"Mi fece innamorare del mio mestiere"

Quando il regista Piero Turchetti, quello di “Turchetti, fiato alle trombe!”, la contattò per una parte da inviato nel programma “Campanile sera”, a Enza Sampò non sembrava vero. Nella televisione di quegli anni, i primi Sessanta, per una ragazza ventenne appena affacciata sul mondo dello spettacolo lavorare in un colpo solo con Mike Bongiorno e Enzo Tortora era un po' come approdare a Tolstoj in lingua originale senza passare dal manuale.

    Quando il regista Piero Turchetti, quello di “Turchetti, fiato alle trombe!”, la contattò per una parte da inviato nel programma “Campanile sera”, a Enza Sampò non sembrava vero. Nella televisione di quegli anni, i primi Sessanta, per una ragazza ventenne appena affacciata sul mondo dello spettacolo lavorare in un colpo solo con Mike Bongiorno e Enzo Tortora era un po' come approdare a Tolstoj in lingua originale senza passare dal manuale. Allora non poteva sapere che sarebbe diventata un volto definitivo della Rai, lo speculare femminile dei suoi maestri. “Mike me lo ricordo da telespettatrice – dice al Foglio Enza Sampò – anni prima che mi capitasse la fortuna di lavorare assieme a lui. Prima del riconoscimento professionale, a Mike devo il fatto di essermi completamente innamorata di questo mestiere. Lui mi ha trasmesso la passione per la conduzione, un genere che lui ha inventato dal nulla assieme a Enzo Tortora. Il dolore che provo oggi è lo stesso che ho provato quando è morto Tortora: erano più di colleghi, erano veri maestri”.

    Negli ultimi anni Enza Sampò non ha usato mezze parole per descrivere la decadenza della televisione di oggi, come se soffrisse di un perenne stato influenzale che la morte di Mike Bongiorno aggrava improvvisamente. “Di lui ricordo il rispetto che aveva per il pubblico e per le persone che si trovava davanti. Penso al modo in cui faceva diventare personaggi i concorrenti, oppure il modo franco in cui faceva pubblicità: oggi si occulta tutto, è tutto ambiguo. Lui ha avuto la capacità di impostare un vero rapporto con il pubblico. ‘Campanile sera' dava voce alla provincia italiana, quella che lavorava in silenzio e mandava avanti il paese. E nel rapporto con me, che sono di un'altra generazione, era un misto perfetto di paternità e rigore. Era naturale obbedire, con una specie di sacro timore”. E poi c'era la baldanza, lo zelo per il mestiere. “Fa impressione l'idea che Mike stesse per iniziare un altro programma, fra l'altro una riedizione, che è sempre una sfida molto dura. Che Mike avesse un grande coraggio bisogna dirlo, perché questo è un ambiente senza riconoscenza”.