Tremonti e le critiche alla mobilità
Se il posto fisso sia ganzo oppure no
L'ultima evoluzione del percorso tremontiano si chiama posto fisso; un valore per la società e l'economia italiana, ha detto ieri il ministro dell'Economia. Alberto Alesina, dal suo studio di Harvard, ha letto le dichiarazioni lanciate da tutti i siti italiani, ma chi si aspetta che abbia fatto un balzo sulla poltrona, si sbaglia.
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L'ultima evoluzione del percorso tremontiano si chiama posto fisso; un valore per la società e l'economia italiana, ha detto ieri il ministro dell'Economia. Alberto Alesina, dal suo studio di Harvard, ha letto le dichiarazioni lanciate da tutti i siti italiani, ma chi si aspetta che abbia fatto un balzo sulla poltrona, si sbaglia. “Tremonti cattura e descrive aspetti importanti della società italiana e li condivide – spiega al Foglio – La cultura della immobilità geografica e sociale si è generata dopo le grandi migrazioni del passato. Ciò ha consentito di mantenere un legame con le tradizioni, ha consolidato la famiglia come cellula fondamentale della società”.
Oggi il 45 per cento dei figli vive vicino ai genitori. L'Italia è stabile, lo ha dimostrato anche durante la recessione. Ma non è anche immobile? “Il posto fisso, il fatto che la gente non sia costretta a cambiare spesso lavoro nel corso della vita, ha i suoi vantaggi e i suoi benefici, come abbiamo visto. Ma a un economista non possono sfuggire i costi. Forse Tremonti non ragiona da economista, tuttavia è evidente l'altra faccia della medaglia. E' la scarsa produttività, quindi un salario più basso e un reddito pro capite inferiore a quello di altri concorrenti”. In effetti, se guardiamo ai risultati nell'ultimo decennio, quel peculiare indice di ricchezza che si ottiene dividendo il pil per la popolazione (per quanto rozzo, ancora significativo) mostra che abbiamo fatto la marcia del gambero. “Una cosa deve essere chiara – insiste Alesina – cioè che non possiamo avere tutto insieme, la piena occupazione con posto stabile, il salario più alto, la crescita più rapida. Il risultato probabile, al contrario, è che aumenterà la frattura tra chi il posto ce l'ha e se lo tiene stretto e chi non lo avrà mai. Una società in cui chi ha un lavoro garantito (e per lo più sono uomini adulti) dovrà mantenere i figli per un numero elevato di anni. Una società a un tempo statica e divisa”.
Insomma, si riproduce su scala ancora maggiore la dicotomia tra garantiti e non garantiti. Ma le imprese offrono abbastanza posizioni stabili, per soddisfare la domanda? “L'abbiamo già visto dall'esperienza dei decenni passati che l'illusione del posto fisso ha creato maggiore disoccupazione. L'introduzione di nuovi contratti flessibili ha consentito di aumentare l'impiego. E' comprensibile e condivisibile che chi ha il posto non lo voglia mollare, ma bisogna poi risolvere il problema di chi non ce l'ha. Naturalmente, si può far passare una legge che dice: nessuno può licenziare. Ma, ripeto, quali sono le conseguenze? Il risultato più probabile è che le imprese non assumeranno più”.
C'è poi una questione di fondo: il posto fisso, quindi la stabilità sociale, è davvero un valore positivo? O non lo è piuttosto la mobilità, non solo orizzontale, ma verticale, cioè la possibilità per chi ha talento e non ricchezza o potere, di salire fino ai gradini più alti? “Ritengo che la mobilità sia positiva, ma comprendo chi sostiene il contrario. Penso, però, che sia pericoloso per un politico sollevare una questione di valori, i quali non si possono imporre dall'alto. E come economista, vorrei che anche chi ha un punto di vista diverso facesse un calcolo razionale sui vantaggi e gli svantaggi, sulle conseguenze concrete di scelte e comportamenti collettivi”. C'è un senso comune secondo il quale il modello americano, fondato sulla cultura della mobilità, è improponibile dopo la crisi. Alesina invita a distinguere e ad evitare facili sillogismi. “Se il mercato finanziario ha fatto crac non vuol dire che bisogna regolare tutto, anche il mercato del lavoro. Del resto, quando andremo a fare i conti della recessione, alla fine vedremo che in termini di prodotto lordo, gli Stati Uniti avranno perso meno dell'Italia”.
Senza dimenticare che ci sono altri paesi in Europa, soprattutto in Scandinavia, i quali hanno saputo combinare flessibilità e sicurezza, una notevole mobilità nell'impiego e uno stato sociale solido. “Certo, ma io non voglio riproporre certi semplicistici argomenti polemici. La Danimarca o la Svezia sono nazioni diverse e non ha senso dire facciamo come loro. Qui la famiglia è una istituzione sociale fondamentale. E lo resterà. Non vogliamo copiare nessuno. Benissimo. Quel che mi preme, invece, è sottolineare le conseguenze delle nostre scelte. Salari alti, redditi alti, posto fisso e piena occupazione, ripeto, è un'equazione che non funziona”. Dunque, Alesina vuole sfuggire alla troppo facile diatriba tra “mercatisti” e “colbertisti”, che ormai ha stancato tutti, sottolinea. Comprende il ragionamento di Tremonti e rispetta le sue categorie di pensiero. Ma alla suggestione del passato risponde con il rasoio logico del presente: si può fare, quanto costa, chi paga?
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