Fimmine d'amor cortese

Pietrangelo Buttafuoco

Si rende noto a tutti che Margareth Madè, la protagonista di “Baarìa”, è bella, estremamente bella, da meritarsi l'attenzione non solo degli uomini ma anche delle donne.
E si rende altresì noto che rispetto a tutto l'affollarsi di escort, veline e sventurate di cui si fa mercato oggi in Italia, lei è all'esatto opposto. Immobile, infatti, pur in mezzo al frastuono infernale di femmine che si danno, lei gusta la radiosa albagia della noncuranza.

    Si rende noto a tutti che Margareth Madè, la protagonista di “Baarìa”, è bella, estremamente bella, da meritarsi l'attenzione non solo degli uomini ma anche delle donne.
    E si rende altresì noto che rispetto a tutto l'affollarsi di escort, veline e sventurate di cui si fa mercato oggi in Italia, lei è all'esatto opposto. Immobile, infatti, pur in mezzo al frastuono infernale di femmine che si danno, lei gusta la radiosa albagia della noncuranza.
    Carlo Giovannelli – il principe, il re della mondanità – le ha chiesto: “Signora, dica la verità: lei ha, di certo, origini aristocratiche. Il suo portamento, di fatto, non può che essere il risultato di secoli adorabili e accurati. Non può bastare una pellicola di Giuseppe Tornatore per fare tutto questo. Insomma, Margareth, siete d'antica nobilità?”. Il principe l'ha ammirata nel fasto cinematografico della Mostra di Venezia. “Niente di tutto ciò”, la risposta di Madè, “a meno di qualche follia di mie antenate, una certezza, principe, ve la posso rivelare. Dal primo all'ultimo dei miei natali, ebbene: sono sicuramente plebei”.

    Si rende dunque noto a tutti che Margareth Madè
    , figlia della Nazione proletaria, tenuta a battesimo da Tornatore ma già cresimata da Sofia Loren che l'ha voluta incontrare, ci prende le notti per ripassare a mente i più minuti particolari della storia universale del femminile. Senza scomodare l'urtante teoretica del corpo delle donne, oggi così tanto in voga, sul far del giorno scopriamo i motivi adatti a supporto delle nostre convinzioni: è una come lei quella che salva la reputazione alle donne.
    Una come lei – così garbata, distante nella fissità di chi è incredulo davanti al proprio successo – nel frattempo che dilaga la ricotta del meretricio, racconta la donna come solo una figlia, una sorella o una cugina può fare.

    Si muove come un'ospite piena di premure, lei, “con delicata attenzione” direbbe la canzone, e qualunque sexual addict (per come si dice adesso), qualunque malato di femmine, non saprebbe cosa sbavare intorno alla sua figura, trattenuto dal timore di osare per poi pagare pegno alla figuraccia. Senza la scintilla del sentimento, infatti, una donna così non ricompensa di un solo sguardo la bava altrui ed è un rispettoso inchino col capo il segno di soggezione che la rivela ai riflettori. E' la bellezza fatta pudore la Margareth, pronta per i veli di Antonello da Messina e siamo sicuri che non farà mai un calendario per farsi quantificare in libbre nella macelleria della satrapia suina dei maniaci.
    La proliferazione impazzita di calendari di femmine alla nuda – sia detto per inciso – è una moda già buttata via. Il computer pullula di polluzioni e non c'è soubrette che non abbia un portfolio erotico. Maliarde e sgallettate, sono tutte alla nuda. E nulla da eccepire dunque, se non fosse che tutto il moralismo speso ad esorcizzare i vecchi calendarietti profumati dei barbieri di una volta, ha trasformato quest'ultimi in efebi, innocenti parrucchieri, consegnando così il salone da barba, ultimo baluardo della congiura maschia, in una palude del politicamente corretto. Ma l'inciso finisca qui, si torni allo stil novo. Ed ebbene sì, alla figura angelicata dell'amor cortese. E questo è Margareth Madè nella terra delle donnacce proclamate ad apologo della porcheria obbligata.


    Fare la corte ad una donna come lei impegna le più complicate architetture di sentimento, tremore ed emozione. Se non ci fosse stato l'anatema gettato da un uomo verso cui nutriamo ammirazione e stima, ovvero Nichi Vendola, all'architettura della corte aggiungeremmo la parola “conquista” ma il governatore delle Puglie, ospite della trasmissione di Gad Lerner su La7, ha criticato il concetto in sé della conquista perché, insomma, l'amore “non è un'attività venatoria”. Ma ci torniamo subito su questo, intanto qui, non vorremmo di certo sottovalutare “il corpo delle donne” e, conseguentemente, la difesa dello stesso, di un postulato però siamo certi: occorre che sia sana la società nata intorno a questo corpo.
    A difesa del “corpo delle donne” si fanno anche le rivolte. Il trenta di marzo del 1282, un lunedì di Pasqua, all'ora del Vespro, sul sagrato della chiesa dello Spirito Santo, a Palermo, accade un fatto: un soldato francese fece il vastaso con una giovane nobildonna. A difesa di lei, quasi una vampa, si sollevò ogni anima di maschio e da lì scoppiò la rivolta per generare la caccia al francese. Il dominio di Carlo d'Angiò ebbe la sua meritata fine a causa di una “scortesia”, i suoi soldati furono stanati ovunque e mai “corpo di donna” ebbe cornice più ragguardevole: una magnifica guerra offerta su un profumato cesto colmo di gelsomini, quello dal cui profumo la ragazza attinse un tonico risveglio. E' il corpo della donna l'accampamento attorno al quale gli uomini innalzano l'ara della guerra. E la conquista, appunto, fuor di metafora, non può svilirsi nel luogo comune altrimenti tutto diventa stupido: e l'uomo è cacciatore, e la paglia non deve stare vicino al fuoco, e l'uomo non è di legno, e la carne è debole. A quel punto è meglio cavarsela con Totò: “La donna è mobile e io mi sento tanto mobiliere”.

    Tornando alla “conquista”, Vendola ha voluto sottolineare quanto questa parola rechi offesa alle donne. Le priva della ovvia parità. Nel senso che non sono prede, diceva lui, oggetto di una espugnazione ma – a difesa della conquista – dobbiamo proprio confessarlo: è proprio un gran peccato privarsi del torneo amoroso. A meno di non considerare gli affascinanti uomini italiani – i Marcello Mastroianni, i Vittorio Gassman, per celebrare due miti dello spettacolo, o i Gabriele D'Annunzio e gli Alberto Moravia in letteratura o i più vicini al nostro tempo, i Lucio Magri e lo stesso Eugenio Scalfari, gran signore – dei ribaldi bracconieri e non uomini amati dalle donne. Il culto del politicamente corretto arma i tribunali della nuova inquisizione, quella che scruta perfino l'anima ma quando la bellezza è pari all'essere persona di spirito, il torneo dell'amore cortese è l'antico efficace antidoto alla volgarità, alla blasfemia del porno e perfino a quella che secondo Vendola, con immagine apposta sordida, ha definito “la panciera che aderisce al basso ventre dell'Italia”. E' per la bellezza e per il suo essere un campione di spirito che collochiamo tra i campioni del torneo il compianto principe Carlo Caracciolo, specialmente quando Peppino Ciarrapico, l'amico, lo ricorda spericolato e sempre innamorato delle donne: “Cinque pastiglie di Viagra in un botto. Dovettero ricoverarlo”.

    Le donne si fanno belle, se non per i mariti, per il proprio pudore. Si rende noto che le donne italiane, rispetto alle borghesi cosmopolite d'occidente, hanno il grande vantaggio di essere fedeli alla propria grazia. E salde, infine, nella natura che le ha rese femmine. Al mattino, sull'autobus che scende da via Gregorio VII, in direzione del Vaticano, s'incontrano spesso alcune “streghe di Benevento”. Devono appartenere alla stessa famiglia o alla stessa tribù, perché – relativamente ad ogni età rappresentata nel gruppo – si assomigliano tutte. Dalla matrona seduta a gambe larghe, alla giovincella in piedi con gli scarponi gommati. Hanno la parlata vesuviana e i modi distratti delle creature notturne. La più giovane tra loro poi, una bellissima ragazza dallo sguardo scuro, sembra la versione umana di una cara palmipede: Amelia, la strega che si danna per avere il primo decino di Paperon de Paperoni. Sono delle vere fattucchiere che lasciano di tanto in tanto le loro campagne, per andarsene in giro dalle parti del colonnato a fare quello che sanno fare con i pii pellegrini. Sanno leggere la ventura, fare le carte, togliere le fatture. In un certo senso si ritagliano onorevolmente, una loro fetta di mercato nel mare grande della fede. Con i maschi poi, intrattengono una pratica particolare. Toccano il “pesce” e minacciano: “Tieni una zoccola che ti vuole tanto male”. Consegnano un sacchettino pieno di chissà che e se ne vanno (previa offerta). Qualcuna di loro si avventura dalle parti di Piazza del Popolo, in area secolarizzata, e quando vedono Pasquale Squitieri gli vanno incontro come bambine impazzite, come ninfe attorno a un fauno. La più sfacciata gli dice: “Pasquale, quando viene Claudia?”. E lui, luciferino quanto loro, risponde: “Ma ci sei già tu, che sei più bella della Cardinale”.

    Si rende noto che la voga del politicamente corretto, sì, ha preso piede.
    Quella stessa sinistra che con Rifondazione reclamava fino a qualche anno fa “Il viagra gratis” per i meno abbienti, adesso combatte la magnificenza e la liberalità poetica del “chi vuol essere lieto sia”, e perfino il linguaggio figurato deve cedere alla trappola della chiacchiera laddove “il” femminile, declinato con l'articolo maschile (giusta notazione di Paolo Bracalini), computa la ragionieristica dei sexual addict. Anche nella conferma di una maledizione che colpisce inevitabilmente i maschi: le donne non stanno mai zitte. Le donne, infatti, parlano, raccontano, si profondono in particolari, fanno epopea delle mancate prestazioni già dalla perfidia con cui s'impegnano in orgasmi simulati. Non c'è coppia di amiche dove non trionfi la confessione intima e sboccata. Più dei maschi, peggio dei maschi, le femmine si avviluppano nella trama del dirsi tutto (il tutto che va a danno dei fidanzati). Le donne non conoscono cavalleria e perciò, di ogni meschino, quando non possono farne il ritratto di un superbo egoista, ne fanno un impotente falciandolo nell'orizzonte della santa pace. Le donne, fino a quando non avrà ragione la civiltà sulla natura, sono una garanzia di ferinità, sono le creature più vicine all'istinto di sopravvivenza della specie, specie se sono delle capricciose ricche ragazze. Frugano nel buio delle proprie brame scegliendo sempre il meglio per se stesse, e quindi è anche vero che nella cernita del maschio quasi si scambiano informazioni, lasciando tracce del loro devastante passaggio alle altre che ne potranno sgranocchiare le ossa abbondantemente spolpate.

    L'impotente non ha scampo, viene svelato, individuato e accerchiato.
    Come tutte le ritirate dei treni, sempre occupate, le donne della onnipotente disinvoltura sono sempre occupate nel prendere e lasciare i maschi disponibili. E' l'uomo ad essere cacciato in questo parco venatorio che è la pubblicità del vivere occidentale, anche questo deve rendersi noto e il romanticismo, l'amor cortese, è l'applicazione del sentimento alla tecnica. Nelle cartoline d'epoca si vedono i fidanzatini, separati da un giardino, che si dicono le cose d'amore attraverso due barattolini di latta legati dallo spago. Il dire è un tentativo di rigenerazione del sentire, la sensazione panica di appartenere al luogo, alla memoria, alle mani lontane, al bacio, a quella prendibile e perciò imprendibile accoglienza della vita ad occhi chiusi. Le fanciulle innamorate, lasciavano l'impronta delle labbra e versavano gocce del proprio profumo sulle lettere inviate ai loro fidanzati dagli occhi chiusi. Non è per un capriccio di teatro, infatti, che sia stato proprio un grande naso, Cyrano de Bergerac, a fare la poesia del bacio. E' il naso che raccoglie le lacrime. Dal naso procede il radar dell'innamoramento. I giorni perduti dell'amore, sono i giorni perduti a rincorrere il vento, e il vento è Mercurio, Hermes che bussa alla porta dell'afrore. Le donne – ciglia stropicciate che accolgono lo schiaffo intenso e muschioso del sudore salato – le donne che per sempre faranno cadere fazzoletti, vestaglie, calze, le cinture perfino, sanno di avere al guinzaglio i segugi raccoglitori che fanno l'amore al modo degli dei: ad occhi chiusi. Non è per un capriccio di zoologia che l'arrapato abbia avuto in dote l'appellativo di sciaraviolo, l'odora viottoli, tipico dell'asino in cerca dell'asina. L'odore che è la prima avvisaglia del calore, è il sigillo di quella trama del sentire decifrata esclusivamente nell'intimità. Il profumo scivola per arrivare al modo del bacio. Un apostrofo rosa tra le parole del sentire. Nulla a che fare con la panciera aderente al basso ventre.

    Pur in mezzo al frastuono infernale di femmine che si danno,
    Maragareth Madè che in virtù di sua bellezza restituisce la reputazione alla donna italiana di questa stagione, gusta la radiosa albagia della noncuranza.
    Nulla a che fare con la panciera, piuttosto la cavalleria. E si renda infine noto. Tutto in alto. E come il Cyrano si declami: “Punt-at' il na-so, cavalleria!”.

    • Pietrangelo Buttafuoco
    • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.