Buone ragioni contemporanee per imbarcarsi sull'astronave di Super-Eliogabalo

Antonio Gurrado

Nei mesi della proliferazione di spie e spioncini, del continuo lamento per la decadenza istituzionale e della centralità politica di escort e trans, giova rileggere Super-Eliogabalo, sensazionale anti romanzo con cui nel 1969 Arbasino s'impossessò dell'Imperatore tardoantico per “attraversare tipo astronave tanti temi e tante stronzate della nostra epoca”.

    Nei mesi della proliferazione di spie e spioncini, del continuo lamento per la decadenza istituzionale e della centralità politica di escort e trans, giova rileggere Super-Eliogabalo, sensazionale anti romanzo con cui nel 1969 Arbasino s'impossessò dell'Imperatore tardoantico per “attraversare tipo astronave tanti temi e tante stronzate della nostra epoca”. Oggigiorno un Imperatore che rinunciasse ai nomi altisonanti di Sesto Vario Avito o Marco Aurelio Antonino in favore di un marchio clamorosamente outré come “Super-Eliogabalo Super-Aquarius Super-Star Super-Sex” incontrerebbe poca fortuna presso un'opinione pubblica fin troppo propensa al lancio della prima pietra e che, come i cronisti dell'epoca, lo inchioderebbe alla colpa di aver vissuto “nella massima sfrenatezza dall'inizio alla fine”, di aver usato il proprio corpo “sia per fare sia per farsi fare molte stranissime cose” che “non si possono né dire né sentire”.
    “Stupidi storici! Cretini!”, protestano ben a ragione le tre mamme di Eliogabalo di fronte alla becera identificazione del vizio con la colpa. L'eccesso erotico, economico e politico è piuttosto un merito nel mentre che Roma si dibatte tristemente in “argomenti (…) gravi: le difficoltà finanziarie dell'Impero, il malcontento delle regioni, il complicato assestamento delle frontiere, la contraddittoria politica nei riguardi della Germania”.

    La fuga di Eliogabalo verso la villa al mare
    – apoteosi del kitsch in cui sorgono repliche di intere sale di Versailles, cartelloni del Campari, mezza Orsa maggiore e “una Fontana di Trevi perfettamente smontata e impeccabilmente ricostruita in un contesto più arioso” (manca soltanto il vulcano posticcio) – è la fuga dalle fittizie regole di palazzo e segna il sincero anelito verso “un po' di cattivo gusto vero” per cogliere appieno lo spirito intrinseco della “sede dell'orrore” par excellence, l'Italia.
    Eliogabalo aspira a essere chiamato “Pio e Felice” perché, secondo l'arguta intuizione delle tre mamme, “la guerra è brutta e vergognosa mentre il sesso è bello, bello e simpatico” (ciò nondimeno, nota Arbasino fra parentesi, quantunque “svanito e distratto” da mille marchettari ambosessi e dal continuo arrivo di elefanti non richiesti “quando è alle prese coi soldi, Eliogabalo sembra invece prontissimo”). Un Imperatore sopra le righe e irriducibile al vile schematismo della politichetta è proiezione sacra dei desideri e degli impulsi popolari più o meno malriposti e più o meno sublimati; per cui è una “stronzata parlare di Epoche della Decadenza, come se fossero fasi o periodi, quando invece si tratta di una dimensione costante dell'animo umano”.

    L'eccesso del potere serve a elevarsi “molto molto sopra il piccolo mondo moderno della Scienza, molto molto sotto il piccolo mondo antico della Storia, molto molto oltre les liaisons dangereuses della Ragione e le baruffe chiozzotte della Sociologia, tutto al di fuori dei presuntuosi presepi di quell'Illuminismo che è davvero la minore età dell'uomo”. “Critici coglioni! Asini!”, inveiscono dunque le tre mamme contro l'insostenibile perbenismo di cronisti e storiografi che si soffermano sui dettagli della ricchezza e della sessualità dell'Imperatore senza cogliere il complessivo e asistematico progetto della sua “maestà romanticamente nostalgica del Bello Superfluo”, unico possibile riscatto in una nazione oberata dal dissesto finanziario e pressata ai confini da barbari inarrestabili. In Super-Eliogabalo l'elogio ironico-dionisiaco del potere fantasioso, che pende verso il culto orgiastico ma si mantiene leggero e umanissimo, contiene una lezione politica valida oggi a maggior ragione. Proclama Arbasino che “occorre imporre una precisa tecnica della discontinuità contro gli effetti distruttivi della civiltà del progresso”, imbroglio inumano per il quale “il linguaggio si asciuga, i sentimenti s'irrigidiscono, le passioni si reprimono, le emozioni si riducono a due o tre, le energie si incanalano verso scopi insensati, la geometria impazza, si perde la conoscenza vera”. Eliogabalo cova un “disegno – personale e politico e pratico – altrettanto preciso che l'amministrazione ragionieresca degli Imperatori realistici”: di eccesso in eccesso intende contrastare “inibizione, repressione, regressione”, i tre demoni della modernità asettica. Bisognerebbe serbargli gratitudine ma, come amaramente commenta il dissoluto minorenne, “molti sono più avidi di vedere un Imperatore ucciso che sé stessi vivi”.