Inizia il Sei nazioni

Alcune ragioni per dire no alla piacioneria della nazionale di rugby

Francesco Vergani

Sabato ritorna in campo la nazionale dello sport, quello che piace dire che piace. Anche se dopo dieci anni di Sei nazioni, ancora in pochi hanno compreso quand'è che scatta il fuorigioco, nel piacevolissimo svolgersi di una partita di rugby. Sport più povero, più casto e più obbediente del «calcio moderno» tanto inviso agli ultras, gli stessi che poi non si perdono una partita.

    Sabato ritorna in campo la nazionale dello sport, quello che piace dire che piace. Anche se dopo dieci anni di Sei nazioni, ancora in pochi hanno compreso quand'è che scatta il fuorigioco, nel piacevolissimo svolgersi di una partita di rugby. Sport più povero, più casto e più obbediente del "calcio moderno" tanto inviso agli ultras, gli stessi che poi non si perdono una partita. Sport - si dice, lo ribadisce l'allenatore dell'Italia, il sudafricano Nick Mallett - molto meno stressato ancora del solito calcio: la pietra di paragone anti-stress, buona per essere sollevata dal commissario tecnico di turno, ogni qualvolta che la stampa sembra intenzionata a togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Come se lui fosse un Marcello Lippi qualsiasi. "Gli allenatori di calcio vivono una condizione tutta particolare. Loro sanno di rischiare il licenziamento, dopo tre o quattro sconfitte di fila". Loro.

    Ma c'è che il rugby è diverso. Sarà perché è meno mediatizzato, "sarà perché ha una tradizione leggendaria", "sarà perché è semplice, senza trucchi", "sarà perché non divide, ma unisce", proprio come la birra sponsor ufficiale del quindici azzurro, per gli slogan dello spot televisivo. Sempre dello sport meno mediatizzato. Quello che si è guadagnato la doppia copertina dell'ultimo Max, vincendo la concorrenza di Flavia Pennetta e di Morgan. Quello che piace dire che piace, per esempio a chi abita dentro al piccolo schermo. Mentre organizza l'ennesima ospitata di Mauro e Mirco Bergamasco. Mostrando le migliori immagini (rugbisti con la palla ovale in copertura, lì davanti) tratte dall'ultima edizione del calendario “Dieux du stade”. Calcolando i benefici che porterebbe l'introduzione coatta di un terzo tempo (rugbisti di squadre diverse, che bevono insieme: come se i calciatori di Milan e Inter, brasiliani e non, non l'avessero mai fatto) nel rituale del  dopopartita, di tutti gli altri sport. Meno piacevoli. O forse meno piacioni.

    Sabato l'Italia affronta al Croke Park di Dublino, l'Irlanda vincitrice del Sei Nazioni 2009. Quello del settimo cucchiaio di legno della storia, assegnato alla nostra nazionale. Per la settima volta su dieci edizioni, classificatasi ultima. Per la quinta volta, con zero punti accumulati. E a Mallett piace dire, ancora nel 2010, durante la conferenza della vigilia: "Sono nella posizione di non essere giudicato in base ai risultati". Si può? Si può bene dire no a questo rugby moderno. Quello del paese che si compiace di non riuscire a battere nessuna, delle altre cinque nazioni.