Riabilitazione di un puttaniere

Un mese fa l'ex governatore di New York, Eliot Spitzer, ha detto di non amare “i politici che vacillano”. Si riferiva alla senatrice democratica Kirsten Gillibrand, ma la massima conteneva una dose di universalità tale da poter essere detta con profitto di qualsiasi avversario, anche di quel demone sottile che si nasconde dentro lo specchio, il perfido consigliere che ventisei mesi fa gli ha fatto confondere “il giusto e lo sbagliato”, trascinandolo nel gorgo di uno scandalo che la neolingua del giornalista collettivo sintetizza nel termine “escort”. Non ama i politici che vacillano, Spitzer e, dicendolo di Gillibrand, l'ex governatore di New York lo diceva un po' anche di se stesso.

    Un mese fa l'ex governatore di New York, Eliot Spitzer, ha detto di non amare “i politici che vacillano”. Si riferiva alla senatrice democratica Kirsten Gillibrand, ma la massima conteneva una dose di universalità tale da poter essere detta con profitto di qualsiasi avversario, anche di quel demone sottile che si nasconde dentro lo specchio, il perfido consigliere che ventisei mesi fa gli ha fatto confondere “il giusto e lo sbagliato”, trascinandolo nel gorgo di uno scandalo che la neolingua del giornalista collettivo sintetizza nel termine “escort”. Non ama i politici che vacillano, Spitzer e, dicendolo di Gillibrand, l'ex governatore di New York lo diceva un po' anche di se stesso. E' nel disprezzo delle mezze misure che Spitzer ha stabilito che nella vita pubblica – come nella vita tout court – non si dà una terza via fra la morte e la vita; la via è troppo stretta per vacillare e lui è stanco di trascinarsi con il marchio dell'infamia per quella che una volta è stata la sua città, il suo stato, il suo campo di battaglia.

    La character assassination di Spitzer è stata perpetrata da una mano esperta e complicata dal sommo paradosso di aver ritrovato sulle armi del delitto le impronte digitali della stessa vittima. Il giro di prostituzione altolocata scoperchiato dall'Fbi è la conseguenza diretta dello zelo di Spitzer per la giustizia universale. Da procuratore generale di New York aveva spronato in tutti i modi la macchina della legge a occuparsi con rigore anche di quegli anfratti di criminalità che la disinibita Manhattan considera business as usual; per primo aveva avviato due importanti inchieste sulle prestazioni di ragazze che occhieggiavano senza troppi infingimenti sugli annunci dei giornali cittadini, salvo poi scoprire che proprio lui, procuratore e poi governatore, era il cliente numero 9 del bordello più chic. Si faceva chiamare George Fox, pagava puntualmente, in contanti, e quando chiamava per fissare un appuntamento insisteva perché il gestore del servizio non lo richiamasse. “Richiamo io”, diceva ogni volta. La maggior parte delle visite era retribuita con prezzi fuori mercato, il cliente pagava anche per le ore non consumate. Non parlava molto, le prime volte, cosa che invece è comune ai clienti delle prostitute d'alto bordo. Ma dopo le prime volte in cui cercava di nascondere la sua faccia nota sotto un cappellino da baseball, il cosiddetto George s'era lasciato un po' andare. A volte era addirittura la politica l'antipasto dell'amplesso. Spesso una ragazza non bastava e se ne faceva mandare un'altra, fino ad arrivare ad Ashley Dupre, la ragazza che in attesa di diventare una cantante hip hop navigava con grande disinvoltura nell'antico mestiere: aveva “soltanto quattro anni in più della figlia maggiore” di Spitzer, secondo il mantra dei giornalisti di New York. E' con un rumoroso sottofondo di chiacchiere sull'ingordigia sessuale che il governatore se ne è uscito dalla scena pubblica, gravemente ferito e destinato a morte certa. Tutto ciò che restava a Spitzer era lo spazio privato per elaborare il lutto assieme alla moglie Silda, le cui intenzioni verso il marito erano peraltro ancora oscure.

    Negli ultimi mesi le cose sono cambiate. Ottenuta soddisfazione al primo sangue, il duello sommario combattuto sui giornali, nei salotti, nelle sezioni di partito, nei tribunali e nelle chiacchiere da bar non è proseguito oltre. Non c'era ragione di accanirsi ulteriormente sul corpo esanime di Spitzer, adagiato nel cono d'ombra della vita pubblica. Si era già dato abbastanza da fare e al resto pensavano le copertine dei giornali, come quella del New York Magazine, dove una freccia suggerisce che il cervello del governatore ha sede dalle parti dell'organo che l'ha costretto alle dimissioni. Inutile dire che il governatore ha somatizzato tutto. Nei giorni a cavallo delle dimissioni, quei tre giorni di passione fra l'articolo del New York Times che annunciava una vasta operazione di polizia su una rete di prostitute e l'ammissione di colpa del governatore, gli amici di Eliot facevano i turni per andare nel suo appartamento sulla quinta strada con vetrata su Central Park. Quando il suo migliore amico, Constantine, è stato convocato d'urgenza, Spitzer lo ha accolto con una battuta amara: “Benvenuto in una tragedia greca”. In quel momento Eliot Spitzer era un uomo a rischio di commettere gesti fatali. Ci sono voluti lunghi mesi per la ricomposizione dei cocci di una vita dedicata alla politica, al servizio pubblico, con un ardore che ha pochi precedenti, ma alla fine Spitzer ne è uscito.

    Nell'ultimo mese è stato intervistato da Msnbc, da Fox News, ha arricchito la sua rubrica “The best policy” su Slate, ha partecipato a cene di beneficenza, è stato visto a un incontro organizzato da Tina Brown, insegna al City College di New York e ha tenuto una serie di conferenze a Harvard. Nelle sue apparizioni parla di politica, perché il tempo delle confessioni postume è finito. Lancia strali contro Goldman Sachs, rimprovera il sindaco, Michael Bloomberg, si lamenta del procuratore generale dello stato, Andrew Cuomo. Quasi tutti i giorni pranza da Michael, ristorante dei potenti e informale nullaosta per la vita pubblica di New York. Il 25 aprile si è presentato sul tappeto rosso del Tribeca Film Festival. Nell'occasione, Spitzer ha potuto vedere un film sulla sua vita diretto da Alex Gibney e creato in parallelo al libro “Rough Justice” di Peter Elkind, il racconto più completo della parabola umana e politica di Eliot Spitzer. Non è esattamente un pamphlet per propiziarne la riabilitazione. Elkind, direttore di Fortune, ha iniziato a lavorare al libro quando la storia era fresca e le ghigliottine ancora lucide erano appena state disposte sulla piazza.

    Nei giorni prima del Festival sono partite le speculazioni sulla possibile resurrezione dell'ex governatore, definito “sostanzialmente reintegrato” nella società dal New York Times. Il suo ex consigliere Jimmy Siegel crede che “correrà per qualche carica nel giro di un anno o due”; lo stesso Siegel spiega nel libro di Elkind la sua posizione su un possibile (e clamoroso) ritorno di Spitzer dal regno dello sputtanamento: “Da una parte, è il migliore procuratore generale che lo stato abbia mai avuto, una persona che ha trasformato la procura in un luogo efficiente e ha tenuto sotto pressione Wall Street quando nessun altro avrebbe avuto il coraggio di farlo, e ora abbiamo la dimostrazione che aveva perfettamente ragione. Dall'altra parte, ha pagato delle prestazioni sessuali. Il bilancio è decisamente dalla sua parte”. Spitzer raccoglie ora i meriti di una pratica che era impopolare quando la usava nei panni di procuratore generale e che oggi si porta molto, soprattutto fra i democratici: la demonizzazione di Wall Street. Da procuratore generale ha rincorso come un cane da caccia gli speculatori e prima ancora di arrivare ai piani alti della politica era ossessionato dai crimini dei colletti bianchi. Sono state le grandi manovre contro Wall Street a rendergli i titoli sui giornali che contano; e per lui i giornali erano la cosa che valeva di più: significava reputazione, credibilità e, ancor prima della gratificazione, i titoli avevano a che fare con l'onore. Quando da procuratore è stato eletto governatore, in una conversazione con il suo predecessore al palazzo di Albany, George Pataki, si è concesso una battuta: “Se fai questa cosa gli editorialisti del New York Times ti distruggeranno”. La risposta di Pataki lo ha riportato sulla terra: “In otto anni da governatore non ho mai letto un editoriale del New York Times”.

    Negli anni da procuratore generale, Spitzer si era costruito la fama sulla quale oggi specula a posteriori sperando di ricavarne le chance per un ritorno in pista. Le sue inchieste contro le banche d'investimento avevano portato frutti altisonanti. 400 milioni di dollari di multa per Citigroup, 300 milioni per Merrill Lynch, 125 milioni per Morgan Stanley, 110 per Goldman Sachs, 100 per Credit Suisse. A seguire punizioni minori anche per Bearn Sterns, Deutsche Bank, J. P. Morgan, Lehman Brothers e via dicendo. Spitzer era soprannominato lo “sceriffo di Wall Street”, odiato dai banchieri e amato dai cittadini, che fino a quel momento non avevano dato grossa importanza alla figura del procuratore generale. Nel settembre 2002 è finito sulla copertina di Fortune con il titolo “The Enforcer”; per il Reader's Digest era “il migliore servitore dello stato in America”; due mesi più tardi il Time lo ha definito il “crociato dell'anno”, scrivendo che non “si era vista affermazione più chiara della legge dai tempi dei dieci comandamenti”. “Alla fine del 2004 – scrive Elkind – era diventato il Brad Pitt del suo campo. La rabbia dei pezzi grossi di Wall Street era motivo di vanto. Spitzer era riuscito a diventare l'ufficiale più potente d'America al di fuori di Washington”. Il suo raggio d'azione si era esteso a tal punto da essere considerato uno dei punti di riferimento del mondo democratico. Ha poco più di quarant'anni quando il mensile Atlantic Monthly gli affida “il futuro del Partito democratico”.

    Il giornalista scrive che è un Bruce Wayne che non ha bisogno di vestirsi da pipistrello per spazzare via la feccia dalle strade di Gotham City. Presto arriva anche la consacrazione definitiva su Vanity Fair, segno che dagli addetti ai lavori si era passati al mainstream. Dopo qualche tempo si trova seduto davanti a una tazza di caffè con il senatore Barack Obama. “La cosa più saggia per te è non correre per la Casa Bianca”, dice Spitzer, mentre David Axelrod lancia quello che oggi suona come uno scherzo di cattivo gusto: “Un giorno ci sarà il ticket Obama-Spitzer”. Quando a settembre del 2004 il senatore democratico Chuck Schumer ha annunciato che non avrebbe corso per la poltrona di governatore, Spitzer ha capito che era il suo momento. La campagna elettorale va avanti a forza di sostegno popolare e finanziamenti privati. Il padre, Bernard, era l'erede di una famiglia di immobiliaristi ebrei, gente che a un isolato dalla Quinta strada si sente in periferia, e ha foraggiato le costose campagne elettorali del figlio, un rampollo senza contatti destinato a fare l'avvocato e fulminato sulla via giustizialista. Rabbioso, furbo, spavaldo e in grado di spazzare via ogni nemico con il terrore di inchieste e mandati: questo è lo Spitzer che si presenta sul più infingardo seggio di governatore nella capitale dello stato, Albany. Lì lo aspettano congiure e spedizioni punitive di baroni che non sopportano l'impertinenza di questo outsider che discetta di codici civili e dice con fare snob di non credere nella psicologia. I nemici aumentano, fino a quel fatale ordine di indagare l'Emperors Club VIP, una decisione che, secondo Elkind, è una vendetta dei nemici di Spitzer nei corridoi di palazzo.

    Oggi il ricordo di Spitzer è ancorato esclusivamente allo scandalo sessuale. Le dichiarazioni pubbliche, le email, le speculazioni sulla moglie, le foto di Ashley, la gogna, gli avvoltoi che volano in cerchio in attesa che la preda non sia più in condizione di nuocere; tutto questo ha polarizzato la vita di Spitzer, cervellotico princetoniano prima, azzimato studente di Harvard poi e infine mastino della giustizia. Un inferno che negli ultimi tempi s'è fatto stranamente purgatorio. “Il suo ritorno – scrive Ben Smith su Politico – è audace e la strategia è sfacciata. Ha saltato la parte del rimorso pubblico e dei servizi sociali. Al posto di questi usa un libro e un film per chiudere il racconto del suo recente passato e crearsi una seconda carriera”. Interpellato su questa considerazione, Spitzer ha usato una litote: “Non ho mai detto che non mi sarei mai più candidato”.