La seconda puntata con le altre sedici squadre

Ritratti non solo pallonari dei paesi che si giocano i mondiali/ 2

Redazione

A leggere i giornali, rispetto al 2006, in Italia sono molto migliorate le crocerossine. Per quanto riguarda i calciatori, non si sa. Diversi sono i governi, diverse le maggioranze politiche: non rumoreggia più, nel governo, a sinistra, un Pecoraro Scanio; ma rumoreggia molto, sul bordocampo di Ballarò, a centrodestra, Maurizio Lupi. L'allenatore è lo stesso: allenatore che vince si cambia, ma poi si richiama. E dopo l'infatuazione nazionale per Mouhrino, si è tornati, con Marcello Lippi, a un più solido spirito nostrano.

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    Nigeria

    “Quando è nato ho capito d'istinto che sarebbe stato un uomo fortunato”. Così il padre di Goodluck Jonathan ha spiegato il nome bizzarro scelto per il figlio, attuale presidente della Nigeria. Un paese a cui il destino ha donato dei giacimenti di petrolio troppo vasti per permettere prospettive di pace credibili. Al sud i ribelli attirati dal greggio, a nord gli estremisti islamici che impongono la sharia con la violenza. Il presidente Umaru Musa Yar'Adua, vincitore delle elezioni del 2007 – segnate da brogli e violenze, era riuscito a raggiungere un accordo con il principale gruppo ribelle della regione del Delta: cessate il fuoco e disarmo in cambio di un'amnistia speciale, un piccolo vitalizio e il 10 per cento delle rendite petrolifere. Ma gli sforzi riformistici di Yar'Adua nell'ambito dell'economia e delle infrastrutture si sono spenti con lui il 5 maggio scorso, lasciando la nazione nelle mani di Goodluck Jonathan. Nel Delta i ribelli hanno ricominciato ad attaccare gli impianti petroliferi e i loro lavoratori, e al presidente ora toccherà trovare il modo di confermare l'intuizione di suo padre.

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    Corea del sud

    Hallyu, l'onda sudcoreana, il dilagare della cultura di Seul in tutto il mondo non si arresta. Attecchisce dappertutto, dalla Russia alla Turchia, e si sta mangiando la Cina: dvd, pop, videogiochi, culto delle celebrità e isteria di massa, a ritmo tale da impensierire persino gli altrimenti serafici membri del Politburo di Pechino. Ma il miracolo sul fiume Han, così si chiama la fantastica accelerazione di economia e benessere nella Corea del sud dai tigreschi anni Ottanta in poi, a partire dall'ultimo Mondiale s'è ammosciata. Dall'eccitante 5 per cento annuo di crescita del pil si è passati al lutulento 0,2 dell'anno scorso. Con il calcio va pure peggio: dopo i fasti del Mondiale 2002 giocato in casa, e l'arrivo in semifinale propiziato (a danno dei nostri) dal famigerato arbitro Byron Moreno, il 2006 è stato così e così, e per il 2010 i giocatori avvertono di “non farsi illusioni”. Resta che i coreani del sud vedranno le partite in megamultiplex da 20 sale, a tre dimensioni. E i coreani del nord non vedranno nulla – di solito provvedevano alla trasmissione i cugini del sud, ma quest'anno non collaborano, per colpa dell'aria di guerra tra i due paesi.

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    Grecia

    Se esiste un dio del contrappasso – un dio un po' meno spietato di Erinni e molto più giocherellone delle Moire – si deve certamente a lui la circostanza che la nazionale greca in campo nei Mondiali 2010 sia allenata da un tedesco, Otto Rehhagel. Nell'anno del disastro economico e politico nazionale, e dopo la polemica ferocissima tra Atene e Berlino a suon di conti greci truccati e di rimborsi di guerra tedeschi mai versati, un commissario tecnico crucco, già ribattezzato Ottone II (per via di Ottone I di Grecia, il bavarese diventato monarca ellenico nel 1832, per volontà di Inghilterra, Francia e Russia), avrà il difficile compito di addolcire gli animi. La squadra nazionale sarà però seguita, dai greci, con qualche distacco. Il paese del 2006 era fuori dai trentadue finalisti dei Mondiali ma più tranquillo, reduce dai fasti olimpionici e dalle connesse, opulente spese, illuso di essersi ormai proiettato nel salotto buono europeo. Oggi la Grecia è amareggiata,  più che rassegnata, e decisa a dar fondo alle solite risorse nazionali: lo scetticismo di fondo verso lo stato, da chiunque sia amministrato, e le riserve pecuniarie personali (altrimenti dette “soldi nel materasso”), che consentono di arrangiarsi in attesa di tempi migliori. Che arrivino, poi, è tutto da dimostrare.

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    Germania

    Angela Merkel è ancora qui, cambia compagno di governo ma non ruolo, è la cancelliera che nel 2006 ospitava i Mondiali – e non inveiva contro gli italiani, a differenza dei giornali tedeschi – e ancora era un po' misteriosa, certo poco carismatica, imbrigliata in una grande coalizione con i socialdemocratici che allora sembrava destinata a finire in poco tempo, e male. Merkel invece regge alla grande, ha lasciato i suoi vecchi partner e ne ha scelti di più giovani (e meno affidabili), i liberali di Guido Westerwelle. Soprattutto la cancelliera ha deciso di governare non soltanto la Germania, ma anche l'Europa intera, così si è messa a imporre la sua linea anche agli altri paesi (i francesi non l'hanno presa bene). Rigore, rigore, rigore è il mantra, che peraltro ben si addice all'immagine dei tedeschi nel mondo. Tutti i “no” più clamorosi degli ultimi anni sono arrivati da Berlino, persino nei confronti di Obama, il che nel continente europeo è quasi un'eresia.

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    Australia

    L'Australia di quattro anni fa era un po' come il suo premier liberale di allora. Un bushiano degli antipodi, John Howard, senza nessun timore a farsi fotografare in tenuta da ginnastica che saltava sulla poltrona di casa per il gol decisivo dei “Socceroos” – come sono chiamati gli undici della nazionale, in onore dei locali e ben più noti “Kangaroos”. L'Australia di oggi è leggermente più compassata, un po' come il suo attuale premier Laburista Kevin Rudd. Ma per il resto Canberra è sempre se stessa: l'economia più vitale dell'area Ocse, l'unica tra quelle industrializzate a non essere finita tecnicamente in recessione sulla scorta della crisi globale. Conti pubblici a posto e liberalizzazioni condivise da sinistra e destra, immigrazione abbondante e qualificata, tante materie prime e scambi intensi con i vicini stati asiatici. Scoppiettante a livello di “struttura”, e ovviamente la “sovrastruttura” tiene: nel 2006 il paese si qualificò per la prima volta dopo 32 anni alle fasi finali dei Mondiali, per poi essere eliminato dall'Italia. Nel 2010, c'è da augurarsi che l'Australia ci regali un bis.

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    Serbia

    A Belgrado, sul viale Kneza Milosa, ci sono ancora i palazzi distrutti dalle bombe della Nato nel 1999. C'è gente che cammina senza fare attenzione, altri lasciano fiori e ricordano quei giorni come una ferita aperta. Ma quella ferita è poca cosa in confronto allo “sfregio”, come lo chiamano in città, che poi sarebbe l'indipendenza del Kosovo. Negli ultimi quattro anni, la Serbia ha avuto poche ragioni per sentirsi occidente. Gli Stati Uniti e la maggior parte dei paesi europei hanno riconosciuto la sovranità di Pristina sulla provincia ribelle nel 2008, mettendo fine a una disputa lunga e sanguinosa. Fra le grandi potenze, soltanto la Russia ha sostenuto il governo della Serbia, il che ha avuto ripercussioni considerevoli sul piano della diplomazia. Oggi, chi passeggia per i bazar della capitale trova lavori all'uncinetto e maglie con gli slogan dei nazionalisti. Una chiede ai visitatori stranieri: “Che cosa sarebbe l'Italia senza la Lombardia? E la Spagna senza la Catalogna?”. Questa storia non ha tolto alla città il suo grande fascino: ogni bar di Belgrado è perfetto per innamorarsi di una Vedrana qualunque.

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    Ghana

    E' alla sua seconda partecipazione a un Mondiale, dopo quel Germania 2006 in cui aveva meritato il secondo posto del nostro girone, per poi essere freddata dal Brasile. Allora erano soliti pagare con il Cedi, rimpiazzato nel 2007 dal Ghana Cedi – per un modico tasso di cambio del 10 mila a uno. Pochi mesi dopo i Mondiali John Evans Atta Mills aveva convinto il National Democratic Congress, che l'aveva designato come candidato presidente. Titolo conquistato nel 2008, dopo tre lunghi turni elettorali. Ora guida una nazione nota per essere il maggior produttore di cacao del mondo e per avere un'economia più competitiva dei suoi vicini africani, che ha saputo sfruttare la cancellazione del debito estero – effettiva dal 2006. E che ha beneficiato della crescita del prezzo dell'oro e del cacao tra il 2008 e il 2009. Se il presidente andrà allo stadio, probabilmente incontrerà il connazionale Kofi Annan, ex segretario generale delle Nazioni Unite. Canteranno insieme l'inno nazionale, che in un paese frammentato da 47 lingue rappresenta un problema non del tutto ininfluente. Risolto con l'inglese: God bless our homeland Ghana.

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    Italia

    A leggere i giornali, rispetto al 2006, in Italia sono molto migliorate le crocerossine. Per quanto riguarda i calciatori, non si sa. Diversi sono i governi, diverse le maggioranze politiche: non rumoreggia più, nel governo, a sinistra, un Pecoraro Scanio; ma rumoreggia molto, sul bordocampo di Ballarò, a centrodestra, Maurizio Lupi. L'allenatore è lo stesso: allenatore che vince si cambia, ma poi si richiama. E dopo l'infatuazione nazionale per Mouhrino (di quelle robe cicliche, come per Paul Anka e e Che Guevara), si è tornati, con Marcello Lippi, a un più solido spirito nostrano. Prima c'era Prodi – e i suoi detrattori attribuiscono il trionfo di quattro anni fa al fatto che non fosse andato allo stadio; ora c'è Berlusconi – che come presidente del Milan, e non solo del Consiglio, conta sul fatto che i suoi calciatori avvertano, come lui, una diversa età biologica rispetto a quella anagrafica. Per l'Italia questo è un Mondiale piuttosto particolare: dato che è si già chiuso quello Padano, e avendo eletto anche la locale Miss, non si sa quanto interesse possa riscuotere da Cazzago San Martino in su – essendo il luogo della disputa calcistica non solo Sud, ma pure Africa, il sospetto è piuttosto forte. A sinistra, se Veltroni ha prodotto un monologo teatrale sul calcio, D'Alema ha pronto un ciclo di conferenze nei teatri: “Il bello del pallone”. Rifondazione ha rilanciato nella tradizione: invece di Mondiali, chiamiamoli Internazionali. Quello è il tennis, hanno fatto notare i vendoliani. Comunque i tricolori sono già srotolati, lo spirito è maschio e temprato – e preso atto di alcune scelte calcistiche del Mister, il tifo delle zebre in loco è assicurato.  

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    Paraguay

    Sempre presente ai Mondiali dal 1998 con risultati che nell'eliminatoria sud-americana sono spesso migliori di Brasile e Argentina, il Paraguay calcistico nel 1998 e 2002 arrivò agli ottavi, perdendo di misura con Francia e Germania. Tra 2006 e 2010 il Paraguay politico ha conosciuto la storica alternanza che a Ferragosto del 2008 ha visto il vescovo Fernando Lugo insediarsi alla presidenza: portato da una pletorica coalizione di 34 partiti dai liberali all'estrema sinistra; e ponendo fine a 68 anni di governo del Partito Colorado. Dopo appena due anni, però, è già alle corde: i liberali del vicepresidente Federico Franco scalpitano contro di lui dandogli del “chavista”; scandali su figli illegittimi che sono saltati fuori a catena; un settore dell'estrema sinistra passato direttamente alla lotta armata, obbligandolo a dichiarare lo stato d'emergenza. I paraguaiani si consolano col prevedere un figurone della Nazionale “Albirroja”: a partire dall'incontro con l'Italia. 

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    Nuova Zelanda

    Niente a che fare con gli All Blacks del rugby, né come seguito in patria, né come celebrità all'estero. Ma per sostenere gli undici All Whites si disturberà perfino il primo ministro della Nuova Zelanda, che ha annunciato la sua presenza in Sudafrica proprio per assistere alla partita tra la sua nazionale e l'Italia. Non poteva fare altrimenti, il premier John Key, considerato che il patriottismo è uno dei capisaldi del National Party che nel 2008 ha conquistato la guida del paese. E visto pure che a Aotearoa – come chiamano la Nuova Zelanda gli abitanti maori – non capita poi così spesso di qualificarsi per i mondiali. Poi ci sono i maliziosi, per i quali la trasferta del premier sarebbe dettata da qualche problemino d'immagine. L'economia infatti non corre più come ai tempi dei mondiali in Germania (al governo allora c'erano i Laburisti), anzi Wellington è finita in recessione persino prima del resto del pianeta. Ka mate, Ka mate? Ka Ora! Ka Ora!

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    Slovacchia

    I cittadini della Slovacchia hanno vissuto a lungo un incubo da manuale di psichiatria, che li vedeva sempre superati dai cugini (un tempo fratelli) della Repubblica ceca. Le guide per i turisti hanno sempre sostenuto che Praga fosse migliore in tutto: dalle donne ai monumenti passando per la birra, e il calcio non faceva eccezione. Ma le cose sono cambiate negli ultimi quattro anni. L'economia slovacca è al centro di una vera rinascita e, secondo gli analisti, il pil crescerà del 4,8 per cento nel 2010. La nazionale, arrivata per la prima volta alla fase finale dei mondiali, giocherà nello stesso girone dell'Italia e ha buone chance di passare il turno grazie a un centrocampista, Marek Hamsik, che sta maturando nel Napoli. Per gli economisti europei, il paese è la vera scoperta del continente: è riuscito a mantenere uno sviluppo costante nonostante la crisi globale e l'ingresso nella moneta unica, avvenuto nel 2009. Forse Bratislava aspetta la Coppa del mondo per la sorpresa finale.

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    Spagna

    Li ricordate? Duemilasei, duemilasette, duemilaotto: erano gli anni in cui la Spagna zapateriana sgambettava ancora felice sui palcoscenici europei sfoderando ogni mese performance da sballo (il pil saliva, i disoccupati scendevano, il debito pubblico diminuiva, il saldo pubblico migliorava) e offrendo ogni giorno agli osservatori di mezzo mondo l'occasione di riconoscere in quel miracolo spagnolo un nuovo modello di politica economica che da solo – così si diceva – avrebbe consentito all'Europa di crescere come mai le era capitato prima. Era la Spagna che solfeggiava festosa le note sincopate celebrate nei tanghi almodovariani immortalati nei fotogrammi di Volvér, e che ogni mese sfotticchiava convinta i cuginetti italiani esibendo periodicamente presunti sorpassi economici e ipotetiche supremazie culturali. Scriveva l'Economist in un massiccio speciale da 20 pagine prodotto nel novembre 2006 che la Spagna “sorpasserà l'Italia entro il 2009”. Ecco: oggi la Spagna ha una disoccupazione che è quasi il triplo di quattro anni fa (20 per cento), un pil che cresce tre volte meno, un debito pubblico appesantito, un premier considerato quasi bollito e una tradizione calcistica che forse in Sudafrica finalmente esploderà ma che intanto in Europa ha smesso di solfeggiare contro il muro tirato su dall'Inter di Walter Samuel.

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    Svizzera

    Nel 2006 la Svizzera era ancora una ridente Confederazione di cantoni, “che munge vacche e vive in pace”, come diceva Victor Hugo, libera, ricca, democratica, poliglotta e neutrale,  coi suoi verdi pascoli, le valli e i prati sterminati e le montagne  disseminate di 42 mila km quadrati. Non aveva ancora subìto l'affronto dei giudici  federali che hanno  decretato l'arresto di Roman Polanski, negandogli l'estradizione richiesta dagli Stati Uniti, per una torbida vicenda di molestie sessuale di vari anni orsono. Non aveva  conosciuto l'ira del colonnello Gheddafi, in seguito all'arresto a Ginevra del figlio Hannibal, accusato di maltrattamenti da una coppia di camerieri coraggiosi. E nemmeno l'umiliazione della ritorsione giudiziaria, con  l'arresto in Libia  di due  ingegneri della ABB. Era ancora il paese lindo e preciso di Heidi e di Guglielmo Tell, protetto dal segreto e dalla discrezione, dov'era bello passeggiare per le valli dell'Engadina e scalare le vette dei Grigioni, pensando al sublime delle vedute di Füssli. Nessuno avrebbe mai  immaginato che  appena un anno  dopo, la crisi finanziaria più grave del mondo doveva trasformare tutto questo ben di Dio in un inferno del male, paragonabile alle isole Cayman in nome dell'universale riprovazione contro i paradisi  fiscali, approdo di illecite  esportazioni di capitali,  di loschi traffici di riciclaggio, di tenebrosi arricchimenti per migliaia di  plutocrati, speculatori, bancarottieri e grandissimi evasori protetti sino a quel momento dal segreto e dall'impunità.

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    Honduras

    Paese tra i più dimenticati, nel 1969 l'Honduras ebbe un fuggevole momento di dubbia celebrità per una guerra combattuta contro l'El Salvador, in seguito agli scontri tra tifosi che c'erano stati all'eliminatoria per il mondiale in Messico. A quarant'anni di distanza l'Honduras è tornato sulla scena per motivi calcistici e politici, ma stavolta separati. L'Honduras calcistico, infatti, torna ai mondiali dopo l'unica qualificazione del 1982, in cui arrivò ultimo nel suo girone. L'Honduras politico è stato invece scosso dal caso Mel Zelaya: il presidente insediatosi proprio nel 2006 su una piattaforma moderata, e che poi aveva bruscamente svoltato in senso pro-Chávez. Da cui lo scontro col Congresso che aveva finito per deporlo e nominare al suo posto Roberto Micheletti, mentre Zelaya era espulso ancora in pigiama dai militari. Alle elezioni del 29 novembre ha poi vinto Porfirio Lobo, che si è insediato il 27 gennaio. Ma molti Paesi latino-americani ancora non lo riconoscono.

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    Cile

    La Nazionale di Calcio, “La Roja”, nel 1962 arrivò terza, anche per il favore arbitrale verso il paese organizzatore, oltre che per il vantaggio del tifo. Ma ultimamente appariva in netta decadenza, e dal 1982 si era qualificata solo nel 1998. Una crisi tanto più singolare, se messa in confronto invece al boom economico e alla straordinaria stabilità politica. Il 2010 oltre al ritorno alla World Cup segna anche la novità di Sebastián Piñera: il miliardario che si è insediato alla Presidenza il 17 gennaio, ponendo fine a vent'anni di governo del centro-sinistra. Piñera è a sua volta un intenditore di calcio: presidente del Colo Colo, in occasione del suo insediamento si è esibito in un match assieme al presidente boliviano Evo Morales. Il Cile del 2010 è anche reduce da un terremoto che ha un po' scosso le aspettative di crescita, ma che peraltro soprattutto in comparazione all'immediatamente precedente disastro di Haiti ha confermato la miglior tenuta di società e istituzioni.

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