Che cosa si intende quando si parla di scudo fiscale

Redazione

E' partito il 15 settembre lo scudo fiscale. La manovra permetterà di rimpatriare o regolarizzare le attività illegalmente detenute all'estero pagando un'imposta del 5 per cento delle somme riemerse. Si tratta della terza sanatoria di questo tipo, dopo le esperienze del 2001-2003. Commercialisti e consulenti sono già al lavoro sulla circolare provvisoria, disponibile da allora sul sito dell'Agenzia delle Entrate, che ha anche aperto un forum dedicato per suggerimenti tecnici.

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    E' partito il 15 settembre lo scudo fiscale. La manovra permetterà di rimpatriare o regolarizzare le attività illegalmente detenute all'estero pagando un'imposta del 5 per cento delle somme riemerse. Si tratta della terza sanatoria di questo tipo, dopo le esperienze del 2001-2003. Commercialisti e consulenti sono già al lavoro sulla circolare provvisoria, disponibile da allora sul sito dell'Agenzia delle Entrate, che ha anche aperto un forum dedicato per suggerimenti tecnici. Sottotraccia, però, è già nata la polemica: il nostro scudo, notano alcuni esperti del settore, sarebbe molto benevolo con i potenziali scudati se confrontato con manovre varate da altri paesi. Ma le opinioni non sono univoche. Anzi, i tecnici sentiti dal Foglio propendono per un'altra tesi. Il condono italiano non risulta comunque di per sé vantaggioso nemmeno se confrontato con i pacchetti esteri. A parità di patrimonio e reddito, infatti, l'imposizione risulta molto severa. Si prenda, per esempio, il condono britannico (la cosiddetta “New disclosure opportunity”), che oltre al pagamento delle imposte dovute prevede sanzioni del 10 per cento. A parità di condizioni, secondo uno studio ancora in fase di completamento, il condono italiano è più caro.

    “Negli Stati Uniti – spiega al Foglio Fabrizio Vedana, direttore area legale di Unione Fiduciaria – si paga quello che si sarebbe pagato regolarmente più una sanzione economica ridotta: l'incentivo sta nel fatto che invece di pagare una pesante sanzione se ne paga una più piccola. In Italia, invece, si paga solo un'imposta straordinaria del 5 per cento che è sostitutiva”. E' vero però che alte aliquote non hanno mai portato grande successo. “Il governo italiano ha fatto scuola – aggiunge Vedana – In passato gli altri stati, che hanno anche allora applicato aliquote più alte, non sono riusciti a rimpatriare neanche la metà di quanto ha fatto l'Italia”. In effetti, in materia di scudo fiscale, è stata l'Italia a esportare con successo il modello, e non viceversa. Il giudizio sulla “benevolenza” o meno della manovra italiana non può prescindere da un'analisi più ampia. “Sull'entità dell'aliquota non si può dare un giudizio in assoluto – commenta al Foglio il commercialista Norberto Arquilla – ma occorre muovere da una considerazione più generale: piuttosto che tentare di raggiungere capitali fino a oggi nascosti è opportuno facilitare il loro rimpatrio dato che finora non hanno mai costituito materia imponibile ed introdurre nuove regole per evitare che continui ad essere conveniente la loro esportazione nei paradisi. In questa logica, lo scudo italiano possiamo giudicarlo equilibrato”.

    Chi ritiene che la sanatoria non sia poi tanto vantaggiosa in termini di aliquota ci tiene a sottolineare che non si tratta di un'imposta applicata al patrimonio, bensì al reddito: un'aliquota al 50 per cento su un rendimento del capitale ipotizzato del 2 per cento, il che in 5 anni significa un'imposta del 5 per cento. E il ragionamento che ne segue è questo: il saggio di interesse (50 per cento) è più alto dell'aliquota marginale ed è altresì applicato a una base imponibile fissata per legge al 2 per cento del capitale, un valore giudicato più che adeguato considerati i rendimenti minimi di mercato degli ultimi periodi. Inoltre, non si dimentichi, questa volta lo scudo è ben più severo dei precedenti, grazie a un'aliquota doppia (5 per cento) rispetto al passato (2,5 per cento delle manovre 2001-2003).

    La sanatoria è comunque un forte deterrente contro il mantenimento di posizioni irregolari: si pensi che secondo gli esperti il rischio è di vedersi applicata una sanzione del 400 per cento. Certo, forse ancora poco rispetto agli strumenti deterrenti messi in campo dalla Gran Bretagna. L'Inghilterra ha lanciato il primo settembre 2009 (fino al primo marzo 2010) uno scudo fiscale che prevede per i redditi transitati sui conti esteri, oltre al pagamento delle imposte dovute, una sanzione con aliquota tra il 30 per cento e il 100 per cento di tali redditi (che può scendere al 10 per cento in casi specifici). “Il nostro sistema – spiega al Foglio Carlo Galli, responsabile del dipartimento di Diritto tributario dello studio legale Clifford Chance – privilegia un approccio incentivante, accompagnato da misure deterrenti per il futuro. Quello inglese è prevalentemente deterrente, con una componente incentivante più modesta. Detto ciò, quello che si può dire è però che l'inglese è molto più oneroso dal punto di vista amministrativo: il contribuente deve indicare in modo analitico tutti i redditi non dichiarati negli ultimi 20 anni e calcolare imposte, interessi e sanzioni”.

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