La giacca di Pirella
Anche nel mondo della pubblicità, dove la gente sorride sempre e il problema più grave è smacchiare la maglia del bimbo sbrodolone, ogni tanto muore qualcuno. E allora un copywriter deve scrivere qualcosa a tono. Immagino che stamattina questa cosa sia capitata in tutte le agenzie di pubblicità d'Europa, perché oggi non è morto un pubblicitario qualunque, è morto Emanuele Pirella. Io l'ho conosciuto una ventina di anni fa quando mi ha assunto come copy junior. Praticamente era come per un aspirante attore essere chiamato da Strehler.
Anche nel mondo della pubblicità, dove la gente sorride sempre e il problema più grave è smacchiare la maglia del bimbo sbrodolone, ogni tanto muore qualcuno. E allora un copywriter deve scrivere qualcosa a tono. Immagino che stamattina questa cosa sia capitata in tutte le agenzie di pubblicità d'Europa, perché oggi non è morto un pubblicitario qualunque, è morto Emanuele Pirella.
Io l'ho conosciuto una ventina di anni fa quando mi ha assunto come copy junior. Praticamente era come per un aspirante attore essere chiamato da Strehler. Per un anno e mezzo l'ho visto quasi tutti i giorni ma gli parlavo davvero solo quando capitava di presentargli una campagna. Emanuele incuteva un po' di soggezione, suo malgrado, perché era una persona molto gentile, ma era anche timido e talvolta questo lo rendeva sfuggente. Per di più era colto, era un intellettuale – cosa non comunissima nel settore, allora, e ancor meno oggi – e anche questo a volte non rendeva le cose più facili. Non sempre si capiva bene quello che diceva perché parlava masticando una Bic e ogni volta che gli si presentava un annuncio era un po' la replica dell'esame di maturità. Sembrava di giocarsi tutta la reputazione di copy o di art e, qualche volta, anche di uomo. Non ho mai capito se fosse davvero così o se accadesse solo nella mente di noi giovani pubblicitari: lui si limitava a fare il suo lavoro. E lo sapeva fare bene.
La pubblicità è uno di quei campi dove, non essendoci scritto da nessuna parte come si fa, sembra che ognuno possa dire la sua. Quando si presentava a Pirella, invece, si capiva che il modo giusto per fare una campagna c'era. Magari non era l'unico, ma se Emanuele diceva che quell'annuncio stava in piedi, quell'annuncio stava in piedi. E questo ha insegnato il mestiere a molti. Pirella ha creato uno stile pubblicitario fatto di garbo, di arguzia, di amore per le parole. Che era il suo stile anche quando scriveva cose non pubblicitarie. Negli anni '60 e '70, quando c'erano ancora i caroselli e gli slogan un po' ingenui, e poi dopo, negli '80, nei ‘90 e fino a oggi, Emanuele e i copywriter e gli art director che hanno lavorato con lui hanno creato campagne cercando di non rinunciare all'intelligenza. Anche quando sceglievano di provocare, come nel caso stracitato dei jeans Jesus “Chi mi ama mi segua” che fece arrabbiare il mondo cattolico.
Nelle sue agenzie, la Young & Rubicam prima, poi l'Italia/BBDO con Michele Göttsche e Gianni Muccino, poi la Pirella & Göttsche e da ultimo la sua Scuola, buona parte di quelli che in seguito sono diventati pubblicitari più o meno famosi ha trascorso numerose notti sui layouts, sbirciando nell'ufficio di Emanuele per controllare se c'era la sua giacca: se c'era, voleva dire che, prima o poi, sarebbe tornato a dire cosa pensava di un titolo o di un'immagine. Allo scopo lui aveva una giacca civetta da lasciare in ufficio, ma questo lo si scopriva solo dopo un po'. Da oggi ci mancherà anche la sua giacca.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
