Perché Pisanu parla al passato remoto
“Sono sempre stato del partito di Aldo Moro”, della Dc dialogante e moderata, ha detto lunedì Beppe Pisanu. Lo ha detto omettendo però i lunghi anni di collaboratore politico stretto, al seguito di Silvio Berlusconi. Quelli in cui il Corriere della Sera lo soprannominò “il Dobermann del Cavaliere”. L'ex ministro dell'Interno, rivolgendosi ai propri interlocutori prescelti, Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, è dovuto tornare a Moro per seppellire Forza Italia.
“Sono sempre stato del partito di Aldo Moro”, della Dc dialogante e moderata, ha detto lunedì Beppe Pisanu. Lo ha detto omettendo però i lunghi anni di collaboratore politico stretto, al seguito di Silvio Berlusconi. Quelli in cui il Corriere della Sera lo soprannominò “il Dobermann del Cavaliere”. L'ex ministro dell'Interno, rivolgendosi ai propri interlocutori prescelti, Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, è dovuto tornare a Moro per seppellire Forza Italia. Quel partito di cui Pisanu è stato anche professionale capogruppo alla Camera, il che adesso – in fase di riposizionamento politico – nella sua biografia rappresenta un vizio di forma non da poco, perciò da rimuovere come un servosterzo fuori servizio.
Per capire quanto sia ingombrante per Pisanu l'essere stato agito e diretto con mano ferma qua e là da Berlusconi, sebbene con dignità, basta confrontare il suo profilo con quello dei due uomini che oggi corteggia, Casini e Fini. Il primo, curioso ma attendista, non ha problemi irrisolti con il leader del Pdl: il doroteo frondista non si è mai veramente iscritto alla corte del re e oggi può disegnare a cuor leggero vaghe, ancora improbabili traiettorie centriste con Francesco Rutelli o chiunque voglia. Il secondo, Fini, a corte è entrato ma coi suoi cicisbei ed elettori al seguito, da capopartito alleato, e nondimeno guarda con disilussione sardonica ai vacui architetti del terzaforzismo come Pisanu, Casini e Rutelli (ancora ieri tutti impegnati a invitarlo altrove, in un nuovo partito). Sordi all'evidenza: “Fini non lascerà mai il Pdl”. Come ripete il massimo esegeta finiano, Alessandro Campi: “Kadima sarebbe un fallimento, il centrismo ci ripiomberebbe nella Prima Repubblica”. Vade retro. Così il professor Campi sembra avvertire gli amici democristiani: attenzione a non confondere le scappatelle tattiche con la strategia. Il presidente della Camera, non capiscono, ha interesse a mobilitare energie ma restando sempre dov'è, foss'anche solo.
Dunque Beppe Pisanu rimane l'unico a dover ricorrere a un passato remoto per onestamente dissimulare il proprio volto nella foto di famiglia, accanto a Silvio Berlusconi. “Sono sempre stato del partito di Aldo Moro”. Parla di Moro, che fu martire di un'idea; oltre che dell'idea, l'ex capogruppo di Forza Italia ed ex componente la “banda dei quattro” zaccagniniani contrari alla trattativa per Moro, sembra volersi appropriare del martire. Pesa quella convulsa notte elettorale del 2006 in cui Berlusconi gli strappò un po' rozzamente le mostrine, degradandolo sul campo da ministro dell'Interno a peone. Una notte misteriosa, quella; nella quale venticinquemila voti scarsi trasformarono la promessa della vittoria, offerta al sovrano, nel destino di un emarginato. Era il 10 aprile quando il ministro dell'Interno Pisanu, raggiante, fu chiamato a Palazzo Grazioli perché servisse la buona notizia: secondo le proiezioni “la Cdl ha vinto!”. Il Cav. già lanciato nei festeggiamenti, intratteneva l'intero stato maggiore di Forza Italia euforico. “Avevamo persino mangiato il gelato”, racconta chi c'era. Quando, improvvisamente, accadde qualcosa. I dati sullo spoglio non affluivano più al ritmo di prima, i risultati rallentavano. Per poi interrompersi del tutto. Così l'umore del Cav. si rovesciò come dal giorno alla notte: “Che fai qui sul mio divano? Corri al Viminale, Pisanu! Ci stanno cambiando le carte in tavola sotto il naso e tu te ne stai a guardare”.
Venticinquemila voti, scarsi. Rappresentarono la disgrazia per quel gentiluomo del Castello che un tempo fu anche il favorito di corte. Capogruppo, più volte ministro, Pisanu in quell'epoca somigliava anche un po' a Berlusconi. Ne riproduceva le inclinazioni, le insofferenze, le predilezioni: “Il centro? E' un circo con tanti clown”, gli capitò di dire nel '96. E poi ancora: “Agli amici del Ccd ricordo che senza Berlusconi non c'è Forza Italia e senza di essa il Polo non esiste”. Quando Indro Montanelli scrisse un editoriale dei suoi antiberlusconiani, lui lo definì “Infame”. Perché Pisanu è così: finisce col diventare uguale al committente. Da sottosegretario di Fanfani gli capitava di riprodurne i movimenti a scatti. Oggi patisce un prestigioso esilio alla commissione Antimafia. “E' lento e preciso”, dicono, è costruito di quella materia solida e immobile che nei primi anni ne fece la fortuna al seguito di Berlusconi e che adesso è la sua disgrazia.


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