Barney alle Olimpiadi

Perché a Vancouver fa caldo

Francesco Vergani

A Vancouver fa caldo. Sarà per colpa del riscaldamento globale. Sarà che c'entra il microclima locale (sarà che la città dei Giochi della neve 2010 si trova sul livello del mare; e la vicina stazione sciistica di Whistler si trova su per giù a quota 800 metri, non esattamente sul cucuzzolo della montagna). A Vancouver fa caldo. E nell'Hockey Canada Place, nello stadio del ghiaccio, di più: là dentro l'atmosfera è addirittura rovente.

    Gli Stati Uniti hanno battuto il Canada 5-3 nel big match del torneo maschile di hockey alle Olimpiadi di Vancouver 2010. La selezione a stelle e strisce ha capitalizzato in particolare la strepitosa prestazione del portiere Ryan Miller, autore di 42 interventi. Gli Usa, con 3 vittorie in altrettante gare, chiudono al primo posto il Gruppo A e volano ai quarti di finale. Il Canada deve invece passare per il round supplementare: bisogna battere la Germania per arrivare a sfidare la Russia.

    A Vancouver fa caldo. Sarà per colpa del riscaldamento globale. Sarà che c'entra il microclima locale (sarà che la città dei Giochi della neve 2010 si trova sul livello del mare; e la vicina stazione sciistica di Whistler si trova su per giù a quota 800 metri, non esattamente sul cucuzzolo della montagna). A Vancouver fa caldo. E nell'Hockey Canada Place, nello stadio del ghiaccio, di più: là dentro l'atmosfera è addirittura rovente. Come chiuso in una pentola a pressione, difatti, là dentro ribolle il tifo sfegatato di 18.810 spettatori alla volta, in rappresentanza di un'intera nazione. Che gira tutta attorno a un disco - e ad avversari - da prendere regolarmente a bastonate. Per gioco e per interposta persona. Nel caso, per interposto campione rappresentativo. Com'era Wayne Gretzky. L'ultimo tedoforo nella cerimonia d'apertura dell'Olimpiade canadese, una settimana fa. Com'è oggi Sidney Crosby. Anche se un paragone tra il primo e il secondo modello di eroe nazionale, sarà sempre improponibile.

    Lo dicono le statistiche che riempiono le pagine sportive dei giornali di tutto il Nordamerica. E l'ha detto anche Mordecai Richler, il tifoso che proprio non ha mai capito quei suoi semplici lettori o quei critici sofisticati, che avrebbero volentieri eliminato dal pesante bagaglio culturale di Barney Panofsky, l'erudizione in materia di sport, di hockey in particolare. Richler per un verso ha identificato Gretzky quale modello assoluto di atleta: un fuoriclasse inarrivabile, un tipo umano persino «anacronistico. Roba da indicarlo come esempio per i giovani, sigh». Per l'altro, Barney non ha più dormito la notte praticamente dall'inizio del tramonto della stagione dell'oro, per la squadra olimpica del suo paese (Cortina d'Ampezzo 1956: Canada bronzo). Fino alla sua dipartita, un anno prima dell'alba d'oro di Salt Lake City 2002. Nel mezzo, con Gretzky con ghiaccio e senza, al tifoso canadese è comunque toccato mandar giù qualche bicchiere e qualche sconfitta di troppo. Sarà per colpa dell'arbitro o di quel giocatore incapace, uno che non per niente, non gioca nei Montreal Canadiens, Nos Glorieux a ciascuno i loro. Sarà la passione che brucia con l'alcol, saranno i piaceri e i dispiaceri mescolati insieme.

    Fatto sta che a Vancouver fa caldo ma perché sul ghiaccio bollente dell'Hockey Canada Place, alita una nazione che sa esattamente quando tirare il fiato. E poi quando, e per/contro chi sprecarlo. Per esempio, per Crosby e per gli altri chiamati a bastonare un disco e finalmente qualcuno. Uno svizzero, un russo, persino uno yankee da considerarsi un avversario, per una volta ch'è una. Così si sfoga e si diverte, una nazione peraltro «annoiata e noiosamente neutrale», versione di Barney.