Travaglio, o il giustizialismo calzaturiero che tifa Saviano
Due pagine due, firmate da Marco Travaglio e introdotte dalla sobria testatina “Parole e fango”, hanno ragguagliato ieri i lettori del Fatto quotidiano sui vili attacchi all'autore di “Gomorra”, Roberto Saviano, bersagliato da critiche che “piovono anche da sinistra”. Travaglio è indignato (la cosa, com'è noto, gli riesce benissimo), per gli appunti che arrivano – nel merito e sul metodo dell'operazione culturale rappresentata da “Gomorra” – dal sociologo Alessandro Dal Lago.
Due pagine due, firmate da Marco Travaglio e introdotte dalla sobria testatina “Parole e fango”, hanno ragguagliato ieri i lettori del Fatto quotidiano sui vili attacchi all'autore di “Gomorra”, Roberto Saviano, bersagliato da critiche che “piovono anche da sinistra”. Travaglio è indignato (la cosa, com'è noto, gli riesce benissimo), per gli appunti che arrivano – nel merito e sul metodo dell'operazione culturale rappresentata da “Gomorra” – dal sociologo Alessandro Dal Lago. Uomo di sinistra, collaboratore del manifesto e autore di “Eroi di carta. Il caso Gomorra e altre epopee” (manifestolibri), ancora costretto a ribadire sul manifesto che la sua intenzione non è quella di insultare Saviano, ma di riflettere, attraverso l'analisi del “caso Gomorra”, “sul significato dell'eroismo in una cultura governata dai media (in cui rientrano, appunto, anche i bestseller letterari)”.
Ci si è messo anche il musicista Daniele Sepe, nota Travaglio. Uno che si definisce “sax comunista” e che a Saviano le ha cantate in disco, oltre che sul manifesto. Dove ha scritto: “La nostra bussola culturale, politica, oggi è ancora Brecht o è diventata Roberto Saviano? Chaplin diceva che il crimine paga solo alla grande. Infatti. Io nelle parole e gli scritti di Saviano non ho mai trovato queste sottili distinzioni. Mentre si rivolge in maniera educata e deferente al nostro Presidente del Consiglio, suo editore, con una ‘preghiera', ai tempi della legge sul processo breve, tuona contro le belve assetate di sangue sedute dietro una sbarra al processo ‘Spartacus'”.
Dal Lago e Sepe, secondo Travaglio, agirebbero da “professionisti dell'anti-Saviano”, senza basarsi su quello che l'autore di “Gomorra” ha davvero detto o scritto, ma su dubbie citazioni. Interpellato dal Foglio, Dal Lago dice di considerare chiusa la querelle che lo riguarda con il suo pezzo uscito ieri sul manifesto, di stare raccogliendo un dossier “sulla salute dell'intelligenza critica in Italia” e di non aver letto Travaglio. Il quale ripropone molti argomenti già scodellati sul manifesto di venerdì scorso da Severino Cesari, in difesa di “Gomorra”. Cesari non è penna propriamente super partes: redattore del quotidiano comunista fino agli anni Ottanta, oggi è direttore editoriale di Einaudi-Stile libero (maison Mondadori, casa editrice di Saviano), nonché patrocinatore di correnti letterarie oggetto di critica nel pamphlet di Dal Lago. Forse ci voleva una riga per esplicitare il conflitto d'interessi?
Sarà per la prossima volta. Intanto Travaglio rilancia alcune vibrate argomentazioni di Cesari (senza occuparsi della vera domanda di Dal Lago: “Gomorra” è un testo d'invenzione letteraria, quindi da giudicare in base al suo stile, e quindi ai suoi molti svarioni, alle sue ingenuità, alle sue incongruenze, o pretende di dire la “verità” dei fatti?). Cesari ha accusato Dal Lago di “farsesche” critiche di sciatteria contro Saviano. Il quale, per esempio, calza i suoi camorristi non con “stivali” (come ha scritto il tendenzioso sociologo alla ricerca del pelo nell'uovo, stupito perché poco prima si parlava di scarpe da ginnastica), ma con “stivaletti”. Meno male che c'è Travaglio a mettere le cose a posto (ma nello stesso tempo esorta Saviano a non pubblicare più con Mondadori: chissà che ne pensa Cesari): “In ‘Gomorra' – puntualizza il cofondatore del Fatto – si parla di ‘stivaletti' e di ‘stivaletti' sportivi ne esistono parecchi in commercio. Per esempio quelli di marca ‘Hogan's' (sic) e simili”. “Se introduci un dettaglio bisogna che lo mediti fino in fondo”, consigliava agli scrittori principianti il grande formalista russo Viktor Sklovskij. Ma “Gomorra” non è un romanzo, non è letteratura, non è nemmeno un documento. E' una fede, oggi difesa anche dal giustizialista calzaturiero Marco Travaglio.


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