L'happy ending del Cav.
A meno che gli americani non gli rifilino in corner una polpetta avvelenata – un aereo in avaria tipo Enrico Mattei, un bacio di Totò Riina tipo Giulio Andreotti o un esilio ad Hammamet tipo Bettino Craxi inseguito dalla muta dei mozzaorecchi – la sorte di Silvio Berlusconi che è già entrata nel finale, è declinata nell'happy ending. E l'avventura del cummenda brianzolo assurto al rango di statista, l'obliquo simpaticone che se l'è preso il suo capitolo di storia patria è una trama in attesa di rappresentazione.
A meno che gli americani non gli rifilino in corner una polpetta avvelenata – un aereo in avaria tipo Enrico Mattei, un bacio di Totò Riina tipo Giulio Andreotti o un esilio ad Hammamet tipo Bettino Craxi inseguito dalla muta dei mozzaorecchi – la sorte di Silvio Berlusconi che è già entrata nel finale, è declinata nell'happy ending. E l'avventura del cummenda brianzolo assurto al rango di statista, l'obliquo simpaticone che se l'è preso il suo capitolo di storia patria è una trama in attesa di rappresentazione.
Lui – il nostro eroe – è veramente un performer chiamato da un'astuzia del destino a far da premier all'Italia e faccio mio lo stupore di Tomaso Staiti di Cuddia. Fu, infatti, lo charmant barone scapestrato a darmi la chiave ermeneutica per svelare il Berlusconi. Tomaso che da ragazzo andava per spettacoli di riviste e varietà a far la claque per raggranellare dindini da metter in tasca – giusto da quell'imprinting fatto di cipria, lustrini e cincillà – da quel meraviglioso giocattolo che è il teatro, ricavò la sentenza per definire il Cavaliere: “Tutto mi sarei immaginato fuorché vedere Carlo Dapporto presidente del Consiglio”.
Ecco, perfino i lettori del Foglio sono diventati giovani e perciò, prima di procedere oltre, occorre spiegare chi fosse il Dapporto. Era il fine dicitore, l'uomo di mezza età molto elegante, molto in stile anni Cinquanta, maschio italiano innamorato delle donne, assai simpatico e perso nelle nuvole di signorinelle dall'anca febbrile. Dapporto entrava in scena, dominava la ribalta e con tratto signorile, amabile e forbito concedeva qualche barzelletta, qualche raccontino, insomma: un arguto motteggio. Spesso punteggiato da un alfabeto internazionale e chic con cui la rivista – il varietà, la commedia musicale, l'intero palcoscenico dell'Italia desiderosa di leggerezza – faceva il clap clap e poi il bis, ancora bis. Tutto per vedere trionfare quell'omino dal corpo d'anziano lupo conoscitore delle cose nel suo specchiato abito scuro. Omino beato tra le vedette, le ballerine e le attrici che Tespi in persona – semidivinità assai benevola nel pantheon della vera religione – seppe generosamente concedere in quel tempo sì lieto.
Ecco, messa da parte la saggistica perché fa solo polvere – ridotta ad essere solo antologia di verbali, faldoni di giudiziaria e carte processuali. Falliti i romanzi – e manco un titolo ricordiamo, tanto è il buio, sebbene Berlusconi sia un bel cognome usato da Piero Chiara – abortiti i film perché, “Caimano” compreso, risultano guastati dal rancorismo, dall'antiberlusconismo e dalla morale. Diocenescampi poi coi comici, uno più penoso dell'altro (o dell'altra). Resta perciò solo un modo per spiegare e raccontare il finale di Berlusconi, il suo grande finale. Ed è il musical. Efficace anche come antidoto per sottrarlo – oltre che all'occasione persa dei film, dei romanzi e della memorialistica forcaiola – all'estetica da Kim Il Sung che caratterizza l'apologetica. Avete presente quelle fotografie di lui mentre interra gigli e tuberose? Ecco, tutto il contrario: ironia, spirito e modi beffardi degni di un'anomalia prestata allo Spirito del Tempo.
Torno ancora al “Caimano” per dire subito e mai più che il regista dovrebbe essere proprio Nanni Moretti. La sua vera cifra, sebbene appena accennata finora in qualche fotogramma, è il musical e siccome io che sto scrivendo sono amministratore di Teatro Stabile ne approfitto per commissionare a Moretti (e il presente articolo vale come atto ufficiale) questo lavoro il cui autore, però, l'autore del libretto intendo, sarà un altro. Fino a questo punto del pezzo lo teniamo nascosto ma solo perché una coltre di mistero misto a sorpresa non guasta e perché alla Siae ci recheremo – io e Giuseppe Dipasquale, il direttore artistico del TsC – nottetempo.
Insomma: il musical. O commedia musicale che dir si voglia, secondo tradizione, con tanto di musica, ballerini e perciò orchestra e coreografia. Uno spettacolo fatto come Tespi comanda: con le canzoni, la ricca scenografia, i ritornelli e il deus ex machina. E come titolo potrebbe andare bene “Happy Ending”. A farlo malizioso, poi, benissimo andrebbe “My fair papy” e se può servire a convincere il regista (e mettere appetito all'autore), potrei provare anche in queste righe a immaginare l'avvio dello spettacolo.
Ecco, dovrebbe cominciare giusto dal finale, come da tradizione. Secondo la regola di “Se il tempo fosse un gambero”. Principiare dall'epilogo, dunque. E vedrei bene in scena due meravigliosi vecchietti – Berlusconi e il suo amico don Verzè – immersi nella beatitudine di una spiaggia incantevole e remota. Ecco, stanno gustando tamarindo energetico e dietetico. Ecco, si godono il sole che volge al tramonto e la frescura che arriva coi raspi leggeri dei rastrelli sui tamburi. I giorni dell'impegno sono alle loro spalle e un unico largo sorriso attraversa il volto dell'uno e dell'altro. Hanno fatto tanto bene nella loro stagione terrena. Scoppia improvvisa la musica, i due personaggi, sono chiamati ad alzarsi nel frattempo che un coro di ragazze (qualcuno è infermiera, qualcuna ha la mimetica della protezione civile, altre sono delle parlamentari) si unisce ad un gruppo di allegri negretti. Sono vestiti, questi, da degenti di una superclinica (qualcuno ha la gamba ingessata, un altro è aggrappato alla flebo, molti sono fasciati da bende).
E tutti insieme, questi malatini, con le ragazze, trascinano nel vortice di Tersicore, con una coreografia spiritosa, garbata e colorata, il sacerdote e il dottore (attenzione: sarà rigorosamente chiamato “Dottore” e non perché medico ma in omaggio al titolo cui Berlusconi tiene veramente). Caspita come ballano bene il Dottore e il Don, sembrano due arzilli Ginger e Fred. Ci sembra già di vederli e le ragazze, infatti, non riescono a tenere testa. Quando alla fine la musica si placa, il Dottore si esibisce infine nel suo proverbiale numero di abilità. Ne fa sedere cinque in un solo ginocchio mentre Don Verzè, anche lui non toccato dalla stanchezza, riavvolge qualche benda qua e là saltata ai negretti.
Insomma: il pubblico trova i due in una delle tante isole remote del mondo dove una volta c'erano fame e malattia e dove adesso, nel finale della sua operosa vita, il Dottore ha deciso di riposare non senza aver fatto fiorire giardini ed edificato efficienti ospedali. E' uno dei tanti Fatebenedottore. Ne ha costruiti già ottocento in tutto il Terzo mondo ed è così che ha risolto la questione del patrimonio: tutto ai poveri. Come solo un bravo allievo salesiano saprà ben fare. E magari in quell'isola l'autore potrà immaginare di far arrivare uno tsnunami, giusto per poi vedere il Dottore all'opera nella ricostruzione. Dopo di lui, il diluvio. Accanto a lui, nessun diluvio. E il secondo quadro, a seguire un veloce cambio scena, ecco, potrebbe ambientarsi in una linda aula della scuola salesiana. E con un titolo preso da tradizione: “Si stava meglio domani”.
Sono convinto che non sarà difficile coinvolgere Moretti – tra non molto dirò il nome dell'autore – perché, signori miei, la materia del musical con Berlusconi, c'è tutta. Ha il fisico del Dapporto ideale. Ha la soavità di Gino Bramieri. Ha il ceffo malandrino (certo, tricologicamente aiutato), di Walter Chiari. Ha il piglio di Ernesto Calindri. Ha la statura di Renato Rascel. Ha la prorompente vitalità di Bice Valori, di Delia Scala e di Ombretta Colli perché il Dottore poi, è anche quella perfetta padrona di casa che abbiamo ammirato tutti al summit delle potenze internazionali a Pratica di Mare. Anche quando litiga con la signora moglie, poi, non sono Paolo Panelli e Bice Valori, i due? O quelli di “L'amore non è bello se non è litigarello?”, ovvero Delia Scala e Lando Buzzanca. Anche i suoi collaboratori, a studiarli bene, trovano felice casting nell'album della memoria teatrale. Paolo Bonaiuti è preciso Mario Carotenuto, specializzato in scherzi telefonici. Assai piccanti. La segretaria Marinella, poi, è spiccicata Lia Zoppelli. Le zie suore, tanto raccontate dal Berlusconi in campo, sono un rimando obbligato al ritornello della nostalgia, così come le marachelle del giovanotto dal bel torace a suo tempo evocato dalla mamma, per non parlare della scena epica del papà suo che lo accompagna in visita al cimitero militare degli americani. Manco in “Canto di Natale” di Charles Dickens.
Tutto è già musical. Paolo Bonolis accolto dai lancieri di Montebello a Palazzo Chigi, quindi Aida Yespica convocata in tutta fretta per accogliere Chávez, quindi le quadriglie e le scene assai coreografiche degli incontri con Gheddafi (e relativa tenda) e poi ancora il lettone di Putin, e poi ancora il cuoco Michele (un Carlo Croccolo perfetto). Alfonso Signorini, infine, un “Ciao Rudy” degno di Marcello Mastroianni. E Gianni Letta, garbato assai, che ricorda Andreina Pagnani. Tutto è già stato musical in Berlusconi. Il suo “Aggiungi un posto a tavola” resterà sempre quello dell'amicizia sotterranea ma sempre viva con Massimo D'Alema: dalla Bicamerale all'appena sfumata occasione del ministero degli Esteri in Europa. Tutta materia della luminescente West Side Story del Cav. Il suo George Gershwin è Fedele Confalonieri.
E poi, pensateci, il Dottore alle prese con la magistratura ripete in automatico un sublime cliché della commedia musicale italiana. Sono Rugantino e Mastro Titta, er boja de Roma addolcito nelle sembianze del divino Aldo Fabrizi. E' un magistrato libero e zitello, mastro Titta, che sogna di avere una donna dentro casa: “Un'anticamera amorosa, una rondine indifesa che hai preso sotto ar tetto” nel frattempo che l'altro ha saccheggiato un'immensa voliera. Combacia, no?
La stessa commedia musicale italiana – da “Giove in doppiopetto” fino a “Anche i bancari hanno un'anima” o “Rinaldo in Campo” – con quel superbo e aereo costrutto musicale dei grandissimi Gorni Kramer, Armando Trovaioli e Domenico Modugno (giusto per fare qualche nome) aiuta per familiarità e orecchio. Importantissime, infatti, saranno le musiche, ho già un'idea precisa al riguardo, ma con un titolo come “Happy Ending” (o lo stesso “My fair papy”) il lavoro che ci apprestiamo a mettere in scena a Catania può e potrà puntare al mercato internazionale. E' una meravigliosa Mary Poppins, infatti, il nostro Dottore. E se si aggiunge agli ingredienti un poco di Mangano, quell'aspra mistura di disturbo criminoso non potrà giovarsi del successo collaudato del gothic in chiave mafiosa? The Phantom of the Horsestable. Cose così.
Capisco l'obiezione. Poteva trovarsi una chiave scespiriana per Berlusconi, ma la tragedia non gli si addice, sarebbe solo una forzatura quando dell'eroe ormai ne abbiamo avuta immagine più che vaporosa, coi suoi accappatoi e con le bandane da fico di provincia. Fidatevi della produzione TsC. Sarà un grande successo e, pur opera di rilevante interesse culturale, non si avvarrà di finanziamenti ministeriali. Sandro Bondi in persona, anche da sig. Ministro, ma soprattutto da poeta, potrà essere consulente visto che l'autore del libretto forse non s'è mai misurato con le rime. E forse avrà bisogno di un paroliere.
Insomma: prossimamente sul palcoscenico di Catania e poi in tournée. Una mondiale tournée.
Ps. Dimenticavo: l'autore del libretto. Ve lo dirà lui stesso qualche pagina più avanti.


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