Riformare con la maggioranza
Chi è il garantista del Pd che con 5 idee ha messo in subbuglio l'opposizione
Fino a un paio di mesi fa, l'immagine più evocativa della figura di Andrea Orlando, il quarantenne spezzino responsabile della Giustizia del Pd, era indissolubilmente legata a una ricorrente e paterna torsione del braccio di Luciano Violante: capitava spesso infatti a Montecitorio di vedere l'ex presidente della Camera, nume del dossier riforme, cingere le spalle di quello che a tutti gli effetti pareva un allievo e passeggiare così avanti e indietro lungo il Transatlantico.
Fino a un paio di mesi fa, l'immagine più evocativa della figura di Andrea Orlando, il quarantenne spezzino responsabile della Giustizia del Pd, era indissolubilmente legata a una ricorrente e paterna torsione del braccio di Luciano Violante: capitava spesso infatti a Montecitorio di vedere l'ex presidente della Camera, nume del dossier riforme, cingere le spalle di quello che a tutti gli effetti pareva un allievo e passeggiare così avanti e indietro lungo il Transatlantico.
Le cinque proposte per una riforma della giustizia lanciate da Orlando sul Foglio di venerdì scorso aggiornano quell'istantanea in una fiammata di autonomia e, nel lessico d'antan, di “iniziativa politica” generatrice dei prevedibili scossoni interni (da Beppe Fioroni ad Anna Finocchiaro), delle ire antinciuciste di Di Pietro, dell'ex magistrato Bruno Tinti (il Fatto) e del procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro che – come riporta il Corriere – domenica sbottava: “Quanto seguito hanno nel Pd le teorie di quanti vorrebbero i magistrati leoni, ma sotto il trono?”. Ora Orlando si prepara alla resistenza – oggi ribadisce le sue tesi su Europa – forse al riscatto di un'immagine finora seria, ma grigia, pallida la notte delle elezioni quando fu mandato in tv a dire che il Pd era il primo partito.
Un riscatto che non rinneghi le radici: Fgci di La Spezia, poi “vent'anni da funzionario di partito e sempre garantista, ero migliorista, mi davano del destrorso”, dice, infine Roma, chiamato da Piero Fassino all'organizzazione dei Ds, poi come portavoce con Walter Veltroni su impulso di Goffredo Bettini. Uno stop venne da Dario Franceschini, allora vicesegretario. Bersani invece lo voleva vicecapogruppo, ma Massimo D'Alema ha preferito altri. Se Bersani lo ha nominato alla giustizia è con l'idea di sfilare ai tecnici il dossier. In questo senso Orlando ha il curriculum, non è laureato, lo racconta lui che si è fermato a meno cinque esami dalla laurea in giurisprudenza. La sua proposta ha registrato l'appoggio di Enrico Letta, cenni di favore dei dalemiani e lui stesso spiega di aver parlato con Bersani che “non è arrabbiato”, di aver raccolto tesi preesistenti comprese quelle del predecessore Lanfranco Tenaglia e altre uscite dalla conferenza del Pd sulla giustizia di epoca veltroniana. Il tutto a conferma di una qualità riconosciuta dai suoi coetanei nel partito: “Sa muoversi”.
Certo ha aggiustato un tantino il tiro in una lettera al Fatto, ma nella sostanza Orlando mantiene le cinque issues offerte come base di dialogo al centrodestra sul Foglio: rimodulare l'obbligatorietà dell'azione penale; diluire il peso delle correnti nella magistratura; agire per ridurre i tempi del processo penale; separare le carriere di pm e giudici (ma sulla premessa che “una sostanziale e sufficientemente rigida distinzione dei ruoli è già stata realizzata”); fare dell'efficacia dell'azione disciplinare una questione centrale. Sussurri raccolti in Magistratura democratica raccontano le perplessità, ma anche l'apprezzamento per le due premesse: l'idea che si debba partire dalla giustizia civile grande tema per i cittadini e le imprese e soprattutto che le riforme della giustizia si debbano fare solo per via ordinaria. Questa è anche la principale differenza con le proposte di Violante, lo smarcamento che vale a Orlando il commento positivo sia pure limitato a quel prologo, di un magistrato certo non di destra come Edmondo Bruti Liberati. Le difficoltà maggiori sono in casa (vedi Anna Finocchiaro, che si chiede se Orlando abbia parlato a titolo personale).
Le letture generazionali, poi, parlano di insofferenza per l'interpretazione autonoma del ruolo di responsabile di settore. In contraddizione con le accuse che vengono rivolte ai quarantenni di non volersi esporre. Una critica finora indirizzata anche a Orlando come a Nicola Zingaretti, a chi è nato dentro le correnti diessine e stenta a imboccare la strada pop e personalistica stile Matteo Renzi. “Finora – dicono di lui coetanei amici del Pd – dicevamo che sa galleggiare. Ora ha battuto un colpo: lui resisterà, speriamo che altri non tentino di farlo annegare”.


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