“Futurista”, “newagista”, “antisviluppista”. L'arco costituzionale dei prof.
Luci e ombre sulla proposta di un nuovo pil, meno economicista e più benesserista. Ci sono accademici favorevoli, contrari, possibilisti e qualcuno pure indignato, tanto da accusare di newagismo la proposta sarko-stiglitziana, tra gli economisti sentiti dal Foglio.
Luci e ombre sulla proposta di un nuovo pil, meno economicista e più benesserista. Ci sono accademici favorevoli, contrari, possibilisti e qualcuno pure indignato, tanto da accusare di newagismo la proposta sarko-stiglitziana, tra gli economisti sentiti dal Foglio.
Un giudizio senza tentennamenti negativo è quello di Giulio Sapelli, docente di Storia economica presso l'Università degli Studi di Milano: “E' ben noto – dice Sapelli al Foglio – che il pil è un dato troppo ristretto per costituire un indice della qualità della vita. Eppure, in due terzi del mondo la priorità è ancora quella di incrementare la crescita economica, di produrre più merci e servizi. Con la crisi appena agli inizi e il mondo che va a rotoli, abbiamo davvero il tempo e le energie da sprecare nella ricerca di nuovi indicatori per sostituire il pil?
Non vorrei che l'iniziativa francese costituisse un'inutile distrazione dai problemi che ancora ci restano da risolvere”. Secondo Sapelli, l'iniziativa rasenta il “neopopulismo new age”, soprattutto nell'approccio alle questioni ambientali: “Non mi sorprende che sia stato lo statalista Sarkozy a proporla. Le cosiddette energie alternative, in realtà, non sono affatto sostenibili se non con l'assistenza continua dello stato e a spese dei contribuenti: far intendere il contrario è populismo”. E' scettico pure Stefano Fantacone, direttore del Cer e presidente della neonata società di ricerche Resc: “L'iniziativa di Sarkozy è meritevole e sicuramente il rapporto della commissione è di altissimo livello. Bisogna però tenere a mente che nella disciplina economica si è parlato spesso di superare il concetto di prodotto interno lordo, senza mai riuscirci”. Le ragioni, secondo Fantacone, sono di natura tecnica e metodologica: “Anzitutto, il pil è l'unica misura contabile che offra un rigore interno sufficiente a risolvere i tipici problemi di aggregazione degli indicatori sintetici. La seconda ragione è che se si prendono in considerazione anche i costi della crescita, si può giungere alla conclusione che il depauperamento delle risorse naturali è troppo rapido. Questo porterebbe a una visione stazionaria dello stato, per la quale paradossalmente sarebbe preferibile frenare il pil piuttosto che favorirne lo sviluppo”.
Più aperturista, seppure perplesso sulla realizzabilità del progetto, è Riccardo Realfonzo, direttore del Dipartimento di Analisi dei sistemi economici e sociali dell'Università del Sannio: “La mera crescita economica non è sinonimo di sviluppo o benessere. Basti pensare, ad esempio, che un'alluvione genera lavoro e fa crescere il pil. Certo, inserire gli indicatori del benessere in un dato sintetico come il pil non è semplice, e il confronto tra i risultati di stati diversi resta aleatorio”.
Favorevole (con riserva) è Tito Boeri, economista della Bocconi di Milano: “E' importante integrare il pil con misure complementari che catturino altre dimensioni dell'economia di un paese. Povertà, disuguaglianza, sostenibilità ambientale: sono tutte variabili che dovrebbero sempre essere prese in considerazione dai politici”. Boeri, tuttavia, si dice “scettico dinanzi all'opportunità di definire un indicatore unico in sostituzione del prodotto interno lordo”, così come non lo convince “l'inclusione di misure e grandezze soggettive e non comparabili nell'indice. Non credo sarebbe corretto fare ricorso a sondaggi individuali, che rischiano di essere manipolabili”. Tra le voci autorevoli a favore di una rimodulazione del pil, c'è quella di Luigi Campiglio, professore di Politica economica e prorettore dell'Università Cattolica di Milano: “Sostengo da anni questa stessa linea d'azione. Le misure di performance economica e di progresso sociale adottate ancora al giorno d'oggi sono figlie della società industriale, di un mondo che non c'è più”.
Secondo Campiglio, i nipoti dei nostri nipoti “ragioneranno sulla base di categorie concettuali diverse, e di certo non prenderanno in considerazione il semplice pil come indice dell'avanzamento di uno stato. Portarsi avanti, guardare al futuro, non può che dare frutti positivi”. Già oggi, aggiunge l'economista, “le economie avanzate si basano in larga misura sui servizi alle persone, che presentano a loro volta una dimensione relazionale e umana strettamente legata al benessere. Può sembrare che queste considerazioni abbiano poco a che vedere con la dimensione economica, ma non è così: un'impresa può decidere o meno di insediare la propria sede in un luogo anche in base alla qualità della vita, dei trasporti, dell'ambiente e dei servizi presenti nell'area, influenzando così la crescita della regione”.
di Michele Arnese e Andrea Curiat


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