Lingotto globale
Le controdeduzioni al processo del manifesto alla Fiat
Da queste colonne avevamo detto di aver preso sul serio le riflessioni su Pomigliano d'Arco di Guido Viale, apparse mercoledì scorso sul manifesto e poi chiosate sul Foglio da Stefano Cingolani, Ernest Ferrari, Francesco Forte, Michele Magno, Bruno Manghi, Riccardo Ruggeri e Sergio Soave. Ieri l'ex leader del '68 ha replicato ancora sul quotidiano comunista ad alcune delle riflessioni qui ospitate.
Da queste colonne avevamo detto di aver preso sul serio le riflessioni su Pomigliano d'Arco di Guido Viale, apparse mercoledì scorso sul manifesto e poi chiosate sul Foglio da Stefano Cingolani, Ernest Ferrari, Francesco Forte, Michele Magno, Bruno Manghi, Riccardo Ruggeri e Sergio Soave. Ieri l'ex leader del '68 ha replicato ancora sul quotidiano comunista ad alcune delle riflessioni qui ospitate.
Sosteneva Viale, nel suo primo intervento sul manifesto, che il “piano A” proposto da Sergio Marchionne per rianimare lo stabilimento di Pomigliano è il degno erede dei sette precedenti piani di ristrutturazione proposti dalla Fiat negli ultimi dieci anni. “Solo se si è in malafede o dementi gli si può dar credito”, scriveva il sociologo. Meglio dunque pensare a una vera alternativa, da ricercare nella “conversione ambientale del sistema produttivo”. Non che il piano del Lingotto, sul Foglio, avesse riscosso un'approvazione incondizionata, come osserva lo stesso Viale. L'analista del settore automotive Ernest Ferrari, per esempio, aveva definito il progetto addirittura “irrealizzabile”, mentre Bruno Manghi, ex direttore del centro studi della Cisl, aveva parlato di “una scommessa, che nessuno può prevedere con certezza come finirà”. Quanto al progetto di lungo periodo della Fiat, di arrivare a produrre 6 milioni di automobili, Francesco Forte, ex ministro delle Finanze ed editorialista del Foglio, ha osservato come il piano sia stato “valutato positivamente dal governo statunitense, dalle banche e dalla Borsa”. Ma queste due ultime istituzioni, secondo Viale, “hanno raggiunto la credibilità più bassa della loro storia”.
Replica Forte: “Viale ritiene che la valutazione positiva del piano Fiat da parte della Borsa e delle banche non sia attendibile perché queste istituzioni non sono credibili. Ma se la sua tesi di fondo è che le istituzioni del sistema capitalistico non sono valide, è dimostrato che facevo bene a parlare di una sua concezione per cui il capitalismo è un imbroglio e il mercato una mistificazione”. L'ex ministro si dice poi “convinto che il piano approvato due giorni fa dal referendum sia perfettamente attuabile, ma non certo se i lavoratori ragionano come la Fiom e come Viale, cui del destino del sud sembra importare nulla”.
Comunque la si pensi del piano del Lingotto, secondo Sergio Soave, editorialista del Foglio, il manifesto ha proposto “una nuova sintesi tra deindustrializzazione e mangiatori di fragoline di bosco”. E se Viale si stupisce (“Ma quando mai?”, ha scritto ieri), Soave tiene il punto: “Avrò dimenticato qualche mulino a vento, ma la mia è solo una sintesi, seppure sarcastica, di quella che Viale ha proposto come strada alternativa dello sviluppo industriale”. La strada indicata è essenzialmente quella di una colossale riconversione eco-produttiva fondata sulle energie rinnovabili e sulla sostituzione delle auto con “veicoli condivisi”. Discorsi già sentiti, ha azzardato qualcuno. A Stefano Cingolani, firma del Foglio, che ricordava come negli anni 70 “in certe assemblee gauchiste c'era chi si alzava proponendo che la Fiat fornisse brandine agli ospedali”, Viale ha ribattuto: “Che assemblee avrà mai frequentato Cingolani in quegli anni?”.
Replica del diretto interessato: “Debbo a Guido Viale una confessione: non so a quale assemblea abbia partecipato ‘in quegli anni' – osserva – Ho preso la maturità nel 1968 e ho lavorato all'Unità per un decennio e passa, occupandomi di studenti, operai, sindacati, industria, etc. Non ricordo esattamente quante assemblee ho seguito, a cominciare da Mirafiori i cui cancelli scoprii nel brumoso autunno 1969”. Ma secondo Cingolani “il punto non è questo: produrre brandine è una cosa seria, ancor di più la riconversione all'economia verde. E intanto? E' possibile ripensare a una prospettiva basata su produzioni più ricche e fruttuose? Ha ragione Viale che la teoria delle anatre volanti non regge. Oggi prevale il gioco fantasioso degli storni. Ma la Cina non ha raggiunto livelli tecnologici pari ai nostri. Lo dice la catena di valore non della ‘vecchia' auto, ma dei prodotti più cool come l'iPad. La fetta degli assemblatori cinesi è minima rispetto al 50 per cento che va agli americani, al 20 dei giapponesi e al 15 degli stessi europei che producono microprocessori.
La quota cinese aumenterà, certo, ma nel frattempo c'è spazio e tempo per non mollare”. Viale infine, riferendosi innanzitutto alle parole di Michele Magno, ex dirigente della Cgil e dei Ds, scrive: “Sembra però che la conversione ambientale dello stabilimento di Pomigliano, o di altre fabbriche in crisi, urti contro la centralità della produzione automobilistica (una volta la centralità era della classe operaia, ma i tempi sono cambiati)”. Mentre Magno, pur ribadendo che “la centralità della produzione automobilistica per le nostre economie è un fatto e i fatti hanno la testa dura”, definisce il progetto di Viale “discutibile ma rispettabile”: “Può anche essere messo all'ordine del giorno, ma non ha nulla a che fare con le sorti odierne di Pomigliano”.
Leggi la replica di Viale dal Manifesto


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