La prima puntata con le prime sedici squadre

Ritratti non solo pallonari dei paesi che si giocano i mondiali/ 1

Redazione

La notte del 15 maggio 2004, a Zurigo, Nelson Mandela esultava per la vittoria della candidatura sudafricana a ospitare i Mondiali. Sei anni dopo, la nazione che si prepara a stordire i campioni di tutto il mondo con le sue vuvuzela – le trombette usate dai tifosi allo stadio – appare molto diversa. Nel 2006 si calcolava che il 34 per cento dei sudafricani avesse vissuto con meno di due dollari al giorno per i quattordici anni precedenti.

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    Sud Africa

    La notte del 15 maggio 2004, a Zurigo, Nelson Mandela esultava per la vittoria della candidatura sudafricana a ospitare i Mondiali. Sei anni dopo, la nazione che si prepara a stordire i campioni di tutto il mondo con le sue vuvuzela – le trombette usate dai tifosi allo stadio – appare molto diversa. Nel 2006 si calcolava che il 34 per cento dei sudafricani avesse vissuto con meno di due dollari al giorno per i quattordici anni precedenti. La replica della stessa indagine, nel 2009, ha visto la percentuale salire a quota 43. E l'aspettativa di vita, dal 1990, è caduta di tredici anni. Quello che qualche anno fa sembrava un investimento ad alto rendimento si sta rivelando un'occasione mancata ancora prima di iniziare, confermando la propensione tutta africana a fare promesse che non si possono mantenere. Il folcloristico Jacob Zuma, presidente dall'aprile dello scorso anno, è in una posizione poco invidiabile: deve convincere la “nazione arcobaleno”, ancora più slavata dopo l'omicidio di Terre'Blanche, che l'entusiasmo di Mandela non è roba d'antiquariato.

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    Messico

    Nel 2006 la Coppa del mondo coincise con la campagna elettorale: il 24 giugno il Messico fu eliminato 2-1 dall'Argentina agli ottavi; il 2 luglio si votò; il 6 luglio Felipe Calderón Hinojosa si proclamò vincitore; il 9 luglio l'Italia vinse la finale. Calderón si insediò l'1 dicembre, e l'11 iniziò a inviare soldati, marine e poliziotti federali contro le bande dei narcos. Ma la “Guerra alla Droga” si è trasformata in un macello che in quattro anni ha provocato oltre 19 mila morti, e un'immagine di instabilità da cui sia l'inasprimento delle misure anti immigrazione negli Stati Uniti: sia l'emarginazione dall'asse di paesi emergenti Bric, malgrado l'economia effervescente che ha prodotto l'uomo più ricco del mondo Carlos Slim Helú. La Nazionale ha partecipato a quattordici fasi finali della Coppa del mondo su diciannove, e sempre dal 1994 in poi. Ma non è mai arrivata oltre i quarti, le due volte che organizzò nel 1970 e nel 1986.

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    Uruguay

    Nel 2006 era presidente da un anno il socialista Tabaré Vázquez, il primo di sinistra. Ma il paese che aveva ospitato e vinto i primi Mondiali del 1930, primo anche nel 1950 e quarto nel 1954 e 1970, in Germania non c'era.  Né c'era stato nel 1978, 1982, 1994 e 1998, mentre nel 1986 e 2002 era finito fuori al primo turno e nel 1990 agli ottavi: malinconico declino sportivo, coincidente col declino più generale di un'economia ingessata da un secolo di statalismo. La sinistra al governo ha coinciso con la ripresa di spiriti vitali che vede ora l'Uruguay tornare ai Mondiali, nell'anno in cui a Vázquez è successo José Mujica: ex guerrigliero che però ha continuato nella linea pragmatica di fare affari con tutti. Anche troppo, vista la minaccia di sanzioni Ocse come paradiso fiscale. C'è poi l'interminabile lite di confine con l'Argentina per una cartiera che i vicini giudicano inquinante, e che alimenta l'atavica rivalità di cui proprio i campi di calcio sono stati lo sfogo principale.

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    Francia

    Nel 2006 a Berlino, a vedere la finale contro l'Italia, c'era anche il presidente della Repubblica, Jacques Chirac il bello, che dei galletti era visto un po' come cheerleader e mascotte per l'eccesso di esultanza manifestato alla vittoria del 1998. Ma gli anni passano e otto sono lunghi. La Francia del 2006 era paralizzata dal timore della liberalizzazione dei servizi in Europa, guardava gli idraulici polacchi o i dentisti ungheresi come una minaccia mortale: un paese ripiegato su se stesso, un leader azzoppato, una squadra di calcio con il più grande di tutti, Zidane, letteralmente fuori di testa. Un anno dopo entra all'Eliseo Nicolas Sarkozy, il giovane. Sembrava l'inizio di una nuova era, ma in tre anni, le gaffe, l'arroganza sua e dei suoi, il fiume di chiacchiere sulla sua vita amorosa e sentimentale hanno intaccato il prestigio presidenziale e fatto passare in secondo piano anche le poche cose buone fatte. Il paese che aveva votato per un cambiamento radicale, per ridurre il peso delle burocrazie e della fiscalità, rendere flessibile il mercato del lavoro, in modo da ritrovare una crescita spedita e costruire un'economia più aperta, è deluso: qualche mese fa la popolarità del presidente era al minimo storico, fatica a risalire e ci si chiede se potrà essere rieletto nel 2012. Il leader è di nuovo zoppo, il paese borbotta ancora e anche i galletti non stanno tanto bene.

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    Inghilterra

    Tony Blair si era mostrato un tifoso impeccabile nel 2006, pure se ribolliva di rabbia perché avrebbe voluto ospitare in Inghilterra l'ultimo Mondiale della sua carriera finito invece in Germania. Ora che non è più premier si limita a giocare a calcetto quando fa l'inviato in medio oriente – e tutti ridono moltissimo, perché non vede la porta neanche per sbaglio, e fa finta di prendersela. A soffrire per il derby della “special relationship” – Inghilterra contro Stati Uniti, sabato – ci sarà il nuovo premier, David Cameron, con Nick Clegg, affiatato vicepremier, due tifosi tiepidi, il primo ama guardare le freccette in tv e l'altro è un maestro di sci. Ma il calcio diventa questione nazionale – e nazionalistica, Cameron si è opposto al progetto di una squadra del Regno Unito – e c'è già un sapore di vittoria nell'aria, con tanto di bandiera inglese che sventola su Downing Street. Il vero tifoso è l'ex premier Gordon Brown, giocava anche benino prima di perdere un occhio, e ha scritto articoli strazianti in sostegno della sua squadra scozzese. Lui si sarebbe goduto lo spettacolo, ma dopo anni di sacrifici dietro a Blair, dopo un premierato breve e accidentato, beffato fino all'ultimo, ha dovuto lasciare ai due giovinetti anche questo piacere.

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    Stati Uniti

    All'epoca dei Mondiali di Germania gli Stati Uniti erano piuttosto diversi da come li conosciamo oggi. Donald Rumsfeld era ancora il segretario della Difesa, il generale David Petraeus non comandava le truppe in Iraq, il Dow Jones iniziava la sua ascesa verso la quota record di 13.930 punti, Barack Obama era un senatore che aveva fatto un bel discorso alla convention democratica due anni prima e la peggiore catastrofe naturale che sarebbe potuta capitare a un presidente da lì all'eternità si chiamava Katrina. Le case in America valevano molto e la parola subprime non era ancora sulle prime pagine dei giornali; non quanto le parole sciiti e sunniti. Era l'America della guerra al terrore e degli stati canaglia, l'impero globale che discuteva quasi esclusivamente di politica estera e non immaginava una crisi finanziaria. Non immaginava l'ascesa di un candidato nero e messianico alla Casa Bianca, figurarsi il suo crollo sotto i colpi domestici. Mentre fermava i futuri campioni del mondo a Kaiserslautern – gol di Zaccardo – l'America non poteva immaginare come sarebbe stata la nazione dopo George W. Bush.

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    Algeria

    Le esportazioni principali dell'Algeria sono tre: il greggio, il gas e Zinedine Zidane. Il resto magari fosse noia, invece è soltanto sabbia. La situazione politica negli ultimi anni è rimasta al catenaccio, per paura che elezioni vere consegnino il paese nelle mani degli islamisti, a cui non resta che giocare sui bordi con frequenti incursioni e sciabolate rabbiose. Il presidente Bouteflika ha un obiettivo nel 2010: convincere Zidane ad allenare i verdi. Il calcio in Algeria ben rappresenta l'unità d'intenti e la fratellanza che cementa il mondo arabo, senza riguardo alcuno per i confini artificiali imposti dall'imperialismo occidentale. Al match di spareggio per qualificarsi ai Mondiali i tifosi egiziani hanno preso a mattonate il bus degli algerini, secondo una tradizione pacifica che perdura dal 1989. Panico, giocatori feriti. A gennaio, al secondo match, gli algerini hanno ricambiato sul campo e fuori. Egitto eliminato, rivolte interne, business egiziani attaccati in Algeria, ambasciatori ritirati, diplomazia a pezzi, Lega araba con le mani nei capelli.

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    Slovenia

    Non fosse per i palazzi da socialismo reale sulle strade di periferia, sarebbe difficile distinguere Lubiana dalle altre capitali della Mitteleuropa: le strade sono ordinate, i turisti mangiano frutta nei caffè della città vecchia, i giovani del posto s'incontrano al ponte del drago o discutono nei locali moderni costruiti lungo la Ljubljanica. La Slovenia è il paese della ex Yugoslavia che ha raggiunto più in fretta gli standard dell'Ue e gode di buone saluta nonostante la crisi abbia portato all'8 per cento il dato della disoccupazione. Nel 2009, il governo ha salutato con una grande festa l'arrivo dell'Euro, il che ha reso più facili gli scambi con l'Italia e con l'Austria. E' da questo punto di vista che la Slovenia osserva il proprio passato. Nel museo di storia costruito dentro alle mura del castello medievale, è difficile trovare riferimenti all'epoca socialista: è come se la Slovenia si fosse addormentata con Mahler per risvegliarsi adesso. “Perché dovremmo parlarne? – domanda Rok, che lavora come giornalista in un quotidiano di Lubiana – Qui abbiamo le Alpi, molti di noi non sanno neppure che forma abbiano i Balcani”.

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    Olanda

    In Olanda l'ultimo governo è caduto a febbraio sul finanziamento della missione militare Nato in Afghanistan. Il primo ministro democristiano Jan Peter Balkenende, soprannominato da molti “Harry Potter” per la sua somiglianza col maghetto della serie, era al potere da otto anni e aveva guidato tre governi diversi, forte della coalizione tra il suo partito di centro e i socialdemocratici, guidati dal vicepremier Wouter Bos. Negli ultimi anni il panorama politico dei Paesi Bassi è stato però segnato dall'ascesa del leader populista Geert Wilders, condannato a morte dai fondamentalisti islamici dopo il caso Theo van Gogh e forte di un controverso programma di restrizioni dell'immigrazione islamica e di difesa delle libertà individuali. Ieri si è votato per le politiche, dove si prevedeva la rimonta laburista e dei liberali di Mark Rutte.

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    Danimarca

    La Danimarca dal 2006 a oggi è stata investita da una campagna di proteste internazionali per la pubblicazione delle vignette satiriche su Maometto da parte del quotidiano Jyllands Posten.
    Ambasciate attaccate, richieste pubbliche di scuse, giornalisti e vignettisti condannati a morte, boicottaggi economici sono state alcune delle conseguenze dell'aggressione islamista globale alla Danimarca. Ininterrottamente da otto anni alla guida del governo c'è stato l'attuale segretario della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in grado di proteggere l'immagine e l'onore del suo paese durante le proteste sulle vignette. A Rasmussen è da un anno succeduto alla guida del paese il suo omonimo, Lars Løkke Rasmussen, anche lui liberale.

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    Giappone

    Non si capisce come abbia fatto il Giappone a occuparsi anche del calcio, in questi quattro anni. Dal 2006 ha cambiato quattro premier, ora siamo al quinto, Naoto Kan, accolto con toni esultanti pochi giorni fa, ma è difficile crederci, perché anche le altre volte era stata festa, brevissima festa. L'anno scorso c'è stata la vittoria dei democratici, una rivoluzione per un paese che in 45 anni non aveva quasi mai tradito il voto per i liberaldemocratici. Il Giappone aveva trovato il suo Obama in Yukio Hatoyama, eletto premier con maggioranza solida nel settembre scorso, pragmatico e pieno di nuovi progetti, con una moglie che andava dicendo – senza ridere – di essere stata rapita da un ufo. Ma in otto mesi Hatoyama è rimasto vittima delle trame di partito (c'è sempre un vecchio leader scomodo nei partiti, in questo caso era anche immerso negli scandali finanziari), si è ingarbugliato nel rapporto con gli americani, non è riuscito a imporre una strategia economica per far ripartire il paese e così ha dovuto dimettersi. A luglio, quando i Mondiali stanno finendo, ci sono le elezioni alla Camera alta del Parlamento, e molti temono il ritorno al business as usual, i liberaldemocratici al potere, come se gli ultimi nove mesi non ci fossero mai stati.

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    Camerun

    Imbattuta ai Mondiali del 1982, eliminata ai quarti dall'Inghilterra con un combattuto 2-3 ai supplementari dopo aver sconfitto l'Argentina nel 1990 e medaglia d'oro alle Olimpiadi del 2000, anche se poi tra 1994 e 2002 è andata molto peggio e nel 2006 non si è neanche qualificata la Nazionale dei “Leoni Indomabili” illustra il Camerun molto più che non una politica tra le più stagnanti dell'Africa. Il settantasettenne Paul Biya è presidente dal 1982, con l'unica importante soluzione di continuità di quando passò al pluralismo, e la sua percentuale di elezione scese dal 99,98 al 40 del 1992. Ma poi l'opposizione ha cominciato a boicottare il voto, e così è tornato al 92,6 del 1997 e al 70,92 del 2004. La Costituzione aveva anche introdotto un tetto di due mandati, ma a Capodanno del 2008 Biya definì “antidemocratica” questa limitazione alla “libertà di scelta del popolo”, e entro il 10 aprile l'ha rimossa: malgrado una dura protesta popolare repressa con un centinaio di morti.

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    Brasile

    Ormai è oltre. Oltre la magia incantatoria di piedi che danzano su un campo di calcio. Oltre gli scrittori dal successo planetario, spesso inspiegabile. Oltre la musica che pure ha sfiorato l'anima e il samba che sempre umilia i prigionieri di un corpo balordo. Da quando ha messo a tacere i demoni del passato, da quando la democrazia si è fatta compiuta, solida, sintesi riuscita di etnie che secondo i gesuiti sbarcati nel XVI secolo parlavano più di mille idiomi e oggi ancora si parlano venti lingue, il Brasile ha trovato un'identità forte e il posto che gli spetta fra i grandi paesi. In quattro anni ha raddrizzato la curva demografica, fatto crescere redditi e consumi, iniziato a combattere la povertà con la “bolsa familia”, progetto di welfare considerato un modello del genere. Ha scommesso sul petrolio, sulle energie alternative, sull'industria agro-alimentare, sulle tecnologie, sulla ricerca: è il punto di riferimento del Mercosur e del continente. Lula è il leader che ha saputo accompagnare e in parte anticipare il movimento. Governa da sette anni, non sarà più al potere nel 2014, quando il Brasile ospiterà di nuovo i Mondiali di calcio. La prima volta passò alla storia come il “disastro del Maracanà”: nel catino più grande e pazzesco del mondo, Schiaffino e Chiggia segnarono due gol portando l'Uruguay al titolo. Fu quello giorno di lutto nazionale, molti si suicidarono, i colori della maglia cambiati nel verde-oro della bandiera. Già accendono ceri perché tra quattro anni le cose vadano nel vero giusto.

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    Corea del nord

    Nel 2006 la Corea del nord era un paese alla fame schiacciato da una dittatura asiatica paranoica. Non è cambiato molto negli ultimi quattro anni: oggi la Corea del nord è un paese alla fame schiacciato da una dittatura asiatica paranoica però dotata di bomba atomica. E siccome le cose laggiù devono essere fatte di nascosto la bomba è stata fatta esplodere per prova sottoterra, in un budello sotto le montagne. La segretezza che avvolge il programma atomico copre anche tutto il resto, Nazionale inclusa: i venditori di magliette sono impazziti per capire in anticipo come sarebbe stata la divisa di gioco dei ragazzi di Kim Jong Il. “Ne ordinerei subito mille, i collezionisti ne andrebbero pazzi”, si lamenta uno (in effetti l'ultima volta che i nordcoreani si sono presentati a un Mondiale era il 1966). Sembra che la divisa, tutta rossa naturalmente, alla fine sia stata prodotta dalla ditta italiana Legea. Pronta  persino a pagare dieci milioni di dollari a Pyongyang come premio per la vittoria finale. Tanto i bookmaker quotano il miracolo 1.000 a uno.

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    Costa d'Avorio

    Nel 2006 la nazionale degli Elefanti, già vincitrice della Coppa d'Africa del 1982, arrivò per la prima volta ai Mondiali: in un “girone della morte” in cui però se la cavò dignitosamente. 1-2 con l'Argentina; 1-2 con l'Olanda; e addirittura vittoria per 3-2 con Serbia e Montenegro. L'exploit avveniva però mentre il paese era ancora dilaniato dalla feroce guerra civile scoppiata nel 2002 tra le forze in prevalenza sudiste del presidente Laurent Gbagbo e i ribelli in prevalenza nordisti di Guillaume Soro: anche se nel 2005 la fase peggiore era passata, erano già iniziati i negoziati che avrebbero portato agli accordi di pace del 4 marzo 2007. Soro è oggi primo ministro, con Gbagbo presidente. Le elezioni continuano a venire rinviate, ma l'economia ha iniziato a riprendersi, anche perché la crisi Mondiale ha portato a un curioso rialzo del cacao, forse in quanto antidepressivo. E la Costa d'Avorio ne è il primo fornitore mondiale, con il 35 per cento della produzione planetaria.
     
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    Portogallo

    Da quattro anni a oggi la cosa certa, in Portogallo, è che i “pasteis de Belém” sono sempre gli stessi. Quei dolci che a Lisbona si mangiano in qualunque ora del giorno e che gli intenditori vogliono con il tradizionale doppio spruzzo di zucchero a velo e cannella, sono inimitabili e immutabili, nonostante crisi mondiali e recessioni. Il piccolo paese che chiude l'Europa all'oceano Atlantico sembrava, quattro anni fa, ancora in lento fermento per una ripresa veloce che si era fermata da qualche anno e non ha trovato appigli. Il nuovo stadio di Lisbona, il complesso fieristico ereditato dell'esposizione universale del ‘98, il turismo a sud e il vino a cavallo del fiume Douro: niente è bastato, nemmeno il doppio mandato al governo socialista, a dare un futuro glorioso all'ex potenza coloniale dei garofani rossi. Adesso quella frenata alla crescita brucia di più e sfiora il crac, ma i portoghesi sono fatalisti e malinconici. Continuano a mangiare baccalà, pasteis e sputare (uomini e donne) sui marciapiedi. In attesa che le pietre bianche del Cristo Re che guarda al Brasile li salvino.

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    Argentina

    Nel 2006, presidente Néstor Kirchner, l'Argentina calcistica era eliminata ai quarti dai padroni di casa tedeschi dopo i calci di rigori. Ma quella economica cresceva vigorosamente: anche perché dopo il capitombolo del 2001 era difficile non risalire. Kirchner vantava anche la risoluzione dell'annoso problema del debito, anche se in un modo che ha creato ai bond argentini fama di inaffidabilità. Uno dei nodi venuti al pettine dopo che nel 2007 Kirchner ha lasciato in eredità la Casa Rosada alla moglie Cristina: assieme a scioperi di agricoltori, crisi della produzione, inflazione, scandali su finanziamenti di Chávez e arricchimenti della coppia presidenziale, una sconfitta elettorale che le ha tolto il controllo del Congresso. La presidentessa si è però consolata con una kermesse per il bicentenario dell'indipendenza che ha appena portato in strada la cifra record di due milioni di persone, e a partire dalla quale vuole presumibilmente ricandidarsi nel 2011 il marito.

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