La caccia al Bin Laden di Russia
Il Bin Laden di Russia aveva ventotto anni, gli occhi da ragazzino e soprattutto un cognome tanto rassicurante che per un terrorista dev'essere stato una dannazione: Tikhomirov, “Mondo pacifico”. Ma Alexander Tikhomirov, ucciso dai servizi segreti russi il mattino del 5 marzo, di pacifico aveva soltanto il nome, che cambiò nel più adatto Said Buryatsky – Said il Buriato – appena introdottosi nella jihad caucasica. La sua eliminazione, per usare il linguaggio dei servizi segreti russi, è avvenuta a Ekazhevo in Inguscezia, dove fu ucciso anche il più noto dei guerriglieri ceceni, Shamil Basayev.
Il Bin Laden di Russia aveva ventotto anni, gli occhi da ragazzino e soprattutto un cognome tanto rassicurante che per un terrorista dev'essere stato una dannazione: Tikhomirov, “Mondo pacifico”. Ma Alexander Tikhomirov, ucciso dai servizi segreti russi il mattino del 5 marzo, di pacifico aveva soltanto il nome, che cambiò nel più adatto Said Buryatsky – Said il Buriato – appena introdottosi nella jihad caucasica. La sua eliminazione, per usare il linguaggio dei servizi segreti russi, è avvenuta a Ekazhevo in Inguscezia, dove fu ucciso anche il più noto dei guerriglieri ceceni, Shamil Basayev, e nei giorni in cui cade il quinto anniversario dell'assassinio di Aslan Maskhadov, carismatico terzo presidente ceceno dopo una carriera nell'Armata Rossa. Said Buryatsky era accusato dai servizi segreti russi di essere il responsabile dell'attacco terroristico sul Nevsky Express, quel treno Mosca-San Pietroburgo che il 27 novembre 2009 saltò in aria uccidendo ventotto persone e ferendone un centinaio. Ma Alexander Tikhomirov, a differenza di Maskhadov, Dudayev, Basayev e tutti i maggiori combattenti della guerriglia cecena, con il Caucaso non aveva proprio niente a che fare.
Il suo paese natale è un'indolente città di provincia della Siberia orientale, Ulan Ude, il capoluogo della Repubblica di Buriazia, cento chilometri dal lago Baikal e più di cinquemilacinquecento da Mosca. Chiedi a qualsiasi moscovita, e ti dirà che Ulan Ude è famosa soprattutto per una cosa: la più grande testa di Lenin di bronzo del mondo, un mastodontico monumento alto 7,7 metri e pesante 42 tonnellate che i russi ersero qui nel 1970 in occasione del centesimo anniversario della nascita di Vladimir Ilyich. In Ulitza Khakalova, tra un misero negozio di alimentari e il policlinico numero 7, quando segretario generale del Pcus era Brezhnev e l'Unione Sovietica era impegnata nella guerra in Afghanistan, nacque questo ragazzino destinato ad arringare da Internet le coscienze della sempre più numerosa comunità islamica radicale di Russia. Madre russa, padre buriato, il piccolo Tikhomirov trascorreva i pomeriggi a giocare nei cortili con i vicini e a visitare con la famiglia gli splendidi monasteri buddisti che con il loro rosso cupo e l'oro scintillante punteggiano la Buriazia. Allora i monasteri erano diroccati, ma oggi qui, più che in Russia, si ha l'impressione di essere in Tibet. Buddista fino a 15 anni, improvvisamente si convertì all'islam. Ma il giovane Tikhomirov non era amico né di ceceni né di ingusci.
La sua ex vicina di casa è una signorotta bassa, russa, con in testa il tipico fazzolettone delle babushke. E lei, scovata dal canale privato Ren-tv, descrive il piccolo Tikhomirov come tranquillo se non un po' capriccioso. Alla domanda su che cosa pensi faccia oggi Alexander, l'anziana vicina di casa risponde che fa il traduttore a Mosca. Dall'arabo. Quando il giornalista le comunica invece che è un terrorista, e sta dalla parte dei ceceni, la signora ammutolisce, dice di non crederci, prima di rendersi conto in che guaio si è messa a rispondere in televisione, e a viso aperto, a queste domande. Perché la guerriglia caucasica rimane un tema sensibilissimo tra i russi. Ma volutamente ignorato. La morte di Tikhomirov è stata riportata appena dai giornali, e ciascuno ne dà una lettura diversa: il Moskovskij Komsomolets, il quotidiano che a 8 rubli – 19 centesimi di euro – rimane il più popolare a Mosca, sottolinea soltanto che è stato risolto il mistero della bomba sul Nevsky Express. Mentre l'Izvestia, il giornale dell'intellighenzia, annuncia la morte del “pericoloso e colorito” terrorista, ma si chiede anche perché i servizi di sicurezza russi lo vendano come un grande successo quando di fatto hanno portato a casa nient'altro che un nuovo cadavere. “Un successo è quando una figura di tale importanza viene arrestata viva”, puntualizza il quotidiano.
Ma torniamo a Said. Da Ulan-Ude parte per Mosca per studiare nella madrassa della capitale, ma ben presto lascia gli studi. Eccolo allora emigrare nel piccolo centro di Buguruslan, regione di Orenburg, milletrecento chilometri a sud di Mosca, dove prosegue gli studi in una cornice più consona. E' in quest'ambiente che probabilmente il giovane Tikhomirov avvicina i circoli più radicali della guerriglia che lo porteranno in Cecenia: proprio la sua scuola, la madrassa di al Furkan, fu poi tacciata di radicalismo e chiusa nel 2004. Da al Furkan infatti – informa la Novaya Gazeta, il giornale dove lavorava Anna Politkovskaya – escono coloro che saranno conosciuti in tutto il mondo come i terroristi della strage di Beslan. In questo periodo Said finisce gli studi e prosegue per l'Egitto e, dopo tre anni, per il Kuwait, perfezionando l'arabo. La vicina di casa ci aveva visto giusto, tornato a Mosca lavora per la rivista islamica Umma come traduttore dall'arabo. Ma comincia anche a tenere lezioni, e, sarà per la sua enfasi e la passione, la sua gioventù e il carisma, diventa in breve popolarissimo.
Said Buriatsky si filma, affida le prediche a Internet, e in brevissimo tempo diventa un vero fenomeno tra la comunità islamica radicale del web. Se le sue prime prediche sono in abiti civili, ben presto Said per le telecamere adotta la mimetica, e non manca di presentarsi con un kalashnikov in mano. E' più o meno a questo punto che compare in Caucaso, sebbene – spiega la Novaya Gazeta – non si sappia ancora come e quando, e soprattutto invitato da chi. Sembra sia stato lo stesso Dokky Umarov, l'autoproclamatosi emiro del virtuale Emirato del Caucaso del nord, il più importante leader ceceno, ad averlo chiamato a predicare ai propri soldati. Su YouTube si trovano decine di filmati dove la faccia forzosamente aggressiva di Said disquisisce in russo e arabo di paradiso e inferno, di virtù e di perdono sullo sfondo di boschi autunnali dorati e squillanti cinguettii.
E' un mistero dove un buriato, buddista fino a quindici anni, abbia trovato l'ispirazione per dissertare così approfonditamente di islam, e soprattutto come sia arrivato ad appoggiare così visceralmente l'indipendenza del Caucaso. Come spiegarsi il salto da una tradizione buddista e originariamente nomade a quella caucasica composta da atavici clan fedeli a aul (villaggi) millenari? Eppure, a poco più di venticinque anni, Said Buryatsky diventa il volto Internet del jihad caucasico. “La forza di Buryatsky all'interno delle fila del terrorismo islamico russo era proprio quella di essere in parte buriato – spiega alla Bbc Aleksey Malashenko, celeberrimo esperto di Caucaso e islam e accademico all'Istituto Carnegie di Mosca – Proprio la sua nazionalità dimostrava che all'islam non si convertono solo turchi o arabi”.
Da dove spunti il soprannome di ‘Bin Laden russo', più mediatico che altro, non è affatto chiaro. Perché Said Buryatsky rappresenta in un certo senso un fenomeno ancor più pericoloso di quello del principe miliardario fondatore di al Qaida: il suo destino è più simile a quello delle migliaia di musulmani inglesi cresciuti parlando cockney nell'East End londinese e che l'M15 trova dalla parte dei talebani in Afghanistan. O di quei patriottici cittadini statunitensi, bandiera a stelle e strisce e tagliaerba in giardino, che improvvisamente vanno costruendo le reti dell'“American jihad”. Ma un ex buddista dalla parte dei caucasici non è notizia che smuova le coscienze di Russia, ancora inebetite dopo i bagordi dell'8 marzo, festa nazionale più sentita di Natale, e ottima occasione per un'ubriacatura collettiva. La notizia è passata in sordina. Così com'era stata totalmente scordata la tragedia del Nevsky Express: erano bastate poche settimane perché ci si disinteressasse alla caccia ai colpevoli.
Del resto sono mesi che l'Inguscezia va scivolando verso il baratro, e non c'è più attacco terroristico che sorprenda. Se prima il grande malato del Caucaso era Grozny e soltanto Grozny, oggi non fa più notizia la morte e l'arresto di decine di terroristi su suolo inguscio. O le bombe sempre più frequenti in quella “montagna delle nazionalità” – è questa la traduzione letterale – del Dagestan. Morti su morti per entrambi gli schieramenti. Che porteranno altri morti. Il primo ad ammetterlo pubblicamente è stato il presidente dell'Inguscezia, Yunus-bek Yevkurov, che alla Ria Novosti ha commentato: “Hanno ucciso Buryatsky, ma al suo posto verrà qualche altro ideologo. (…) Il nostro obiettivo non è di ucciderli, ma di estirparli dal sistema”. La fissazione di Mosca con l'uso della forza militare nel Caucaso si è sempre rivelata controproducente, e se finora era stato Vladimir Putin a farsi orgoglioso portabandiera della strategia russa in Cecenia, arrivando a dire una volta in televisione che i ceceni “andremo a scovarli anche al cesso”, ora il testimone è passato a Dmitri Medvedev. Ma il presidente russo sulla lotta ai ceceni non dimostra l'entusiasmo del predecessore, e al direttore del FSB Alexander Bortnikov si è limitato a porgere i ringraziamenti del caso, ma ha anche detto: “Vi invito a continuare, assieme alla magistratura, l'inchiesta su questo crimine. Tutta l'evidenza raccolta va aggiunta al materiale già presente e l'inchiesta va portata a termine. E ovviamente l'ultima parola spetterà al tribunale”. Da attento giurista quale il presidente si fregia di essere, l'accento va posto sul processo in tribunale piuttosto che sugli scontri a fuoco che poi rendono difficile sostenere ufficialmente che nel Caucaso c'è la pace. Nell'attesa che venga varata una nuova politica. Perché è sempre più evidente che l'eliminazione dei capi della guerriglia cecena, da Maskhadov in poi, porta al vertice un leader sempre peggiore, più crudele, più violento, devoto ai principi dell'islam radicale mondiale e sempre più lontano dalle tradizioni locali. Ucciso Buryatsky, l'obiettivo principale dei servizi segreti russi resta Doxy Umarov. Se Maskhadov si rifiutava di portare la guerriglia cecena in altre zone e cercava il negoziato con Mosca, Umarov ritiene il jihad l'unico modo per assicurare l'indipendenza dell'intero Caucaso Settentrionale. E da morto Said Buryatsky non può certo spiegare come un giovane buriato della repubblica più pacifica di Siberia, cresciuto all'ombra delle variopinte bandierine buddiste e della più grande testa di Lenin si sia trasformato in uno dei più feroci volti del jihad caucasico.


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