Addio assalto alla diligenza

Qui si festeggia la fine (quasi) improvvisa della Finanziaria monstre

Redazione

Finanziaria light? Di soli tre articoli e tre tabelle? Il bis del 2008, quando la manovra triennale fu approvata a giugno, in nove minuti e mezzo, e la Finanziaria vera e propria fu poi di quattro articoli? Beh, questo è nulla. Perché di fatto la vecchia legge che debuttò nel dicembre 1978 e fu il totem della cosiddetta Prima Repubblica, con le migliaia di emendamenti, i decreti collegati, i bivacchi in Transatlantico, i patteggiamenti notturni tra Dc, Psi e Pci, e le lancette ferme alla mezzanotte del 31 dicembre per non andare all'esercizio provvisorio, non c'è più.

    Finanziaria light? Di soli tre articoli e tre tabelle? Il bis del 2008, quando la manovra triennale fu approvata a giugno, in nove minuti e mezzo, e la Finanziaria vera e propria fu poi di quattro articoli? Beh, questo è nulla. Perché di fatto la vecchia legge che debuttò nel dicembre 1978 e fu il totem della cosiddetta Prima Repubblica, con le migliaia di emendamenti, i decreti collegati, i bivacchi in Transatlantico, i patteggiamenti notturni tra Dc, Psi e Pci, e le lancette ferme alla mezzanotte del 31 dicembre per non andare all'esercizio provvisorio, non c'è più. “Io ve l'ho detto, ma voi non vi rassegnate”, ha detto ieri ai giornalisti un sarcastico Giulio Tremonti. “Quella approvata oggi (ieri, ndr) – ha aggiunto – non è una manovra, sono tabelle secche per 2009, 2010, 2011 con l'aggiunta del 2012. E' la legge di Bilancio dello stato, non ci sono tasse, tagli, aggiunte e sottrazioni. E' una fotografia, è la stabilizzazione del bilancio della Repubblica italiana”. Stavolta non si tratta solo dell'apodittico argomentare tremontiano. La Finanziaria non c'è più di fatto e presto non ci sarà più neppure di diritto. “Cambierà nome in ‘legge di Stabilità' e servirà a raccordare i bilanci interni ai vincoli europei”, spiega al Foglio Giuseppe Vegas, il sottosegretario all'Economia che ha ricevuto da Tremonti la delega a trattare con comuni, regioni e centri di spesa vari (“le rogne senza gloria”, ironizza Vegas). Per le altre misure – come quelle attese sui fondi per la riforma dell'Università, per le missioni all'estero e per detassare il lavoro – si attenderà dicembre.

    Quanto alla dipartita della Finanziaria, gli atti e numeri da tener presenti sono tre: il decreto 112 del 2008, cioè il piano triennale di finanza pubblica (che fissa i saldi annuali intangibili); il decreto anticrisi 78 del luglio 2009; e il disegno di legge 1.367, una riforma quadro “di contabilità e finanza pubblica nonché delega al governo in materia di adeguamento dei sistemi contabili”. Approvato all'unanimità dal Senato, è ora in attesa del sì della Camera, pur tra qualche mal di pancia della Lega e i distinguo del Partito democratico. Ma oltre a questo la Finanziaria che arriva da due anni in Parlamento di fatto gode di una blindatura politica: il governo fa da frangiflutti agli emendamenti della maggioranza.
    Tremonti dunque impazza, ma gli economisti alzano il dito: “La Finanziaria è leggera non perché tutto è già stato scritto un anno fa ma perché mancano le idee contro la recessione”, s'inalbera Tito Boeri sul sito Lavoce.info: “Quel piano concepito prima della crisi è ormai un oggetto di antiquariato”. E ancora: le regioni disertano il tavolo di Palazzo Chigi, i sindacati prendono tempo, la Confindustria spera in bonus e sgravi aggiuntivi e il Pd, ovviamente, attacca. Ma difficilmente l'opposizione potrà accusare il governo di golpismo per aver soppresso la Finanziaria.

    Palazzo Chigi e ministero dell'Economia hanno infatti incardinato l'operazione a basi giuridiche e legislative a prova di bomba. Vegas è uno che sa: tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta è stato segretario della commissione Bilancio del Senato quando a rappresentare il rigore al governo e criticare la Finanziaria c'era il solo Nino Andreatta. Anche il Pci di allora, soprattutto l'enclave degli indipendenti di sinistra come Luigi Spaventa, Vincenzo Visco e Guido Rossi, si diceva rigorista. “Solo a parole”, ricorda Francesco Forte, che fu relatore della Finanziaria con ministri da Andreatta al più allegro Paolo Cirino Pomicino: “Gli emendamenti che piovevano a migliaia – aggiunge l'ex ministro delle Finanze – venivano spesso presentati dalla Dc e dal Psi per conto dei comunisti. Quando non bastavano, e poiché la Finanziaria doveva avere la copertura, l'assalto alla diligenza avveniva con il rinvio delle spese ai decreti collegati e ordinamentali, detti salsicciotto. Pomicino li chiamava decreti carrozzoni, e vi entrava di tutto. Anche impegni fatti solo per le elezioni, destinati a cadere assieme ai governi”.

    La vera morte della Finanziaria è stata determinata da Maastricht, eppure sinistra e progressisti andati al governo hanno provato a rinverdirne gli allori. Giuliano Amato fece nel '93 la manovra lacrime e sangue da 90 mila miliardi. Lamberto Dini nel '95 vi infilò la riforma delle pensioni “dimenticandosi”, nota Forte, “la copertura”. Nel '99 Visco e Massimo D'Alema firmarono una Finanziaria che rivoluzionava il sistema fiscale, con redistribuzione dai ceti medi e professionali ai redditi bassi e al lavoro dipendente. Romano Prodi varò a Natale 2006 la Finanziaria dei 1.365 commi in un solo articolo. Ma il futuro che cosa ci attende? “Al posto della Finanziaria – spiega Vegas – ci saranno semplici variazioni al bilancio. Dopodiché ogni legge dovrà avere la sua copertura. Tanto più in tempi di crisi, perché anche a casa mia quando entra meno si spende meno”.