Processo alla Fiat

E se Marchionne parlasse di Pomigliano&sindacati per non parlare d'altro?

Ernest Ferrari

Fiat Automobiles va male; Chrysler rimane una scommessa azzardata. Da qui occorre iniziare se si vuol trovare un senso alla parola pirotecnica del Marchionne di mezza estate. Il manager si rivela un maestro dell'ambivalenza nella comunicazione. Quasi ognuna delle sue dichiarazioni recenti contiene un messaggio parziale, diretto e chiaro, il cui effetto secondario è però di distogliere chi lo riceve dal considerare la situazione nel suo insieme.

Il "processo alla Fiat" continua sul Foglio di carta, con gli interventi di Francesco Forte e Guido Viale.

    Fiat Automobiles va male; Chrysler rimane una scommessa azzardata. Da qui occorre iniziare se si vuol trovare un senso alla parola pirotecnica del Marchionne di mezza estate. Basta leggere i numeri per percepire la dura crisi di Fiat Automobiles. Non solo è il gruppo europeo che subisce il maggior calo in Europa nel primo semestre di quest'anno, ma la marca Fiat – l'unica che conti in termini di numeri nel gruppo – è ora battuta non solo da Volkswagen, ma anche da Peugeot, Renault, Ford, Opel, e, a giugno, da Citroën: tra le marche europee a larga diffusione, non manca più nessuno. La ritirata catastrofica dall'Europa, Italia inclusa, è il vero dramma della Fiat. Certo, c'è il Brasile, dove si vende bene, e che porta a casa gli utili che non si realizzano altrove… e poi c'è Chrysler, la grande pensata del regno, un po' come l'impero del Messico per Napoleone terzo. Ma lì, fu una catastrofe.

    E Chrysler va meglio. Il grande manager Marchionne cura Chrysler, e da Auburn Hills, dirige l'impero Fiat-Chrysler, o Chrysler-Fiat, come si comincia a leggere sulla stampa, per significare, forse, che Chrysler conterà sempre di più. Ma Chrysler è sempre il più piccolo dei tre grandi costruttori americani, non gode di un'immagine favorevole, e nessuno può giurare sui futuri modelli nascenti dall'incrocio con la casa torinese. Di quasi sicuro c'è soltanto che le probabilità di successo della Cinquecento sono discrete in Messico, e praticamente nulle negli Stati Uniti. Di fronte alla caduta di Fiat in Europa, le cui origini risalgono agli anni 2006/2007, anni in cui rinunciò di fatto al suo obiettivo di forte crescita per il gruppo in Europa, Marchionne non ha altra scelta se non quella di giocare la carta Chrysler. Dunque l'America.

    In alternativa all'Europa? Sostanzialmente si. Il che non toglie che Marchionne farà certamente il possibile per resistere (senza illusioni) in Europa. In questa situazione, chiara per chi la vuol leggere dai fatti, ma complessa per chi deve interpretare le parole, Marchionne si rivela peraltro un maestro dell'ambivalenza nella comunicazione. Quasi ognuna delle sue dichiarazioni recenti contiene un messaggio parziale, diretto e chiaro, il cui effetto secondario è però di distogliere chi lo riceve dal considerare la situazione nel suo insieme. Il risultato ottenuto presso molti destinatari del messaggio è che non si parla della crisi del Gruppo in Europa, né dei rischi che corre in America. Si parla invece di un trasferimento di produzione dalla Polonia a Pomigliano, o da Mirafiori alla Serbia. Il tutto condito con una forte critica al sindacato italiano, un elogio a quello statunitense, l'annuncio di risultati economici positivi, il preannuncio dello spin off. Un fuoco d'artificio di parole, la cui conseguenza è dunque di offuscare almeno provvisoriamente le debolezze effettive e preoccupanti della Chrysler-Fiat.

    Ma quello che dichiara Marchionne in questi giorni è condivisibile oppure no? Lo è quasi sempre. E crede a quello che dice? Su questo non c'è dubbio. Prendiamo l'esempio della Serbia. È evidente che una Casa automobilistica europea, specialmente se in difficoltà come il gruppo Fiat, deve ricercare luoghi di produzione che portino a una riduzione dei costi. La Serbia, partner Fiat da decenni, possiede questa caratteristica. Marchionne potrebbe dunque rivendicare, a giusto titolo, la sua libera scelta di imprenditore. Ma in questo caso entrerebbe in contraddizione con se stesso, con le dichiarazioni sulla crescita dell'occupazione automobilistica in Italia, con la mitica “Fabbrica Italia”, con le promesse di Pomigliano. Entrerebbe in rotta di collisione irrimediabile con i suoi interlocutori più autorevoli, governo incluso. Da qui, forse, le dichiarazioni di Marchionne sul sindacato, additato quale causa della migrazione all'estero della produzione… in attesa di eventuali migliori proposte da parte del governo.

    Con questo resta evidente che Marchionne non ha molta simpatia per il sindacato; esprime ciò che pensa in merito, con una enfasi non necessaria ma utile al momento, dal suo punto di vista, e magari utile anche al gruppo Chrysler-Fiat. Dopo tutto, chi può affermare senza tema di smentita che una schietta dichiarazione del manager sulle difficoltà strategiche dell'azienda, servirebbe meglio gli interessi della stessa che la comunicazione ambivalente qui evocata?

    Il "processo alla Fiat" continua sul Foglio di carta, con gli interventi di Francesco Forte e Guido Viale.