Che c'entrano Walter Chiari e Cacao Meravigliao col trionfo dell'iPad

Andrea Ballarini

L'avrete capito: ci sono diverse teorie. Qualcuno lo considera un Mac più piccolo e più leggero; qualcun altro un iPod più grande; altri ancora la soluzione per quelli con i ditoni che con l'iPhone fanno casino sulla tastiera a comparsa. La realtà è che non lo sa nessuno che cosa sia esattamente. Né tantomeno a che cosa serva. Questo però non impedisce di desiderarlo pazzamente. Un paio di giorni fa la Apple ha diffuso il dato di vendita dei primi due mesi (scarsi) dal lancio.

    L'avrete capito: ci sono diverse teorie. Qualcuno lo considera un Mac più piccolo e più leggero; qualcun altro un iPod più grande; altri ancora la soluzione per quelli con i ditoni che con l'iPhone fanno casino sulla tastiera a comparsa. La realtà è che non lo sa nessuno che cosa sia esattamente. Né tantomeno a che cosa serva. Questo però non impedisce di desiderarlo pazzamente. Un paio di giorni fa la Apple ha diffuso il dato di vendita dei primi due mesi (scarsi) dal lancio: dal 3 aprile 2010 già due milioni di iPad hanno invaso l'occidente. Non male per un oggetto dai contorni così evanescenti. Prendendo spunto da questa vicenda, comunicatori e teorici del marketing avranno da scrivere per i prossimi dieci anni sul valore della brand identity.

    Noi, che non siamo dei teorici,
    ci limitiamo a ricordare due momenti della storia della televisione italiana che presentano analogie con il successo dell'iPad. Il primo è il Sarchiapone di Walter Chiari. Come in quel mitico sketch un gruppo di persone in uno scompartimento ferroviario si trova a discettare sulle particolarità di un animale ignoto, così la rete trabocca di commenti sul tablet: “No, figo è figo, niente da dire, ma è troppo caro”, “Guarda, cambierà il modo di leggere i giornali e forse anche i libri. E forse anche le bollette del gas”, “è solo l'ennesimo gadget per fighetti”. L'altro riferimento, questo sì ampiamente citato nei trattati sulla comunicazione, è quello del Cacao Meravigliao di arboriana memoria. Ai tempi, non pochi entrarono nei negozi a chiedere un prodotto che non esisteva, ma quell'invenzione virtuale è diventata parte del nostro immaginario. Questo per dire che per rendere desiderabile un prodotto servono tre cose: che l'oggetto si porti addosso una storia, che se ne spieghi il meno possibile (Voltaire diceva che il segreto per annoiare è dire tutto) e che se ne parli.

    Nel caso del Sarchiapone la storia di quell'animale inaudito,
    lasciata all'immaginazione, eccitava la curiosità e spingeva a dire la propria; nel caso del Cacao Meravigliao l'attrazione era esercitata dal particolare mix di seduzione delle ballerine e di demenzialità della banda di Indietro tutta! Nel caso dell'ultima pensata di Jobs ci troviamo di fronte all'estrema incarnazione dell'essenza Apple. Trattando dei prodotti della casa di Cupertino spesso si sottovaluta il fatto che le ragioni che spingono gli aficionados a comprarli, al di là di una riconosciuta qualità, esulano dalle valutazioni razionali. Anzi, si direbbe che l'apparizione di ogni nuova creazione della mela generi una reazione che, bypassando la corteccia cerebrale, prenda la scorciatoia emotiva dell'amigdala. Per capire meglio questi meccanismi sarà utile fare ricorso allo storytelling.
    In soldoni, è l'arte di raccontare delle storie intorno a un tema dato che sappiano coinvolgere chi le ascolta: che si tratti di una maglietta con un coccodrillino indossata da uno dei quattro moschettieri della squadra francese di Coppa Davis o che si parli di un ragazzo nero che usa i social network e diventa presidente degli Stati Uniti.

    Ogni nuovo prodotto della Apple
    si porta dietro una saga composta da una costellazione di episodi mitopoietici: due teenager che hanno cambiato il mondo creando il primo Mac in un garage; una setta anarchica di ragazzini terribili che si spargono per la Silicon Valley indossando scarpe da tennis; il fondatore che viene cacciato dalla sua stessa azienda, caduta nelle mani di ottusi burocrati billgatesiani, per venire poi richiamato quando la stessa è prossima al fallimento. Peraltro, lo stesso carismatico leader si ammala di cancro al pancreas, ma lo vince e trasforma in oro tutto quello che tocca: per la moltiplicazione dei pani e dei pesci si sta organizzando. Steve Jobs è geniale, non è neanche il caso di discuterne, ma lo è soprattutto nel gestire la sua leggenda di genialità. Non so quanto l'abbia costruita scientemente o quanto se la sia trovata tra i piedi, quel che è certo è che, come sta a dimostrare il trionfo dell'iPad, la usa alla grandissima. Non per niente è un genio.