso di ‘insicurezza' per quanti detengono il potere”.

    Ma è veramente questa la ragione che ieri ha spinto Riad a bloccare – al momento soltanto per alcune ore – il sistema di messaggistica istantanea dei circa 700 mila telefoni BlackBerry presenti nel paese? “Effettivamente ritengo che si tratti soprattutto di una questione sociale – ha confermato un banchiere saudita intervistato dal Financial Times e che ha chiesto di rimanere anonimo – d'improvviso possedere un BlackBerry è diventato alla moda, al punto che oggi questo smartphone costituisce per i giovani lo strumento più popolare per chattare”. Uno strumento diffuso anche negli Emirati Arabi, dove ne sono stati venduti 500 mila esemplari.

    Rim, la società canadese produttrice del BlackBerry, è in allarme: è vero che sommando gli apparecchi dei due paesi arabi si arriva a 1,2 milioni, cifra comunque contenuta rispetto ai 41 milioni di sottoscrittori in tutto il mondo, eppure qualsiasi accordo con le autorità locali rischia di compromettere la credibilità del gruppo, a partire dalla blindatura della privacy e dalla rapidità dei servizi che hanno portato questo tipo di smartphone a spopolare innanzitutto nel mondo degli affari. Non sorprende dunque che il governo canadese sia ufficialmente sceso in campo per avviare subito colloqui con le autorità mediorientali. Non solo: anche il segretario di stato americano, Hillary Clinton, ha detto pubblicamente che occorre bilanciare “le legittime preoccupazioni per la sicurezza” e “il diritto a un accesso e un utilizzo liberi”.

    “Ma l'Amministrazione Obama, con il tempo, rischia di perdere credibilità”, osserva Keyes: “A fine giugno il presidente Barack Obama ha incontrato il re saudita Abdullah, eppure non ha mai pronunciato l'espressione ‘diritti umani'”. Non solo: nonostante negli uffici di Cyberdissidents.org non si nasconda come il sostegno alla famiglia reale di Riad sia un affare bipartisan, che coinvolge repubblicani e democratici allo stesso modo, Keyes sostiene che “Obama sta facendo peggio di Bush. Tra 2005 e 2008 l'Arabia Saudita ha acquistato armi da Washington per un valore di 11,2 miliardi di dollari. Nei prossimi due mesi, invece, al Congresso verrà richiesto di approvare nuovi accordi per un totale di 30 miliardi. E in quel caso il messaggio ai dissidenti arabi sarà fin troppo chiaro”. Non ci sarà BlackBerry o messaggio criptato che tenga.

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