Il flop di Sarkozy

Redazione

La sconfitta del centrodestra è data per scontata alle regionali che domani vedranno andare alle urne 45 milioni di francesi, per eleggere i 1.830 rappresentanti nei 26 consigli regionali. Delle 22 regioni della Francia metropolitana (le altre quattro sono nell'Oltremare) 20 sono da sei anni in mano ai socialisti. E ora è probabile che i socialisti, ben radicati sul territorio, vincano “le grand Chelem”, come dicono sportivamente, strappando al centrodestra anche l'Alsazia e la Corsica. I sondaggi parlano chiaro: a fronte di un astensionismo al 48 per cento, il 30 per cento delle intenzioni di voto andrebbero al Ps, mentre per l'Ump, partito del presidente Nicolas Sarkozy, voterebbe il 29 per cento.

    La sconfitta del centrodestra è data per scontata alle regionali che domani vedranno andare alle urne 45 milioni di francesi, per eleggere i 1.830 rappresentanti nei 26 consigli regionali. Delle 22 regioni della Francia metropolitana (le altre quattro sono nell'Oltremare) 20 sono da sei anni in mano ai socialisti. E ora è probabile che i socialisti, ben radicati sul territorio, vincano “le grand Chelem”, come dicono sportivamente, strappando al centrodestra anche l'Alsazia e la Corsica. I sondaggi parlano chiaro: a fronte di un astensionismo al 48 per cento, il 30 per cento delle intenzioni di voto andrebbero al Ps, mentre per l'Ump, partito del presidente Nicolas Sarkozy, voterebbe il 29 per cento. Verdi e ecologisti diventerebbero l'ago della bilancia col 14 per cento, e al Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen andrebbe soltanto l'8,5 per cento delle intenzioni di voto. Per il secondo turno, la previsione è ancora più drastica: in alcune regioni, come il Rhône-Alpes, lo scarto dell'un per cento al primo turno (il secondo turno è il 21 marzo) tra destra e sinistra supererebbe il 20 a vantaggio della sinistra, alleata coi Verdi e con Europa ecologia.

    Il sarkozysmo ha stravolto la dinamica elettorale. “L'idea di puntare sull'apertura a sinistra si è rivelata vincente per conquistare l'Eliseo, ma rischia di trasformarsi in un boomerang sul piano locale”, dice Jean-Marc Gonin del Figaro Magazine. Domani infatti si vota con scrutinio proporzionale di lista e correzione maggioritaria. Le regionali non sono elezioni molto sentite perché, introdotte dal 1986, catalizzano lo scontro tra i partiti, anziché focalizzarsi su candidati ancorati a un territorio. Ma l'anomalia è strutturale. Sin dai tempi di François Mitterrand, è comunemente ammesso che le elezioni nella Quinta Repubblica si vincono al centro. Sarkozy, però, con l'“ouverture”, oggi criticata nel suo stesso partito, ha distrutto questo schema, col risultato che, superato il primo turno, rischia ora di non poter più contare sul voto di riserva dei centristi – dopo aver fatto terra bruciata intorno al democristiano François Bayrou – e nemmeno dei socialisti, che cercano disperatamente di resistere al suo abbraccio istituzionale, per non parlare degli Ecologisti, che vorrebbero evitare di confondersi all'elettorato liberalconservatore. “L'omogeneizzazione dell'Ump è talmente riuscita, dopo l'asfissia del centro e il risucchio del Fronte nazionale che ormai è privo di riserve per il secondo turno”, osserva Michel Marian su Esprit, la rivista dei cattolici progressisti che all'analisi del sarkozysmo dedica l'ultimo numero, mentre il portavoce dell'Ump, Frédéric Lefebvre, per scongiurare il disastro, ancora ieri si ostinava a distinguere tra “somma aritmetica” e “dinamica elettorale”.

    A tutto questo s'aggiunge poi l'effetto dell'iperpresidenza e della personalizzazione sarkozysta. Il fatto che il presidente della Repubblica abbia preso in mano le redini del governo, rinunciando al suo ruolo di arbitro che pure la Costituzione gollista gli assegna, ha un peso non indifferente nella disaffezione dell'elettorato, se oggi appena il 38 per cento dei francesi è soddisfatto della politica del presidente mentre il 76 per cento plaude il socialista Dominique Strauss-Kahn, nonostante l'esilio al Fmi, e il 63 Ségolène Royal. E' vero che la riforma che ha ridotto il mandato presidenziale da sette a cinque anni ha americanizzato la presidenza, anticipando l'elezione all'Eliseo su quella del Parlamento, ma questa novità comporta anche un rischio di “fragilità”, spiega il politologo Raphael Hadas-Lebel, “perché espone il presidente al variare dell'opinione pubblica, privandolo del parafulmine di Matignon”. In effetti, la frenesia sarkozysta di governare in prima persona ha indotto un cambiamento nel ruolo del primo ministro: da “siège éjectable” ai tempi di De Gaulle, Pompidou, Giscard, Mitterrand e persino di Chirac, condannato a saltare alle prime avvisaglie di difficoltà, pur di mantenere intatta l'autorità del presidente, il premier è diventato una specie di doppio del presidente, che agisce come un'ombra fedele, cercando di schivarne gli strali.

    Non sappiamo se e come François Fillon, che di quest'ombra è la perfetta incarnazione e viene premiato nei sondaggi da un gradimento di dieci punti percentuali superiore a quello riservato al presidente, riuscirà a mettere a frutto il debito maturato grazie all'iperpresidenzialismo sarkozysta. Certo è che lui, un tipo riservato, molto anglosassone, pudico ai limiti della timidezza, grande incassatore e molto sportivo, sinora è riuscito a gestire alla perfezione il rapporto con l'Eliseo. Dall'iniziale irrilevanza alla ribalta di questi giorni, Fillon ha vissuto la metamorfosi del ruolo, assecondando il capo, stando sempre attento a rasentare i muri, a non mettersi in vista, nemmeno quando si è trattato di concordare col cancelliere tedesco Angela Merkel una risposta decisa all'esclusione del consorzio Eads dalle forniture militari americane, o di smentire le sue ambizioni presidenziali, suffragate dalla stampa, senza perdere mai di vista l'impegno di mobilitare le truppe e federare le forze in una battaglia elettorale ogni giorno più impervia. Così, lo si è visto attraversare in lungo e in largo il paese, dall'Alvernia alla Normandia, dalla Borgogna alla Piccardia, per rianimare i candidati locali e andare incontro all'elettore depresso. Nessuno doveva avere il sospetto che Fillon non avesse fatto abbastanza per sostenere i suoi ministri in lizza e difendere la maggioranza di governo.

    Sarkozy ne ha dovuto prendere atto. “Fillon è un elemento di stabilità”, ha detto nell'intervista al Figaro di ieri, smentendo ogni rimpasto, e annunciando una pausa soltanto a riforma delle pensioni avvenuta, tra poco più di un anno, per consentire eventualmente al Parlamento di delegiferare. Sino a pochi mesi fa, Sarkozy esercitava la sua forza di intimidazione sui parlamentari dissidenti. Aveva i suoi “mouchards”, le spie, che lo informavano di critici e scontenti. Non poteva volare una mosca senza che il segretario dell'Eliseo, Claude Guéant, prendesse il telefono per sollevare il malcapitato, minacciandolo di piazzargli un concorrente nello stesso collegio elettorale. Ora il vento è cambiato. Indebolito dai sondaggi, Sarkozy fa meno paura e sente persino di essere poco gradito nei comizi elettorali, dove tutta l'attenzione è per Fillon, “notre force tranquille”. Per questo, ha escogitato una strategia rassicurante: stabilità, avanti con le riforme, niente drammi, nemmeno di fronte alla batosta nella sua Île de France con conseguenze funeste per il progetto Grand Paris, in attesa del riscatto che avverrà a fine anno con la presidenza di G8 e G20.